Home Cronaca Unità d’Italia / “Il 17 di marzo non festeggerò”

Unità d’Italia / “Il 17 di marzo non festeggerò”

7
12

Riceviamo e pubblichiamo.

-----

Il 17 di marzo non festeggerò, non parteciperò a nessuna celebrazione delle tante previste anche qui a Bruxelles, la capitale d’Europa. Il 150° anniversario dell’unità d’Italia ha certamente una rilevanza storica, ma io non ho più nessun trasporto o fervore; nessuna motivazione ed inclinazione mi spinge a prendere parte ai sontuosi festeggiamenti previsti per esaltare la nostra patria. So già che l’accusa di anti-italianità ed esterofilia mi sarà rivolta contro, ma non sono io il traditore della patria. L’Italia mi ha tradito prima, la mia Patria é la traditrice.

Guardandola da qui, da fuori, vedo con malinconia e sconforto una società in difficoltà, una nazione divisa, dove tutto ha un determinato colore politico ed un orientamento ideologico. La culla della Bella Vita si é trasformata in pochi anni in città frenetiche fatte di giovani esausti che hanno perso la speranza in un futuro migliore, nella possibilità di costruirsi un progetto di vita proprio, in un avvenire sereno e prospero. Comportamenti e stili di vita che la televisione senza nessuna etica ci ha trasmesso negli ultimi venti anni, sono stati trasportati anche nella vita reale, ma con i quali non ho nulla da condividere. Gli approfondimenti sociali di Enzo Biagi sono stati sostituiti dal gioco dei pacchi, dove il denaro é distribuito a caso, a sorte, non prima che alcuni tg delle reti pubbliche abbiano resi noti i numeri dell’ultima estrazione del lotto.

Tv fatte di fiction ridicole, talk show con filosofi dell'evidente, reality grotteschi, linguaggi poveri. Modelli celebrativi di eroi finti e sintetici bombardano continuamente il nostro cervello. Se gli antichi egizi erano un popolo di artisti con l’ossessione della morte – disse un famoso archeologo - noi siamo diventati oggi un popolo di vanesi con l’ossessione della giovinezza eterna.

Non espongo nessuna coccarda perché non c’é nulla da festeggiare in un paese che ha livelli di tassazione nordeuropea ma servizi pubblici scadenti ed insufficienti. Dove chi é ha espletato i propri doveri di buon cittadino pagando le imposte viene schernito per legge, la stessa che però favorisce i grandi evasori. Il paese dei due pesi due misure, delle eccezioni, del facevo gli 80 in centro abitato ma é il vigile che mi ha fatto la multa che ha sbagliato, del se posso frego, se riesco mi faccio raccomandare, del é inutile fare il concorso al ministero se non conosci qualcuno, il merito non conta. Dove non si indigna più nessuno o si indignano sempre gli stessi.

Come posso essere riconoscente ad una nazione che non é stata in grado nemmeno di insegnarmi una lingua straniera in diciotto anni di scuola, dove i professori sono sottopagati, i ricercatori partono e gli studenti non sanno chi erano Spinelli e Pasolini. Un paese che non é riuscito a darmi un lavoro, una prospettiva futura e che dopo gli studi mi ha abbandonato, lasciandomi nelle mani di spietate agenzie di lavoro interinali. Persino la fierezza del riscatto storico italiano, il 25 aprile, é stato distrutto dai governi degli ultimi anni, il giorno della liberazione di tutti, il giorno che ha gettato le basi per il nostro futuro di italiani é diventato monopolio di una certa parte politica, e snobbato da tante altre. Così la Costituzione é di sinistra e la bandiera é di destra.

Un'Italia dove la mafia vince, cresce, guadagna, dove la legalità é una debolezza e chi ne fa una bandiera ed un valore viene visto come pericoloso. Non mi riconosco in uno stato che non è laico ma concordatario e che non ha mai avuto un ministro dell’istruzione non cattolico. Un paese dove il cattolicesimo influenza la vita di tutti, dove il clero gode di diritti inimmaginabili, ma dove chi va in farmacia per acquistare un anticoncezionale di emergenza può non vedersi garantito questo diritto. Questa delusione, questo sconforto ed amarezza tuttavia non pesano su di me, che in fondo ho fatto la scelta più facile, abbandonare questa società che é sull’orlo del precipizio - senza esserne consapevole.

Provo rabbia, sdegno a nome di tutti coloro che, nel corso di questi 150 anni, hanno impiegato una vita per un ideale, per un’Italia migliore, per garantire un futuro di progresso a noi. Il pensiero, il rispetto, la riconoscenza va a quelli che hanno pagato con la morte, con il sangue, con la prigionia il prezzo della nostra (ora debole) democrazia. I miei nonni sono stati partigiani e prigionieri di guerra, la loro giovinezza è stata rubata e deturpata. Spesso mi chiedo cosa penserebbero se potessero leggere i giornali o guardare la televisione per un solo giorno, se segretamente si domandassero se ne è valsa la pena.

Guardandola oggi, la Patria ha tradito soprattutto queste persone. La consolazione é che viviamo in un'Europa dove qualcosa che funziona esiste ancora. Un'Europa che é stata creata anche dagli italiani, forse da una delle ultime generazioni di leaders politici coraggiosi e valorosi. Un paradosso, ma per celebrare l’Italia indosserò una coccarda azzurra con 12 stelle gialle.

(Matteo Manfredini)

12 COMMENTS

  1. Perplessità
    Matteo, forse non è per tutto quello che lei ha scritto che coloro che non hanno contribuito a questo sfacelo debbano dire che esistono e per questo festeggiare? Punti di vista. Io, nonostante tutto, festeggerò.
    Cordiali saluti.

    (Enzo Fiorini)

  2. Non indigniamoci più!
    Gentile Matteo, il suo è un sfogo interessante. Molte cose giuste ed alcune banalità. Ma lei dice bene, ha scelto la via più facile: la fuga. Non glielo si può imputare, poichè anche io avrei il desiderio di farlo, ma poi non è il caso di tirare in ballo persone che hanno pagato con la morte, la prigionia ecc. il desiderio e la speranza di una patria migliore, non crede?
    E lasci l’indignazione a coloro (e non mancano) che hanno fatto dell’indignazione la loro professione. Il Paese ha bisogno di persone che propongono e agiscono, non di indignati. Francesco Piccolo, sull’@CUnità#C, lo ha spiegato in maniera eccellente: “…se c’è una cosa di cui l’Italia (o almeno quella parte del paese alla quale dovrebbe rivolgersi Hessel) non difetta è l’indignazione. Se c’è una cosa che la metà della popolazione italiana, dal 1994, ha fatto è esattamente questa: si è indignata. Se c’è un sentimento che la sinistra italiana in ogni sua forma e incarnazione ha espresso è l’indignazione.
    Nella sostanza, l’unico. Oltretutto deve trattarsi di un sentimento di cui nemmeno si riesce ad avere consapevolezza, visto che dopo diciassette anni arriva un libro che si chiama @CIndignatevi#C! E tutti urlano: ecco cosa bisogna fare! Il risultato è che l’indignazione – lo testimonia la storia di questi anni – non ha generato nient’altro. E non è un caso, perché indignarsi vuol dire sentirsi estranei a ciò che accade davanti ai propri occhi; è una reazione civile, ma che respinge ogni coinvolgimento nella realtà. Quindi, al contrario di ciò che sostiene Hessel, vuol dire tirarsi fuori da quello che accade. Non partecipare mai fino in fondo. Se per partecipazione si intende stare dentro le cose e lavorare per cambiarle, allora il vero slogan che servirebbe adesso, dopo tutto questo tempo, è: Basta, non indignatevi più!”.
    Salute.

    (R.S.)

  3. Due commenti
    Ciao Matteo, condivido in grande parte il tuo intervento.
    Vorrei fare due commenti:
    – io non sono per niente orgogliosa dell’Italia di adesso, di quella che hai descritto. Condivido punto per punto. Ma stando all’estero ho capito che la mia identità, bella o brutta che sia, è in tanta parte l’essere italiana. E sono profondamente orgogliosa dell’Italia del passato, dell’immenso e unico patrimonio culturale che è attorno a noi, ma anche dentro ogni italiano. Quella Italia la porto con onore con me all’estero;
    – con riferimento al commento di R.S. direi che più che l’indignazione ciò che provo,
    soprattutto da quando vivo all’estero, è dolore. Provo indignazione per la pessima abitudine, che purtroppo storicamente ci appartiene, di considerare il rispetto delle regole del vivere comune come una delle possibilità, invece che come l’unica possibilità. Ma provo dolore sapendo che il nostro Paese ha ricevuto dalla Storia
    (e anche dal caso, penso al clima) il patrimonio che chiunque altro al mondo ci invidia. E’ un patrimonio di paesaggio, di gastronomia, di musica, di scienza, di arte, di cultura in ultima analisi. Ed è dolore vedere che questo patrimonio viene
    scientemente massacrato e violentato ogni giorno, in primis dalla classe dirigente, in secondo luogo dall’indifferenza e dalla
    non-coscienza degli italiani rispetto a tanta ricchezza. Condivido questo dolore non solo con i miei concittadini, ma anche e soprattutto con gli stranieri. I tedeschi che ho conosciuto amano profondamente il nostro Paese, ma rimangono allibiti e immensamente tristi nel vedere cosa permettiamo che accada. Non capiscono, non capisco neanch’io perché permettiamo questa barbarie.

    (Elena Canovi)

  4. Grazie per i vostri commenti
    Sono venuto a Bruxelles a titolo personale, ho fatto un concorso pubblico, aperto a tutti i laureati d’Europa, e sono entrato in Commissione europea.
    RS, probabilmente ho scritto banalità, tuttavia, come ricorda Nicolas Gomez Davila, la banalizzazione è il prezzo della comunicazione. Quando una persona fugge, fugge da qualcosa, da un nemico, dalla fame da un regime. Io ho scelto liberamente di andarmene, non sono fuggito, una scelta personale. Del resto converrà che l’Italia si sta impegnando parecchio per fare partire tanti giovani.
    Vede, se davvero non mi fosse interessato più nulla del mio paese, gentile anonimo amico, non avrei scritto niente, nessuna critica, nessun commento e avrei dedicato il mio tempo in maniera molto diversa. Quello che non ha colto, o forse il messaggio che non sono riuscito a passare, è che c’è una differenza sostanziale tra chi ha pagato con la morte e con la prigionia e la situazione odierna. Non c’é un nemico straniero nella mia terra, una dittatura da opporre, una guerra da combattere, i problemi sono altri ora. Io sono avverso ad una mentalità, ad un modo di intendere la vita, le cose e il futuro che, a mio modesto parere, non fanno onore al nostro paese in questo momento storico, ma che credo ancora si possano cambiare, come io cerco di fare tutti i giorni. Tuttavia per confidare nel mutamento non serve solo indignarsi, ma è necessario avere chiara la situazione di partenza, che a me personalmente genera sconforto. Ma non rassegnazione. Mai come prima nella storia d’Italia oggi, nella società dell’informazione globalizzata, ognuno deve apportare il proprio contributo verso la trasformazione. Quanti sono quelli pronti?
    Concludendo, non critico chi invece ha deciso di celebrare questa ricorrenza storica, non è mia intenzione sminuire il comportamento di nessuno e pormi in una situazione di velata superiorità. Semplicemente, io, non sono nello spirito adatto per celebrare l’Italia di oggi, ma solo di cambiarla.

    (Matteo Manfredini)


  5. Da studentessa posso capire il tuo punto di vista, la tua amarezza nel vedere come vanno le cose qui in Italia, dove poco prima del telegiornale va in onda la pubblicità di un libro, se libro si può chiamare, pubblicizzato da Ruby e precedentemente da Lele Mora e Manuela Arcuri, il cui costume viene strappato, per poi procedere a un patetico monologo su argomenti di cui potrei scommettere non conosce il significato. Quando vedo queste cose penso che la nostra intelligenza sia veramente calpestata e mi chiedo perché dovrei rimanere qui. Non so cosa farò nel mio futuro e spesso mi fa paura pensarci, ma non credo che tutte le partenze di giovani siano fughe e non credo che le fughe siano la cosa più facile; anche andare via è una scelta dura. E infine ti volevo dire che i nostri nonni, i nonni di adesso, che hanno combattuto per darci un’Italia libera e unita, spesso ora sono i primi ad essere inghiottiti dalla nostra società; spesso li lasciamo soli e a loro non resta che guardare il gioco dei pacchi, credendo che i soldi vinti siano lire, o franchi, come li chiama mia nonna.

    (Francesca)

  6. Risposte
    Per Elena: mi pare che le sue considerazioni, come quelli degli altri, contengano in nuce le risposte ai suoi dubbi e alle sue domande. Si chiede chi ha permesso che si arrivasse a tanto e afferma, giustamente, che siamo stati noi (nessuno si senta escluso) a permetterlo. Io direi di più: siamo stati noi a volerlo. Quello che non condivido del suo discorso è che lei sembra collocare in una sorta di mitica età dell’oro la grandezza di questo Paese. Non vi è stata alcuna età dell’oro, mi creda. Così come non condivido questo considerare le pessime abitudini di noi italiani quasi come una tara genetica da cui non si può sfuggire. Gli italiani non sono geneticamente inferiori agli svedesi o ai norvegesi. I comportamenti si acquisiscono, si imparano. L’Italia è ciò che è ma non bisognerebbe dubitare neanche per un attimo che tutto potrebbe essere diverso.
    Per Matteo: sfuggire da uno stato oppressore o da uno stato corrotto e corruttore (e anche questa è oppressione) non credo costituisca una fondamentale differenza. Si cercano oppurtunità migliori, ecco tutto. La mobilità dei giovani italiani in Europa è solo un dato positivo e un percorso di crescita che, anzi, dovrebbe essere visto con favore. Da quanto ne so, la “fuga” dei giovani dall’Italia rientra nella media di quella degli altri paesi europei. Il vero vulnus sta nel fatto che noi non attiriamo gli altri giovani europei nel nostro paese, non attiramo studenti, investimenti, ricercatori. Vi è solo un flusso in uscita e non in entrata. Le persone “pronte” sono più di quante lei immagina ma molte meno di quante ritengono di esserlo, ma il discorso, qui, porterebbe troppo lontano. Alcuni anni fa, da queste stesse pagine, scrivevo che sarebbe stato necessario trovare un metodo per connettere questi neuroni sparsi per farli diventare un cervello capace di autonomia di pensiero. Trovare un metodo per canalizzare le energie positive e le idee per focalizzarle su un obiettivo che possa veramente incidere sulla società. Credo, con rammarico, che da questo punto di vista siamo ancora fermi al palo.
    Per Francesca: abbiamo appurato che non viviamo in uno stato totalitario. A maggior ragione nessuno costringe nessuno a guardare programmi stupidi in tv. La cultura è a disposizione di chiunque ne voglia usufruire; si può noleggiare un dvd con un’opera teatrale, con un concerto sinfonico, con un documentario. Le biblioteche pubbliche raccolgono un numero sterminato di libri e chiunque sia interessato ad usufruirne non deve far altro che uscire di casa. Anche lei, infine, non compia l’errore di sottrarre qualcuno o qualcosa alle proprie responsabilità. I nostri genitori e nonni sono in egual misura corresponsabili dello stato attuale. Gli anni ’50-’60 non erano soli gli anni della “dolce vita” ma anche gli anni che hanno visto compiersi lo scempio edilizio di questo paese, gli anni che hanno visto sacrificare molti “valori” e molte regole sull’altare del boom economico. Forse il doversi sorbire il gioco dei pacchi, oggi, potrebbe essere visto come un triste contrappasso, come una di quelle beffe a cui, molto spesso, la storia ci ha abituati.
    Salute.

    (R.S.)

  7. Viva gli Italiani
    Complimenti Matteo. Solo una “postilla”: credo che l’Italia non sia (solo) quella che hai tratteggiato. Da italiano “rimasto” ti posso assicurare che l’Italia degli eroi, degli ideali, l’Italia sincera esiste… continua a vivere e respirare nonostante i 150 anni. E nonostante le sacrosante “verità” che hai elencato. Esistono gli italiani dignitosi, quelli rispettosi, gli italiani senza etichette, che non hanno neppure bisogno del tricolore. Sono gli italiani del rispetto, dell’onore, del valore (della vita). Sono gli italiani onesti, che rispettano gli impegni, i colleghi e gli amici e non è difficile trovarli proprio là “dove ci porta il cuore”. Sono gli anonimi – senza bandiere – che ogni giorno fanno il proprio dovere, con qualche allergia ai luoghi comuni, ai modi di dire, al “così fan tutti”. Forse non li hai visti per strada a sfilare; non li hai sentiti perchè non sono
    soliti urlare o gridare… Ti saranno sfuggiti perchè anche oggi non hanno indossato il vessillo o la coccarda. La loro rinuncia è umiltà, discrezione e dignità. Troppo facile apparire, agghindarsi, partecipare, farsi notare, urlare, gridare, sfilare, sbandierare, esaltare… C’è un’Italia silenziosa e modesta: è quella che continuo ad amare ed incontro lontano dai luoghi comuni e dalle “occasioni” agghindate. Credimi, non è un Italia triste o rassegnata. Semplicemente è non omologata, non ancora etichettata, è multicolore e non apprezza il clamore.

    (Commento firmato)


  8. Sono rientrato da poche ore da Bruxelles, posso dirti, Matteo, che hai pienamente ragione su tutto ciò che hai detto. Lì si vive molto diversamente da qua e penso che si stia molto meglio che in Italia, soprattutto l’ambiente del Parlamento europeo ha una certa elevatezza culturale-politica che in Italia nessuno si immaginerebbe.
    Un saluto.

    (Simone Zobbi)