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Autolesionismo: una reazione al dolore

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L’autolesionismo fisico è un è un fenomeno di cui si parla poco, ed è facile intuire il perché. L’atto di infliggere ferite e dolore acuto alla propria persona, danneggiandosi la pelle con graffi, tagli, bruciature o addirittura, nei casi più gravi, sfregi permanenti, è un qualcosa di tanto sconvolgente quanto di difficile comprensione. Tuttavia, le percentuali parlano chiaro:
circa il 22% degli adolescenti, almeno una volta, si è trovato ad auto procurarsi danni fisici.
Avere una statistica precisa dei casi di autolesionismo è comunque molto difficile se non impossibile, vista la tendenza, nella maggioranza dei casi, a nascondere le ferite inflittesi.

Considerato per lo più un sintomo che una sindrome vera e propria, recentemente è stata mossa la proposta di inserire nella nuova versione del Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V) una voce per la diagnosi di questo comportamento come un vero e proprio disturbo a se stante.

Quello riguardante l’autolesionismo si profila come un discorso piuttosto ampio e complesso, data la necessità di operare numerose distinzioni tra varie tipologie di condotte che possono essere ricondotte a questa definizione. Gli stessi disturbi del comportamento alimentare vengono talvolta catalogati come fenomeni di autolesionismo e, nel 1988, gli studiosi Walsh e Rosen individuarono 4 categorie indicanti 4 forme diverse di automutilazioni, divise per gravità e accettazione sociale, tra cui rientravano anche piercing e tatuaggi, fino alle forme più gravi e culturalmente inaccettate, come tagli, bruciature, escoriazioni, auto castrazioni e amputazioni.

Non bisogna fare l’errore di pensare che chi pratica l’autolesionismo abbia necessariamente gravi disturbi mentali. Molti studi dimostrano che spesso il fenomeno si manifesta anche in persone considerate normali, specialmente nel caso degli adolescenti, più frequentemente nelle donne, probabilmente a causa di una motivazione socioculturale:
se agli uomini viene più facilmente concesso di esprimere la propria aggressività anche attraverso lo scontro fisico, le ragazze vengono indotte maggiormente a reprimerla e, nei casi in cui questo non sia possibile, a rivolgerla verso se stesse.
C’è però da sottolineare una maggiore incidenza in soggetti affetti da disturbi psichici, in particolare nei casi di disturbo bordeline, disturbo bipolare, depressione e fobie.

Quali sono, allora, i fattori psicologici che accomunano le persone che, più o meno consciamente, si ritrovano ad auto infliggersi queste sofferenze?

Un fattore fortemente sentito, è la necessità di interrompere una sofferenza emotiva procurandosene una fisica:
nelle testimonianze di persone autolesioniste è spesso ricorrente la sensazione che, attraverso un taglio o una bruciatura, si trovi sollievo alla sofferenza psichica, evidentemente impossibile da gestire. Non a caso, i contesti familiari dell’autolesionista sono spesso caratterizzati da genitori avvezzi a metodi educativi violenti che, oltre ad inviare ai figli messaggi di scarsa stima, rendono impossibile l’imparare a gestire le emozioni in maniera adeguata. La conseguenza è un ammontare di aggressività che, quando non viene espressa in violenza verso gli altri, si rivolta contro se stessi. L’impossibilità di gestire la sofferenza emotiva non è però l’unica motivazione elicitante questi comportamenti. Altre possono essere :

1) Desiderio di attenzioni: la persona autolesionista, ferendosi, cerca di mostrare agli altri un dolore concreto (diversamente da quello psichico), in virtù del quale merita di ricevere attenzioni. Un modo per chiedere indirettamente aiuto, che spesso può tramutarsi in una forma di manipolazione degli altri;

2) Necessità di ri-stabilire i propri confini corporei: soprattutto nei pazienti affetti da disturbo borderline, i fenomeni di autolesionismo vengono letti come un rimedio all’impossibilità di sentire il legame con il proprio corpo. In quest’ottica, la percezione del dolore fisico costituisce una risposta all’intollerabile senso di apatia di queste persone, la prova che si è ancora vivi;

3) Punirsi per delle azioni fatte.

L’autolesionismo appare quindi quasi come un palliativo, una reazione al dolore interiore più difficile da gestire e tollerare.

Cosa si può fare quando ci si accorge di trovarsi di fronte ad un amico/un figlio autolesionista?

Innanzitutto è importante capire se ci si trova dinanzi ad un comportamento episodico o cronico (dai 5 e più atti lesivi):
il secondo sarà più difficile da individuare, perché si tratta dei casi in cui le ferite vengono occultate con maggiore attenzione. Ad ogni modo, che si tratti della forma leggera (tagli, scottature, fratture ecc.) o di quella latente, nascosta in disturbi più evidenti, come disordini alimentari, dipendenze da alcol e droghe o la pratica estenuante di sport, è fondamentale non colpevolizzare l’altro. Paradossalmente, l’essere rimproverato può indurre l’autolesionista ad infliggersi con maggiore frequenza le ferite e a nasconderle meglio.

E se siamo noi stessi gli autolesionisti?

La consapevolezza del proprio problema è il primo e fondamentale passo verso la guarigione. E’ indispensabile chiedere aiuto ad uno specialista e, nel caso, intraprendere una psicoterapia. Può essere utile, però, nel momento in cui si verifica la crisi, cercare di sfogare la propria rabbia su qualcosa di esterno (es: un peluche, un cuscino), praticando sport che aiutino a scaricare lo stress accumulato (es: box), cercando di distrarsi facendo altro. Una volta capito di avere un problema, rivelarlo ad una persona cara può rivelarsi un modo utile per avere qualcuno a cui rivolgersi nel momento di crisi.

Sia che siamo noi stessi quelli che attuano condotte autolesive, sia che ci troviamo di fronte ad una persona avvezza a questo tipo di comprtamenti, fondamentale è non vergognarsi, non far sentire l’altro come se fosse un pazzo o un malato di mente. L’autolesionismo è, sfortunatamente, un comportamento più diffuso di quanto si crede:
comprenderlo è l’unico modo per conoscerlo e quindi risolverlo o prevenirlo.

1 COMMENT

  1. Gruppi giovanili a rischio
    Il problema è gravissimo e non va sottovalutato. Quella dell’autolesionismo è una pratica che va via via diffondendosi sempre più tra certi ceti giovanili alternativi, i cosiddetti Emo. Per esempio, anche il nostro paese vanta già una cerchia, seppur ristretta, di questi giovani. Il problema va affrontato e risolto per il bene dei nostri ragazzi e della nostra società.

    (Giovanni Monti)