Home Economia I caseifici d’Appennino vendono di più negli spacci

I caseifici d’Appennino vendono di più negli spacci

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Prova a scrutare nel proprio futuro l’agricoltura reggiana, partendo da una ricerca che la Provincia ha commissionato al Centro ricerche produzioni animali (Crpa) e chiamando esperti e soggetti interessati ad un confronto d’idee. Manca il ministro Catania, trattenuto all’ultimo momento a Roma dai delicati impegni del Governo in queste ore, sostituito dal dirigente del Ministero per le Politiche agricole comunitarie, Giuseppe Di Rubbo. “L’agricoltura reggiana fra cambiamenti strutturali, effetti della crisi, opportunità del Piano di sviluppo rurale” il tema introdotto questa mattina alla Cantina Albinea-Canali dall’assessore provinciale Roberta Rivi, che ha sollevato subito alcune problematiche importanti, partendo dalla presenza dei giovani nel settore primario. A Reggio, secondo i dati del censimento 2010, sono il 7% i titolari di aziende agricole entro i 40 anni: è un dato in linea con la situazione europea e regionale, doppio rispetto alla media italiana, ma tuttavia non lascia tranquilli rispetto al futuro. C’è un problema di ricambio, ma anche di disponibilità di terreni che sempre più interessano anche soggetti esterni al settore agricolo. Un dato positivo viene dalle scuole agrarie che aumentano le iscrizioni: “Come Provincia, nonostante sia quella in regione che ha insediato più giovani e speso di più in questo settore attingendo alle risorse del Piano di sviluppo rurale, non abbiamo avuto risorse sufficienti per finanziare tutte le domande di insediamento di giovani”, si rammarica l’assessore. Per Roberta Rivi “l’agricoltura oggi rappresenta un’opportunità importante, visto che l’agroalimentare vale nel nostro Paese 250 miliardi, esporta molto, ed è uno dei settori che ha più futuro, anche nella prospettiva di una ‘green economy’”. 
In definitiva, l’agricoltura è una risorsa su cui contare per lo sviluppo, ma servono ancora altri fattori, come è emerso dal dibattito: aggregazione, dimensione competitiva, legame col territorio, internazionalizzazione.
Kees de Roest del Crpa ha illustrato lo studio che ‘fotografa’ i settori più importanti dell’agricoltura provinciale (lattiero caseario, vitivinicolo, suinicolo e cerealicolo) e che si concentra poi sulle forme di integrazione del reddito esistenti e passibili di interessanti sviluppi futuri. La vendita diretta di 66 caseifici, dotati di negozio o ‘spaccio’, che rappresenta l’8,5% dell’intera produzione di Parmigiano-Reggiano, ma è al 6% in pianura ed al 14 in collina. Il vino che è venduto dalle cantine direttamente, anche in questo caso oltre l’8% della produzione, anche se i quantitativi importanti sono legati allo sfuso in damigiana o altri contenitori. Ben 50 impianti fotovoltaici in aziende agricole e 4 di biogas, che producono un reddito di oltre 3,5 milioni annui; 62 agriturismi che hanno portato incrementi di reddito ed impiegano 305 persone; 35 fattorie didattiche, che nel 2010 hanno ospitato oltre 15mila bambini e ragazzi. Complessivamente questo reddito integrativo assomma a quasi 17,5 milioni e rappresenta il 5% della produzione agricola, con margini di crescita notevoli.
Il professor Franco Mosconi dell’Università di Parma ha cercato di delineare come affrontare l’attuale crisi, rilevando come l’agroalimentare rappresenti un settore importante per l’Italia, ma particolarmente per l’Emilia-Romagna che rappresenta il 20% dell’export nazionale. “Ma in mancanza di una significativa ripresa interna nei prossimi anni – ha aggiunto Mosconi - aggregare ed internazionalizzare resta la strada principale da percorrere, per cercare d’intercettare la crescita mondiale e degli scambi”.
Giuseppe di Rubbo, dirigente del dipartimento delle Politiche comunitarie del Ministero dell’Agricoltura, ha concentrato il proprio intervento sulla materia comunitaria e la riforma Pac, sottolineando in particolare la valenza positiva dell’esistenza di una posizione condivisa da tutti gli attori per quanto riguarda l’Italia, “e questo rafforza il ruolo negoziale del ministro e del Governo italiano”.
Dopo un appassionato dibattito - ricco di spunti di riflessione, ma anche di preoccupazioni - è stata la presidente della Provincia di Reggio Emilia, Sonia Masini, a chiudere i lavori, esprimendo innanzitutto una preoccupazione “che avrei voluto sottoporre al ministro ovvero che, al termine delle riforme che stanno avvenendo in modo purtroppo frettoloso per la necessità di far quadrare i conti perché in passato non si è riformato come si sarebbe dovuto, si torni a far gestire l’agricoltura alle Regioni o a chissà chi altri”. “Sarebbe gravissimo, perché si allontanerebbe la politica agricola dai territori penalizzando il settore con una burocrazia che già oggi è pesante – ha detto la presidente Masini -  E non si tratta di difendere l’esistente, perché siamo stati tra le prime Province a ridurre apparati e spese correnti, a cercare di spingere sugli investimenti e anche per questo abbiano conti più in ordine di altri: si tratta di non penalizzare un settore fondamentale per il nostro Paese, per il quale faremo il nostro dovere fino alla fine”.
“Ricordo quando negli anni della speranza della crescita industriale prima e dello sviluppo tecnologico poi si riteneva l’agricoltura condannata a diventare obsoleta e a scomparire – ha continuato la presidente della Provincia - Oggi c’è, per fortuna, una nuova consapevolezza anche culturale: l’alimentazione mondiale ha bisogno di un’agricoltura che funzioni e qui dove è presente una storia millenaria che ha raggiunto raffinatezze che tutto il mondo apprezza, occorre valorizzare come merita questo settore”. C’è infatti un legame identitario tra l’agricoltura e il nostro territorio “che rappresenta un valore intrinseco e un valore aggiunto per l’economia, e questo legame va sviluppato, non impoverito”. “E’ vero che oggi la congiuntura è favorevole, l’export cresce, ma gli sforzi e  le fatiche dei produttori non sono state ricompensate come meritavano, l’agricoltura non ha avuto il business di altri settori, hanno guadagnato molto di più gli speculatori finanziari rispetto a generazioni di produttori che di padre in figlio hanno faticato nei campi”, ha aggiunto.
Infine, la presidente Masini ha auspicato che le nuove politiche agricole comunitarie smettano di limitare le produzioni: “Il made in Italy ha bisogno di aumentare l’export, dunque dovremmo sviluppare con giudizio non solo la qualità, ma anche la quantità dei nostri prodotti – ha detto – L’agricoltura è il settore primario, ha bisogno di agevolazioni, non di assistenzialismo, non bisogna ripetere gli errori del passato quando si sono spinti i produttori ad abbandonare i campi perché guadagnavano smettendo di produrre grazie ai contributi europei o vendendo i terreni a chi voleva costruire…”.