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Si possono fare i conti col proprio passato, come Michele

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Alberto Pighini

Quante volte vorremo evadere. Da una situazione. Da un lavoro. Da un luogo. Michele Piazza lo ha fatto davvero. E Michele Piazza è frutto della fantasia di Alberto Pighini. Il nuovo scrittore vive a Scandiano ma all’Appennino è particolarmente legato essendo il padre, il compianto Mauro (fondatore di Tuttomontagna), originario di Montecagno di Ligonchio, dove conserva amici e affetti.

Baudelaire diceva “chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere”. Così Michele Piazza protagonista de L’innocente evasione (Edizioni Terra marique, novembre 2011, nelle librerie di Castelnovo), terminata la giornata lavorativa, si rinchiude in una stanza al secondo piano del “Casablanca Cafè”, a pochi passi dal centro di Reggio Emilia, in compagnia solo di un bicchiere e di una bottiglia d’acqua.
Una storia, certo, diversa da quella di Alberto, sposato da sette anni e con due figlie, che, nella vita, lavora presso la Caritas diocesana di Reggio Emilia – Guastalla e, dal 2009, è assessore a Scandiano con delega ai servizi educativi e alle poltiche sociali.

Sgombriamo il campo da equivoci: c’è chi ha detto che la vicenda di Michele Piazza è ispirata a un recente fatto di cronaca nera avvenuto a Castelnovo…
“Conosco il fatto Li Pizzi per quanto riportato dai giornali in questi anni. Quando ho saputo i mesi scorsi che qualcuno voleva accostare la storia del mio romanzo a questo triste accadimento mi sono informato maggiormente, proprio per comprendere le ragioni di questo accostamento. Per fortuna non vi ho trovato nessuna attinenza, quindi oltre che nelle intenzioni anche nei fatti posso smentire che non vi sia nessun collegamento fra le due vicende”.

Una sera, al Casablanca arriva uno sconosciuto che chiede: «Posso sedermi?». Senza attendere risposta, si siede e offre a Michele la possibilità di liberarsi una volta per tutte dal suo bisogno di rifugiarsi tre quarti d’ora al giorno in un bar malfamato, alla ricerca di soluzioni agli errori commessi in passato. Un’occasione che vorrebbero molti, perché inizia in questo modo, nell’immobile staticità di quell’incontro, un viaggio che va al di là dei nove metri quadrati della stanza e al tempo stesso srotola e riannoda il tempo, portando a ricostruire pezzo dopo pezzo i momenti più significativi di una vicenda piena di ombre. Ventiquattro ore è il tempo che lo sconosciuto interlocutore, prima di dileguarsi, offre a Michele per decidere se accettare una proposta che però ha un prezzo molto alto.

Con questo romanzo di esordio di Alberto va in scena una storia che prima di tutto è un viaggio nella coscienza di un uomo che si trova a fare i conti col proprio inconfessabile passato, diviso tra la possibilità di liberarsi una volta per tutte del proprio senso di colpa e il rischio, come contropartita, di perdere quanto di più caro ha al mondo. Una narrazione che trasuda di Appennino: il lettore è accompagnato dalla voce narrante alla scoperta di un’esperienza solo apparentemente normale, come lo sono i voli col parapendio tra gli splendidi scenari della Pietra di Bismantova, la vita di paese, le serate con gli amici, il primo amore e, così, diventa partecipe della scelta di Michele Piazza, percependo la stessa fragilità alla quale l’esistenza umana sembra condannata. Ma nel finale ogni certezza viene sovvertita, a tal punto che la vicenda del protagonista non potrà che essere vista con occhi diversi.

Alberto, perché hai scelto la nostra montagna?
“L'Appennino è sempre stato per me un luogo altro rispetto alla vita quotidiana, un luogo in cui vivere i periodi di vacanza e fermare l'orologio della quotidianità, prima della scuola e poi del lavoro. Nello specifico del romanzo mi serviva costruire una dualità di luoghi, in assonanza con la dualità di vita che sperimenta il protagonista”.

E la montagna che c’entra?
“Parlo di una dualità capace di contrappore il nuovo al vecchio, il quotidiano allo straordinario, di lì è nata l'idea di contrapporre la città di Reggio, tecnologicamente avanzata al nostro Appennino così rurale ancora in certi suoi aspetti”.

Lo vivi come figli di… emigranti. Cosa ti piace di più del paese d’origine del genitore?
“Ho sempre apprezzato la capacità di conservare e proteggere la sua storia. Nel libro, così come è nella realtà, ogni luogo parla e ha almeno una storia da raccontare, senza scadere nella retorica o nel rimpianto dei tempi passati, ma pur consapevoli che fra le nostre montagne sono state scritte pagine importanti della storia del nostro paese”.

Cosa manca  alla Montecagno dove nacque Mauro?
“E' difficile per me dire cosa manca, non ho al presunzione di sapere io ciò che manca, per quello che vedo credo ci sia a volte poca coscienza, poco ‘orgoglio’ e al contrario troppa rassegnazione”.

Mauro Pighini giornalista: cosa conservi di tuo padre?
“Di mio padre conservo la gentilezza e la disponibilità, due caratteristiche che il passare degli anni non può cancellare nei miei ricordi così come in tante persone che lo hanno conosciuto. Alcuni anni fa abbiamo inaugurato un sentiero a Montecagno che porta il suo nome. Si tratta di un percorso non troppo lungo ma che in pochi minuti può far vivere luoghi storicamente diversi del paese. Nello scrivere ho raccolto certe emozioni che mi ha trasmesso della montagna, di come i luoghi fisici possano in realtà dilatarsi nello spazio e nel tempo in maniera spettacolare”.

Alberto nel tempo libero?
“Leggo molto, solitamente mi affido al mio istinto, vado in biblioteca, sfoglio alcuni libri e poi scelgo, evitando di farmi consigliare dalla pubblicità. L'ultimo libro letto è stato ‘Cosa tiene accese le stelle’ di Mario Calabresi, l'ho trovato molto interessante e positivo”.

 

(G. A.)