Home Società Corruzione, è tempo di “civil servant”

Corruzione, è tempo di “civil servant”

11
0

Partiamo dalla cronaca. Venerdì 16 marzo il Corriere della Sera, in un articolo molto interessante dal titolo “La deriva etica della classe politica e l’esame di coscienza che non c’è”, affermava: “La Regione Lombardia non può restare impantanata a lungo nella ragnatela corruttiva. È uno dei motori del Paese, è la prima in Italia per reddito prodotto: i suoi primati non possono essere oscurati dall’imbarazzante contabilità degli arresti ormai vicini a quelli di Calabria e Puglia o dal sospetto che si ruba per fare politica e si fa politica per rubare.” E l’articolista, il vice direttore Schiavi, invitava Roberto Formigoni “a soare nella nebbia, a chiedere una discussione franca e aperta su certi aspetti egenerati della politica, sulla corruzione e sull’intreccio tra politica e affari”. Il giorno dopo il presidente della Regione Lombardia ha risposto sul Corriere della Sera a questo invito. Dopo avere sostenuto che “la corruzione da noi non è per nulla un sistema” e di avere già fatto molto per ridurla, egli si è detto disposto a partecipare a un pubblico dibattito, perché “sono aperto, come sempre, a ulteriori suggerimenti o proposte da qualunque parte provengano”.

Ma nello stesso giorno e sullo stesso giornale, Piero Ostellino scriveva: “Nessun politico è disposto ad approvare leggi che gli riducano il potere e i margini di discrezionalità. (….) La corruzione si diffonde quando i costi sono bassi e i guadagni alti. La si combatte sia riducendo le opportunità di farvi ricorso, sia facendo in modo che i costi di decisioni che ne siano il frutto superino i benefici”.

È nostra convinzione che il cancro della corruzione nel mondo politico debba essere affrontato partendo dalla “base”, ossia dalla qualità delle persone chiamate a diventare “civil servant”, felice definizione di una professione, che dovrebbe essere tra le più nobili nel mondo del lavoro. È indubbio che in Italia questa qualità è andata via via peggiorando con l’aumento esponenziale delle opportunità di guadagno che la politica offriva e, più recentemente, con la legge elettorale “porcellum” di Calderoli e la possibilità di far carriera con il meccanismo della cooptazione dall’alto attraverso le “finte” - perché senza preferenze date ai candidati - elezioni libere.

Dagli anni ‘60 agli anni ‘80 queste opportunità derivavano dal crescente peso dello Stato (arbitro e giocatore) nel sistema economico del Paese, tanto da determinare uno scandaloso conflitto di interessi con l’invasione degli uomini politici nel mondo dell’economia, un fenomeno previsto, temuto e invano combattuto negli anni ‘50 da quel grande profeta inascoltato che fu don Luigi Sturzo.

Come sbagliata reazione a questo fenomeno nei due decenni successivi si è passati al conflitto di interessi opposto, con l’ingresso di molti imprenditori nel mondo della politica, tanto da far dire al sindaco di Bari, Michele Emiliano - pure lui preso di mira dalla magistratura inquirente - che “20 anni di berlusconismo hanno reso difficile anche per me tenere fuori le imprese dalla politica”.

L’enorme afflusso di denaro pubblico e privato nelle mani dei partiti non poteva che creare un vasto sistema di corruzione e malaffare, con tanti saluti al positivo ruolo del “civil servant”. Entrare nei partiti per fare politica voleva e vuole dire essenzialmente fare “business” per fini privati e di potere personale, senza alcun impegno per la buona gestione del Paese.

Ma neppure impegno per la buona gestione dei partiti, tutti in profondo rosso e sempre alla ricerca di nuovi soldi. Il tesoriere del Pd, l’onorevole Ugo Sposetti - che proviene dal vecchio Pci ed è esperto di queste cose (vedi “Partiti S.p.A.” di Paolo Bracalini, Ed. Ponte alla Grazie) - ha di recente svelato che “nel 2001 i Ds avevano 1.130 miliardi di v vecchie lire di buco, erano sull’orlo della bancarotta. Forza Italia, nata solo 6 anni prima, era già gravemente indebitata con 380 miliardi di debiti”.

Oggi, dice con orgoglio Sposetti, il debito del Pd è sceso a 100 milioni di euro grazie a una sua idea “riparatrice” concordata con i tesorieri di Forza Italia e della Lega: quadruplicare con la legge n. 345 del 2002 l’importo dei rimborsi elettorali. Ma il tutto, aggiungiamo noi, nella massima opacità dei bilanci e senza alcun controllo efficace sull’utilizzo appropriato dei fondi.

Quanti altri Lusi sono oggi in circolazione? In queste settimane, sotto la spinta emotiva dei recenti scandali scoppiati in quasi tutti i partiti, verranno presentati alla Camera diversi ddl di riforma sul finanziamento della politica. Tutti propongono il mantenimento di un pesante contributo pubblico; l’unica novità è l’aumento dei controlli per evitare altri scandali.

L’onorevole Sposetti è il primo firmatario della proposta di legge n. 3809, dove si dice fra l’altro: “È nostra ferma convinzione che negare, o fornire in maniera inadeguata, risorse alla politica significa colpire al cuore la democrazia (…), è l’idea per cui il più ricco avrà sempre maggiori opportunità di condizionare la vita di tutti.” E al giornalista Luca Telese, che gli chiede maliziosamente “non è il caso di dare meno soldi ai partiti?”, Ugo Sposetti risponde: “Io ne darei di più”. Evidentemente ha fretta di restituire alle banche il debito residuo di 100 milioni…

Un minimo discernimento etico ci dovrebbe portare a respingere questa visione “statalista e assistenziale” della vita dei partiti, essendo convinti che è proprio una simile visione che rischia di “colpire al cuore la democrazia”. Riteniamo che sia giunto il tempo di tagliare il cordone ombelicale che collega - senza il permesso dei contribuenti, anzi con il loro (inascoltato) divieto - il denaro pubblico con le casse dei partiti. Fra poco più di un anno questa legislatura finirà: vedremo se ci sarà un sussulto di dignità e consapevolezza nei partiti.

Ci piace qui ricordare un profondo pensiero espresso dall’allora (1988) card. Joseph Ratzinger: “Se noi cristiani non siamo convinti e non riusciamo a convincere, non abbiamo il diritto di essere pubblici. In tal caso dovremmo riconoscere di essere superflui. L’unica forza attraverso la quale il cristianesimo può acquistare una valenza pubblica è, in definitiva, la forza della propria verità interiore”.

(Luigi Bottazzi - Tratto da "La Libertà", del 31 marzo 2012)