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L’orrore in diretta

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Tempesta mediatica sul caso di Sarah Scazzi. I fatti sono noti, non si parla d’altro da 48 ore. Una quindicenne tarantina uccisa e stuprata dallo zio, reo confesso dopo aver rilasciato appelli e interviste. Il cadavere ritrovato dopo la confessione. Attonito il pubblico italiano passa da un canale ad un altro, fior di psichiatri, criminologi, esperti, opinionisti che passano da una rete all’altra. Morbosità, voyeurismo, una pioggia di sdegno sulla vicenda, e un frenetico dibattito che cerca di dare una spiegazione, una forma a qualcosa di orribile che ha dell’inspiegabile.

Due gli aspetti della vicenda su cui vale la pena una riflessione. La presenza del mostro dormiente proprio lì, in famiglia. E il battage mediatico che non risparmia nessuno arrivando a dare in diretta la notizia della morte di una figlia uccisa e stuprata, con vilipendio di cadavere.

Quello che più pare sconvolgere l’opinione pubblica non è solo un fatto di cronaca, a cui i media ci assuefanno. Piuttosto il meccanismo che colpisce violentemente in questi casi è l’irrompere della follia nell’apparente normalità. E l’orrendo quesito: la famiglia sapeva?

Alcuni dati statistici sui minori abusati dicono che: il 41% delle violenze su minori è perpetrata dal padre, il 35% da padre e madre insieme, il 7% da altri familiari. La durata dell’abuso prima che venga denunciato è in media di quattro anni. L’età di insorgenza dell’abuso è di solito nell’età subito precedente la pubertà, attorno ai nove anni. I danni psicologici della vittima sono proporzionali alla precocità dell’insorgenza dell’abuso, determinando gravi turbe quali dissociazione, autolesionismo, organizzazione borderline di personalità, disturbo post traumatico da stress, disfunzionalità del comportamento sessuale, e alimentare, fino a schizofrenia.

Maltrattamenti fisici, psicologici, abuso sessuale, incuranza, trascuratezza accadono statisticamente soprattutto tra le mura domestiche. Il contesto più a rischio per un minore è la famiglia, che tace, collude, e applica la negazione come meccanismo psicologico di difesa. Un sistema familiare incestuoso sa e compartecipa, per paura di guardare in faccia l'orrore, per la scomodità di attuare cambiamenti, l'equilibrio paradossalmente finisce per costruirsi sulla disfunzionalità. Ma tutti nel sistema sanno, captano, ma negano anche a se stessi, minimizzano, fingono di non vedere segni e richiesta di aiuto più o meno implicite. Indizi allarmanti ci sono sempre. La vittima però è reticente poiché scatta in concomitanza il senso di colpa, la vergogna, e la confusività dovuta alle componenti affettive in gioco nei ruoli familiari. L’abusato non comprende, non sa dare un nome a quanto accade, aspetta prima di dirlo, denuncia timidamente, ma il sistema familiare non è disposto a vedere, a riconoscere, dissimula, non presta ascolto. L’abusato rinuncia, interiorizza la colpa, ma denuncia quanto sta accadendo in altri modi, cambiando umore, può avere incubi, modificare il comportamento alimentare. Tutti campanelli di allarme che cadono spesso nel vuoto, in un vuoto attonito che non può accogliere l’inspiegabile, l’orrore.

La vicenda di Sarah Scazzi porta alla luce un fenomeno che si consuma nel silenzio delle pareti di casa. L’accanimento mediatico di questi giorni sottolinea un’altra componente della nostra società. Non solo accadono le violenze domestiche, ma una volta venute alla luce, c’è una morbosità feroce verso il mostro vero o presunto. Si cerca un capro espiatorio. Nei giorni scorsi il ritratto di Sarah era quello di una ragazzina che flirtava con sconosciuti, che chattava su Facebook, che voleva fuggire da un contesto impoverito.

Da un momento all’altro Sarah diventa una vittima di quel contesto non solo povero, ma anche assassino. Lo sguardo intrusivo del pubblico che assiste in diretta alla notizia data alla madre è un’ulteriore denuncia sociale di quanto la mediatizzazione della vita prende piede sugli affetti, sui sentimenti. Si spiano le reazioni, anche al rallenty, si fanno operazioni chirurgiche, si analizza l’Altro, il mostro, la mostruosità. Con un accanimento che in campo psicologico può essere motivato come esorcismo. Vedendo da fuori il male, ci si sente esenti, spettatori e non agenti. Dimenticandoci che in questo modo la violenza viene riproposta più e più volte, amplificata in questo teatro sociale. Il problema non è se Federica Sciarelli, la giornalista di Rai 3 che si è trovata a dover gestire la notizia in diretta sia cinica o no, o se la rete televisiva specula sul dolore. Il problema è ben più complesso, di fronte alla notizia data c’erano milioni di occhi giudicanti. Guardanti. Convalidando così la spettacolarizzazione della vita. Di questo siamo tutti corresponsabili.

La perversione esiste e si annida nel genere umano, portandolo a compiere delitti efferati. “Il genitore maltrattante è sempre un bambino incompiuto, e un coniuge deluso” (Stefano Cirillo, Cattivi Genitori, 2005). Invece che parlarne ‘dopo’ e proporre i fotogrammi a ciclo continuo, è necessario allertare gli animi, invitando chi tutela sull’infanzia a prestare vigilanza ai minimi segnali di disagio, a cogliere i silenzi, a mettersi in ascolto del dolore che si consuma per lo più negli sguardi, prestando una attenzione vigile e costante, per proteggere chi non sa dire le cose poiché non ha le parole per dirlo.

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Perché se ne continua a parlare?

A distanza di giorni, in Italia sui media e sui talk show non si parla d'altro. I particolari vengono riproposti in modo ossessivo, si cercano spiegazioni, motivazioni, si analizzano i frammenti dei racconti, si cerca di ricostruire, pari a una catastrofe nazionale. L'orco, lo zio, viene esaminato come in una indagine autoptica. Chi era? Chi è? La vita della famiglia viene setacciata, vengon interrogati gli amici, il medico di base, chiunque possa rivelare un particolare illuminante, chiunque possa fare uno spiraglio di luce sulla vicenda. Accanimento mediatico o bisogno psicologico di comprendere?

Una possibile spiegazione in chiave cognitiva potrebbe essere il bisogno dell'essere umano di classificare gli eventi. La conoscenza della realtà avviene attraverso un processo di categorizzazione di quanto accade, inserire in fatti in una casella, una categoria. Se una madre uccide il proprio neonato, in un certo senso è un comportamento spiegabile. Condannato, ma spiegabile come gesto dettato dalla depressione. Viene categorizzato come gesto folle. Qui invece si sconfina nell'incesto, tabù supremo della nostra società. Omicidio, abuso, incesto. Troppo per essere compreso tutto insieme. Anche perché la famiglia è il luogo degli affetti, della protezione. Se accade qualcosa di differente non rientra più nel copione sociale della famiglia. Resta fuori, urlando una richiesta di spiegazione.

Spaventa poiché lo zio Orco non sembra aver mai dato segni di squilibrio. Spaventa la sua estrema 'normalità', non era un malato mentale, uno psichiatrico. Questo terrorizza l'opinione pubblica. Come l'omicidio compiuto da Anna Maria Franzoni. Se fosse stata dichiarata malata di mente, l'opinione pubblica avrebbe potuto incasellare il fatto atroce come il gesto di una folle. E' la normalità apparente a spingere la gente comune nella ricerca di comprendere. Il pubblico attende una rassicurazione, attende di essere esentato dalla possibilità di poter correre lo stesso rischio.

Uso e abuso dei media, come se reiterando i particolari, usando la moviola, si frantumasse l'evento, sminuzzandolo in piccoli fotogrammi, nella speranza di renderlo più intellegibile.

E' la paura del male che si annida nella quotidianità che pretende una motivazione, una prova che l'orco non tornerà. Che è stato un errore, una scheggia impazzita. In attesa che venga consegnata una motivazione tranquillizzante, se ne continua a parlare. Ancora non si trovano le parole per spiegare, e per dirlo, perché è accaduto.

5 COMMENTS

  1. Una domanda
    So che non avrò la controprova, ma mi chiedo: quanta gente a pregare in quella campagna testimone silenziosa del delitto, senza le tv!!!? Quanta gente in quella piazza senza le telecamere??? Quanta gente nelle stade di quel paese senza le telecamere!!! Non sono per la censura, ma sono per il rispetto del dolore, basta a questo modo di fare spettacolo con le disgrazie ALTRUI. Il TG sembrava un programma di reality, con ESPERTI forensi in delitti (esperti… una avrà avuto 25/27 anni), forse trovata all’ultimo minuto, ma il servizio RICHIEDEVA la presenza di un esperto. Sono vicino alla FAMIGLIA, ma sono anche vicino a quell’uomo che “FOLLEMENTE” ha ucciso come un’animale un’INNOCENTE creatura, io la chiamo UMANA PIETA’, una cosa persa in questa nostra civiltà!!!

    (Roberto Malvolti)

  2. Anche qua?!!!
    L’importante sarà invitare a ricordarsi del dolore che si consuma negli sguardi anche quando la televisione sarà passata ad altra causa. L’importante, per ogni persona, è prestare attenzione agli occhi reali di chi abbiamo accanto senza aspettare il filtro di una telecamera o di un telefonino. E sia delle vittime la pace.

    (Commento firmato)

  3. Cali il silenzio
    Guardando quel volto (apparentemente buono) quante domande non trovano risposta! Ma su quel volto cali il silenzio, che tante, forse troppe, parole saranno sprecate. Ognuno nel segreto del proprio animo dovrà chiedersi per l’ennesima volta: auale segreto abita il cuore dell’uomo? Un mistero insondabile…

    (Marta Alberti)

  4. Parliamone invece di quello che può accadere
    Cali il silenzio? Queste accade anche per il troppo silenzio omertoso. Se ne parli invece, chi sa non si nasconda, l’incesto e l’abuso vanno denunciati, non certo coperti da un perbenismo e un pietismo che possono diventare complici. Troppo silenzio ha permesso anni di sofferenza. Si parli e subito. Al primo campanello di allarme. E ognuno è responsabile dei gesti che compie su questa terra.

    (Adele M.)