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Il lamento delle anime

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Ogni antico castello, ogni rudere si porta dietro un bagaglio di storie più o meno veritiere, più o meno fantasiose, legate a fatti e misfatti di quel luogo. Poteva sottrarsi Crovara, o meglio quel che resta di tale castello? Sì, perché in quel luogo io non ho mai visto resti tali da fare sospettare l’esistenza, nel passato, di un maniero. E che castello! Soprattutto che storia!

Del territorio di Crovara se ne parla già nell’870 quando la località viene donata ai Supponidi. Nel 904 passa alla chiesa di Reggio che, nel XII secolo, lo dà in feudo ai Della Palude. Da allora e fino alla sua completa distruzione (1319), dopo essere stata alleata fedele dei Canossa, Crovara è una spina nel fianco per tutti. Ma da noi non se ne parlava volentieri. Questo finché io ero ragazzo. Dopo, cambiate le condizioni sociali e le esigenze della gente, qualcuno si è interessato anche di Crovara, scoprendo quanta storia sia passata dal piccolo Monte Cervario.

Finché le forze glielo hanno permesso lo zio Attilio di Casalecchio saliva da noi, a Castellaro, per intrattenersi un poco coi nonni, ma anche per raccontare a noi piccoli favole e avventure. Dotato di una memoria formidabile e alfabetizzato quel tanto che gli consentiva di poter leggere dei romanzi, lo zio era noto nel territorio proprio per la sua versatilità nel raccontare trame di opere a noi sconosciute, quali I reali di Francia, La storia di Santa Genoveffa e altri. Non saprei dire se avesse un suo piano pedagogico fondato sulla fantasia ma anche sulla paura. Resta il fatto che quando iniziava a parlare di fatti accaduti nei dintorni ci venivano i brividi. Quasi sempre si trattava di storie tragiche, di vendette crudeli.

Ad esempio era difficile andare a letto tranquilli dopo che ci aveva raccontato che, nelle notti di vento o di temporali, dalla piazzola dove sorgeva il castello o dagli anfratti del rio Tassaro giungevano urla strazianti e lamenti prolungati. Difficilmente si affermava che sul luogo “ci si vedeva”, vale a dire che si manifestavano fenomeni strani, quali i fuochi fatui o i fantasmi. Tuttavia quelle urla, interpretate ad arte dallo zio, sortivano l’effetto di farci rabbrividire. Ma chi era che urlava? E perché proprio con un tempo da lupi? Nessuno ci aveva spiegato l’effetto “arpa eolica” prodotto dal vento quando si incunea nelle fessure delle case o degli antri naturali. E allora lo zio passava a raccontarci che un tempo, molti secoli prima, in quel castello non è che si andasse tanto per il sottile. Se una persona ti insospettiva c’erano i pozzi rasori. Se al duca capitava di vedere una bella popolana non esitava a sequestrarla per poi trucidarla dopo aver soddisfatto le proprie voglie. Tutte quelle anime, soppresse con la violenza, potevano manifestarsi con lamenti strazianti per chiedere suffragi o per ricordare le malefatte del duca e dei suoi sgherri.

Poco lontano da Crovara, tra Casalecchio e Legoreccio, scorre il Rio del Gatto, un rigagnolo che lascia a monte i boschi per saltellare tra i calanchi fino a tuffarsi nel Tassobbio. A parte la vegetazione, folta e lussureggiante, nulla di particolare attira l’attenzione. La strada attuale ha tagliato a metà uno strapiombo cambiando totalmente la configurazione del paesaggio. In passato la mulattiera si inerpicava per superare il profondo borro, liscio e scivoloso, costituito dal così detto “còc”, privo di alberi, al sommo del quale era cresciuta una striminzita ginestra. La mulattiera era di difficile transito anche di giorno. Immaginarsi poi di notte. In un lontano passato un tizio percorreva la mulattiera per recarsi a “moroso” a Legoreccio. Due tipi originari di questa borgata, gelosi ed invidiosi, pensarono di dargli una dura lezione per dissuaderlo. Di notte lo attesero proprio sopra il borro e gli somministrarono una quantità tale di botte da farlo cadere. Riuscì comunque ad aggrapparsi alla misera ginestra che resse il peso trattenendo il malcapitato. Pietà avrebbe suggerito di lasciare stare il poveraccio, ma non fu così. I due continuarono ad infierire con calci e bastonate sulle mani finché il disgraziato dovette mollare la presa e precipitare, con un urlo straziante, sui sassi nel fondo del burrone. Anche in questo luogo, nelle notti di temporale, si odono gemiti laceranti o singulti contenuti. Lo zio ci rassicurava che quelli erano i lamenti del povero innamorato e il pianto della promessa sposa.

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