Home Cronaca Società / Ragazzine che fuggono da casa e finiscono sui giornali

Società / Ragazzine che fuggono da casa e finiscono sui giornali

7
1

"Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ah quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinnova la paura!”

Così recita Dante nel I Canto dell’Inferno, ponendosi come simbolo dell’uomo a metà della propria vita, smarrito e confuso.
Nella società attuale la crisi esistenziale sembra colpire sempre più di frequente gli adolescenti. Se Dante lascia in eredità una riflessione di uomo maturo, che si perde a metà di un cammino, quello che accade oggigiorno ed è registrato dai quotidiani, è un segno di ben altra sofferenza. L’uomo rappresentato all’inizio della Divina Commedia aveva una strada e l’ha smarrita. I giovani che sempre più spesso vanno sui giornali, cercano di comunicare alla comunità degli adulti qualcosa, e se ci soffermiamo a riflettere tali “bravate” suonano come campanelli d’allarme che non si possono ignorare. La strada non è stata nemmeno ancora imboccata. Lo smarrimento è a monte. Ragazzine che fuggono da casa, adolescenti che si sfidano su quantità di alcol ingerita, fino a finire in coma etilico, le cronache quotidiane riportano giovani che sono allo sbando: se Dante facesse ora un ritratto della civiltà occidentale contemporanea, dovrebbe cambiare metafore e allegorie. Il labirinto di Arianna ci rappresenterebbe molto meglio. Manca tuttavia, al momento, un filo rosso che ci conduca fuori, e ci permetta di uccidere il mostro, il Minotauro, allegoria dei comportamenti a rischio, auto lesivi, pericolosi per la salute fisica e mentale.

Non serve agli occhi di chi studia le società in un’ottica evoluzionistica, adottare un atteggiamento di condanna, moralistico. Se guardiamo alla storia con un cannocchiale per comprendere cosa è accaduto da lontano, possiamo osservare che le epoche storiche si susseguono seguendo un andamento a onda: una civiltà arriva al massimo dell’espansione, e poi decade. I sistemi di valori che sembrano funzionare per un’epoca, si rivelano inadeguati in seguito. Occorre trovare strategie di rinnovamento e costruire nuovi orizzonti di senso.

Psicologi, sociologi, comunità educanti, la rete dei servizi, le famiglie sono le agenzie che prendono atto, osservano e si attivano per comprendere, elaborare, interpretare quanto accade, correggere dove necessario, arginare, contenere. Una riflessione comune, vedendo quanto accade nella nostra società, è d’obbligo. Passato il senso di smarrimento e di indignazione per ciò che appare sui media, subito dopo è necessario interrogarsi sul significato di quel che c’è, e su cosa è possibile fare.

Alcune considerazioni da cui partire.

I ruoli familiari sono mutati nei tempi. Alla famiglia delle regole, dove il ruolo paterno era definito, chiaro e specifico, è subentrata la famiglia degli affetti (Pietropolli Charmet, 2000). In questa sede non si vuole e non si può discutere se ciò sia giusto o no. Di fatto il padre diventa per un’infinità di ragione una seconda madre, rinuncia alla propria autorità, in cambio dell’amore dei figli. Il benessere economico vede un’orizzontalità dei ruoli, tutti lavorano fuori, tutti contribuiscono alla casalinghitudine, i ruoli diventano intercambiabili.

I copioni familiari sembrano tutti seguire una logica compensatoria: il figlio rappresenta un successo sociale, il bambino viene investito di aspettative enormi, deve primeggiare, riuscire e arrivare, anche laddove il genitore non è arrivato. Il bambino, spesso figlio unico, diventa oggetto di un amore sconfinato, e il genitore moderno, con tutte le buone intenzioni, si adopera per “farlo crescere felice”.

E a questo bambino prezioso, amato, accudito e nutrito all’eccesso difficilmente viene posto un NO. Se ci si pensa, il troppo equivale al nulla. Il padre che diventa “mammo” perde il ruolo di contenimento, le sponde diventano invisibili, e il senso di smarrimento si moltiplica. Cosa è lecito, cosa è norma, cosa è controindicato viene confuso. In più la realtà mediatica si fonde con quella della vita reale, i confini sembrano essere mischiati. Apparire diventa un valore, un passaggio televisivo, l’obiettivo cui mirare: compaio sui media, “ergo sum”.

A chi ripensa su ciò che accade, e si pone in un’ottica psicosociale, non spetta il compito di giudicare, ma quello di osservare e registrare un andamento e una tendenza, e dare un significato, se possibile proporre e costruire da un ammasso di macerie, qualcosa di nuovo.

Il dilagare delle nuove dipendenze, internet, pornografia, acquisti compulsivi, segnala che l’appoggio un tempo ricevuto dalle figure genitoriali è ora cercato “fuori”, appoggiandosi ad Altro, alcol, sostanze, comportamenti disfunzionali, che offrono un finto sostegno, tuttavia sempre lì a disposizione, come stampella per funzionare socialmente. Il contenimento, l’accudimento svolto dalle figure adulte di riferimento sono svolti ora da altre agenzie artificiali, il potere rassicurante è delegato a sostanze esterne da sé. I momenti per stare con se stessi non vengono proposti, si incoraggia un costante “collegamento”, una connessione continua, utile se moderatamente fruita, deleteria se si sostituisce alla connessione primaria: quella con se stessi.

L’antropologia culturale studia i fenomeni di acculturazione, e come le popolazioni si contaminano a vicenda. La crisi, vista in quest’ottica, rappresenta una frattura, un passaggio da un qualcosa che c’era prima e un qualcosa che ancora si deve creare.

Va preso atto che i costumi attuali indicano una povertà di valori, una mancanza di confini precisi su quanto sia lecito e quanto si vada oltre. E proprio partendo da lì occorre proporre del nuovo. Osservare che due ragazzine arrivino a simulare un abuso, lontano da casa, con l’obiettivo di “apparire”, lancia un segnale di allarme importante. L’essere visti ha assunto un significato soltanto mediatico.

E come in ogni crisi o frattura, la soluzione è spesso contenuta e insita nel problema. I giovani di oggi, forse, vogliono essere guardati e visti con occhi diversi da come li stiamo guardando: accecati da troppo amore, non li vediamo.

Prendiamo una distanza diversa allora. Cambiamo focale. Senza inutili giudizi, sensi di colpa che attanagliano i genitori attuali, sofferenti e insicuri ripetono a se stessi “dove ho sbagliato?”. I primi quindi a essere insicuri del proprio ruolo, siamo noi stessi, i genitori, gli adulti. Siamo di fronte a un rito di passaggio da un’epoca all’altra. Le mutate condizioni economiche, l’assetto delle nuove famiglie, l’avvento della tecnologia, il benessere economico, ci hanno travolto senza che nessuno avesse dato istruzioni, e come ogni in epoca di passaggio, è necessario costruire insieme nuovi orizzonti si senso. E il potere creativo, di nuove soluzioni spesso vengono proprio dalle fasce problematiche, che hanno in sé la radice "in fieri" della soluzione. L'adolescenza, oltre che prove tecniche per diventare grandi, è anche un periodo fertilissimo di idee, di innovazione e creatività. Da questi rituali di passaggio, dove tutto sembra oscuro e incerto, ne verranno fuori nuovi valori. La storia insegna che proprio nei momenti più bui delle civiltà si attivano risorse e strategie.

Prendiamo questi segnali come opportunità, senza condanne, per pensarci seriamente su.

Per approfondire:

L’adolescente nella società senza padri, Gustavo Pietropolli Charmet(a cura di),
Unicopli, Milano 1997.

I nuovi adolescenti, Gustavo Pietropolli Charmet, Cortina, Milano 2000.

Un nuovo padre. Il rapporto padre-figlio nell’adolescenza, Gustavo Pietropolli Charmet, Mondadori, Milano 1995

1 COMMENT

  1. Per la precisione
    Il simulato abuso serviva non tanto ad “apparire” quanto a giustificare la sparizione e tutte le sue conseguenze: non siamo scappate, siamo state rapite, etc. Un umile esercizio di logica porta a pensare che il tutto fosse pianificato, con l’astuzia e la beata incoscienza di due ragazzine tanto sveglie quanto inesperte. Ha ragione il sostituto procuratore Pantani nel dire che “è andata bene”, perchè solo la fortuna ha evitato che la finzione diventasse una tremenda realtà. Ma in fondo queste sono pignolerie da vecchia signora: nella sostanza mi trovo in sintonia con Ameya quando parla di ragazzi smarriti a cui nessuno indica la strada, a cui nessuno impedisce di prendere un vicolo cieco.

    (Elisabetta Agostini)