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“Lo avevo visto molto stanco, ma non avevo mai avuto l’impressione che volesse rinunciare”

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È a Castel Gandolfo che Papa Benedetto XVI resterà fino a maggio circa, in attesa che sia ultimata la ristrutturazione del monastero dove andrà poi ad abitare. Ed è lì che, due anni fa, si è conclusa un’altra significativa opera di restauro, voluta dal Papa: quello della chiesa parrocchiale San Tommaso da Villanova, opera del ’600 del grande maestro Gian Lorenzo Bernini, considerata un suo capolavoro. Il restauro porta la firma del prof. Rosario Giuffrè, 75 anni, noto architetto e accademico romano, il cui figlio Enrico, cura, con Rinaldo Maria Chiesa, un’azienda agricola proprio nel nostro Appennino, a Carù di Villa Minozzo, l’azienda "Eredi Donnini Amerigo".

“La chiesa era ridotta in pessime condizioni – spiega Giuffrè, progettista, direttore e responsabile dei lavori – e il restauro è durato quasi 4 anni. Abbiamo riportato l’edificio agli aspetti eccezionali del progetto berniniano, recuperando anche il campanile in ferro. Si tratta dell’ultima opera importante, in ambito religioso, di cui mi sono occupato”.

In quell’occasione Giuffrè è stato ricevuto da Benedetto XVI. “Avevo incontrato altre volte il Papa – racconta l’architetto –, in conferenze o eventi culturali, come succede spesso a chi frequenta l’ambiente (il Vaticano), semplici ossequi. Per il restauro, invece, è stata la prima volta che abbiamo veramente dialogato”.

L’incontro più significativo ed emozionante, per l’architetto, è stato proprio all’inizio dei lavori: “Abbiamo regalato al Papa una campana, a lui dedicata – continua –. Ho provato a inchinarmi, lui mi ha detto ‘Che fa professore?’, e siamo stati 4 o 5 minuti mano nella mano, a parlare. Abbiamo scherzato, gli abbiamo presentato la campana, mi ha chiesto che nota avesse. Fortunatamente me l’ero fatto dire dal campanaro, era in sol, ma non sapevo se maggiore o minore. Poi mi ha chiesto se potevamo suonarla. Gli ho detto ‘È sua, suoni’”.

Quello che lo ha colpito maggiormente è stato lo sguardo di Ratzinger. “Mi ha dato l’impressione di essere un uomo di vastissima cultura – rivela –, un grande intellettuale, attento, indagatore. Ma soprattutto, di lui, mi ha impressionato la grande umiltà, la mitezza e lo sguardo di gioia”.

“Di Benedetto XVI – sottolinea poi l’architetto, la cui casa sembra una vera libreria – ho letto molte cose, specialmente le sue encicliche. La terza, in particolare, è molto importante: è il primo Papa che parla del rapporto tra finanza, dignità della persona e rispetto del lavoro, in un modo modernissimo. Aspettavamo anche la quarta, sulla fede”.

Di origini salernitane, il prof. Rosario Giuffrè vive a Roma dai tempi degli studi universitari in architettura. Sposato, con quattro nipotini e tre figli, Ernesto, architetto e designer, Enrico, archeologo e coltivatore, e Chiara, esperta di marketing e cinema e il cui marito lavora allo Ior, ha un suo studio di architettura a Roma. Ma Rosario non è solo architetto. Medaglia d’oro degli architetti romani, è stato professore ordinario di "Cultura tecnologica della progettazione" e "Progettazione ambientale", preside e rettore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, coordinatore dell’"Ufficio per i beni culturali" della diocesi romana, al Laterano, membro della "Pontificia commissione di arte sacra", presso il Vicariato di Roma, ed è tuttora consulente ai Musei vaticani.

Ha sempre continuato ad essere contemporaneamente insegnante, architetto e ricercatore, svolgendo, a livello europeo, attività di ricerca sui problemi dell’energia, del rapporto fra l’etica e la professione e del rapporto con la religione.

“Ho scelto di proposito la cattedra di Reggio Calabria – racconta il professore – per poter creare una scuola e fare testimonianza in una zona particolarmente delicata. In tutti questi anni, fino al pensionamento, due anni fa, ho sempre gestito l’ateneo senza mai cedere o acconsentire che si potessero fare operazioni non pulite. Ho annullato gare e fatto risparmiare milioni all’università. Non ho mai consentito a qualcuno di poter interferire. Ho vissuto con minacce continue. Ma sono vivo, sono qua. Se noi cattolici viviamo con la paura, non faremo mai nulla. Sì, la paura c’è, ma se uno è tranquillo con se stesso, riesce a fare quello che deve fare ed è più rispettato, anche dai malavitosi”.

“Ho sempre tenuto la barra ferma – tiene poi a precisare – su alcuni concetti: grande maturità e responsabilità scientifica, sia nella ricerca sia nell’insegnamento, rigore tecnico scientifico nella progettazione, e assoluto senso etico morale in tutti i comportamenti, non preoccupandomi dei soldi”.

Giuffrè ha iniziato a lavorare in ambito religioso con il cardinale Poletti, prestando assistenza e consigli al Vicariato di Roma, attività intensificatasi con il cardinale Ruini e proseguita poi con l’attuale vicario cardinal Vallini e con il direttore dell’"Ufficio per l’edilizia di culto" e la sezione "Arte sacra e beni culturali", mons. Liberio Andreatta. Per questa sezione del Vicariato, con il quale, già con il vescovo mons. Mandara, ha perseguito una politica di nuove chiese, innovando le tipologie ecclesiali e curando tutto il settore dei restauri delle chiese storiche a Roma, è diventato un punto di riferimento.

Tutte la mattine si reca in Laterano e, spessissimo, durante la settimana, ai Musei Vaticani, dove ha la possibilità d’incontrare personalità diverse, ecclesiastiche e laiche. “Anche due giorni prima dell’annuncio della rinuncia del Papa – afferma – ero ai Musei vaticani. Non si sapeva assolutamente nulla. Nessuno ne era a conoscenza. Negli ultimi tempi lo avevo visto molto stanco, questo sì, ma non avevo mai avuto l’impressione che volesse rinunciare”.

E conclude: “In Vaticano, come nella città, si è subito propagata un’atmosfera di smarrimento. Ma non sono rimasto scosso dalla notizia. Ho visto tre cose in questo gesto: una grande forza intellettuale e culturale, Ratzinger misura le cose nella storia, non nel quotidiano; un grande senso di fede e di umiltà, dando spazio ad altri, ritiene di poter continuare a servire Cristo nella preghiera e nel silenzio; infine un grande coraggio, da 700 anni nessuno l’aveva mai fatto”.