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QUINDICESIMA SETTIMANA
7– 13 Aprile 2013
La quaresima ormai è un ricordo lontano. La natura sta dando il meglio per mettere in mostra tutti i colori e i profumi della primavera. Pasqua quest’anno è stata “bassa”. C’è anche per lei un arco di tempo oltre i limiti del quale non può “cadere”. Quest’arco va dal 22 Marzo al 25 Aprile:
Di Marzo il 22 vien la Pasqua più bassa;
d’Aprile ai 25 ci arriva ma non li passa.
Da noi il detto era più sbrigativo:
Vênla âlta, vênla bàsa,
Sàn Mârch la n’al pàsa.
PROVERBI
E sul tema della Pasqua alta o bassa abbiamo abbondanza di proverbi. Il più noto:
Alta la Pàsqua / bàsa la fràsca;
bàsa la Pàsqua, / alta la frasca.
E quest’anno la vegetazione dovrebbe essere in anticipo. E per il grano? Magari, nel vedere tanta vegetazione in giro, ci potrà sembrare in ritardo. Diamo tempo al tempo:
Al furmênt in Avrîl
làsel durmîr.
Interessante la riflessione di chi ha dettato questo motto:
L’acqua d’Aprile
il bue ingrassa,
il porco uccide,
e la pecora se ne ride.
In altre parole: l’erba fresca fa bene ai bovini; nuoce al maiale perché lo fa gonfiare con rischio di soffocamento, le pecore se ne infischiano perché loro sono sempre al pascolo. Ma anche la temperatura ha i suoi vantaggi:
Aprile freddo da sera a mane
dà gran copia di vino e pane.
AL BÊN
Il timore della morte improvvisa e del Giudizio è forte fra la gente normale. Alcuni testi alludono al giudizio come ad una valutazione della vita, come questo.
PRIMA DI CORICARSI
dialetto di Sassuolo
Sgnòur, a m’ tràgh šò;
a n’ sò s’a m’alvarò.
S’a gnìs col malvâ-g
l’ànma mia a la làs,
a la làs a Sän Michêl
ch’a la pêša, ch’a la läva,
ch’a la mäta indò l’è lû.
Sia bendäta st’urasiòun
e quânt a l’imparäm.
Signore, mi corico. Non so se mi alzerò. Se arrivasse il maligno lascio l’anima mia; la lascio a S. Michele che la pesi (valuti), che la lavi (la purifichi), che la porti dove state Voi. Sia benedetta questa orazione e quanti la impareremo.
FILASTROCCA
LA PULÊNTA
La pulênta d’ furmentûn
a chi vè-c la n’ ghe fà bûn;
i šuvnòt la i spavênta,
va a fât fùter la pulênta.
La pulênta d’ furmentûn
la sadùla ma la n’ fa bûn;
la sadùla ma la n’ acuntenta:
gh’ gnìsa un cûlp a la pulênta.
La pulênta d’ furmentûn
a la màngia i pu’ cujûn;
e nujêtr’ i’ sèma d’ chî:
ch’i s’ berlèchi fîn i dî.
Ad pulênta benedèta
a gh’é piêna la parlèta;
la parlèta l’ê d’ ramûn,
la s’ pulìsa cun al sabiûn,
cun al sabiûn fîn e gròs,
pu’ la s’ lâva in rîva al fòs.
INDOVINELLO
Eccovi un altro indovinello a doppio senso:
La sêrva dal munâr la zîva
che d’ pêl la n’a gh’n’îva.
A s’ gh’é rut la sutanîna
e s’ n’é vist ‘na muciadîna.
(La pannocchia di granoturco).
POESIA
ERA GIÀ L’ORA CHE ...
di Savino Rabotti
Mi è capitato di sostare alla finestra e di osservare in giro. E mi è tornato a mente il verso di Dante: Era già l’ora che volge il desio.
L’é l’ûra d’i ricôrd, d’ la nustalgìa!
L’é l’ûra da stricâr sú l’ús ad ca’,
d’andâr a tâvla insèm a la famìa
pr’un pô d’ calûr, pr’un pô d’ serenitâ!
Al mùnd, fîn a pôch fa’ ciâr, luminûš,
al šmôrsa i lúm, l’é adrê ch’al s’adurmênta!
Deddrêda ai mûnt al sûl l’é bèli scûš,
l’arpôš tút la natûra l’acuntênta!
‘Na strèla premurûša la s’apìa
pr’ atirâr l’atensiûn a guardâr al cêl;
i mûnt i’ s’ crövne, adäši, cûn un vêl,
... e ‘l campanîl al sûna: Ave, Maria!
Pugiâ a la fnèstra i’ cûnt al strèli: quânti!
Al pârne un brânc ad pégri int ‘na pradîna!
La lûna la gh’ha prèsia, la và avânti,
e i bòsch i’ màndne sú ‘na nebiulîna...
Un muturîn l’incrèspa la nutâda ...
po’ l’armûr d’un tratûr šmursâ, luntân
cùma un ricôrd. A s’ sênt al bàj d’un cân...
e ‘l turtarîni a fâs la serenâda...
... la sinfunìa d’ i grìl, una sigâla
ch’ l’ê ‘rmâša indrê e la fnìsa la cansûn;
l’udûr ad l’êrba frèsca, apèna šgâda,
ch’ la šlârga ‘l böghi, l’impìsa i palmûn!
La quêrsa, d’ nâns a ca’, câlma, maestûša,
la möv al föj piân piân, cmé ‘na carèsa;
e a pâr ch’ la dìga: “Guârda quanta blèsa,
e quanta pâš! Va’ a lèt, adèsa, e ‘rpôša”!
È l’ora dei ricordi, della nostalgia! / È l’ora di chiudere l’uscio di casa / di sedersi a tavola con la famiglia / per un po’ di calore, un po’ di serenità! // Il mondo fino a poco fa’ chiaro, luminoso, / spegne i lumi, sta per addormentarsi! / Il sole dietro i monti s’è già nascosto, / e il riposo accontenta tutta la natura! // Una stella premurosa s’accende / per convincerci a guardare il cielo; / lentamente i monti si coprono di un velo... / ... e il campanile suona l’Avemaria! // Appoggiato alla finestra conto le stelle: quante! / Assomigliano ad un gregge su un prato! / La luna ha fretta e va avanti, / e i boschi diffondono una nebbiolina... // Un motorino increspa la notte... / poi il rumore di un trattore smorzato, lontano / come un ricordo. Sì ode un cane abbaiare... / e le tortore farsi la serenata... // ... la sinfonia dei grilli, una cicala / in ritardo che termina la canzone; / l’odore d’erba fresca, appena falciata, / che allarga le narici, empie i polmoni! // La quercia, avanti a casa, calma, maestosa, / muove le foglie adagio, come una carezza; / e sembra dire: “Guarda che bellezza: / e quanta pace! Ora va a letto e riposa”!
USANZE
IL CANTAMAGGIO
Fino all’inizio della seconda guerra anche da noi c’era qualche reminiscenza del Cantamaggio. Non confondiamo il Cantamaggio col Maggio drammatico. Quest’ultimo prevede una compagnia di attori-cantori e un testo impegnativo, a sfondo drammatico. Il Cantamaggio invece si celebrava nella notte tra il 30 Aprile e il Primo Maggio. Un gruppetto di giovani andava in giro per il paese fino all’alba cantando strofe di carattere amoroso all’indirizzo delle ragazze del luogo. In cambio ricevevano dolci, cibarie, vino che poi consumavano in compagnia durante il giorno seguente. Ogni paese aveva il proprio paroliere che ogni anno componeva testi nuovi, rigorosamente in quartine di ottonari. Il tema era sempre lo stesso, per cui risultava difficile rinnovarsi: omaggio ai padroni di casa, augurio di felicità, allusione alle ragazze da marito. Quand’ero piccolo era sopravvissuta solo questa quartina:
Siam venuti a Cantar Maggio
con la gola del formaggio.
Il formaggio era finito,
cantar Maggio abbiam finito.
Con la variante:
Il formaggio era beghìto,
canta forte figlio ardito.
Cosa poi c’entrasse il figlio ardito non l’ho ancora capito.
SAGGEZZA ANTICA
ERRARE HUMANUM EST
Alla lettera: sbagliare fa parte della natura umana. Ed è comprensibile. Ma la massima ha un seguito che raramente viene ricordato poiché non ammette scuse per chi è recidivo: ma perseverare nell’errore è diabolico.
SUPERSTIZIONI
IL FERRO DI CAVALLO
Di per sé porta fortuna. Bisognava però trovarlo sulla strada, dopo che un bel cavallo da tiro lo aveva sentito sfilarsi dallo zoccolo e restare fra la polvere. Ma per valorizzarlo a pieno bisognava fissarlo alla porta di casa, ben fermo perché non facesse gola a qualcuno. In quel modo tutta la famiglia sarebbe stata preservata dal malocchio e dalla sfortuna.
SATIRE
Ricciardo Guidetti non ha molta stima delle proprie vittime. Anzi, leggendo le sue satire sembra proprio che le consideri la feccia della società. In un componimento intitolato RIMPROVERO AMOROSO, ove ci descrive le ambizioni di un giovanotto in cerca di una compagna ma disprezzato da tutte le ragazze del luogo, ce lo presenta così:
Per farvi meglio intendere
io vi darò una prova:
vedrete se un più asino
al mondo mai si trova.
.....
... entra in una stalla
dove era pien di gente.
Lui entra baldanzoso.
Sembrava il presidente.
Poi vide in quell’istante,
assieme ad altre femmine
la sua desiata amante.
Si fece avanti subito
e poi vi andò appresso,
...
Con bel garbo e maniera
lei gli disse pian pianino:
“Vai via, Giacometto,
non ti voglio vicino”.
... Ma lui voleva insistere.
E lei alzò la voce
verso di questo allora:
“Io non ti voglio appresso.
Non lo hai capito ancora”?
Come avrete notato le parole non hanno il significato solito. Per esempio Desiata amante lo è solo nei pensieri del ragazzo. O, come vedremo adesso, fare l’amore significa semplicemente frequentarsi. Non ancora pago il giovanotto tenta un’altra avventura ma anche questa volta gli va male:
...ma prima di partire
lui domandò il favore
ad un’altra giovinetta
di far con lui l’amore.
.......
E ancor questa gli diceva:
“Io non ti voglio appresso.
Tu sei scarto di leva”.
CURIOSITÀ
CASCATA DEL TASSARO
MULINO DELLA PIAGNA
È stata definita ”uno dei più belli salti d’acqua dell’Appennino Reggiano” [A. Nobili – Viaggio nell’Appennino Reggiano – AGE – 2000]. È alte sette/otto metri. Si trova sotto Crovara e Scalucchia, lungo il corso del Tassaro, in una gola con ai lati pareti di arenaria alte una trentina di metri, e dove non batte mai il sole. Ci si arriva dal Tassobio, vicino a casa Cattoi, o da Scalucchia. E magari, già che ci siamo, si può dare un’occhiata a ciò che resta del Mulino della Piagna, ormai in completo abbandono, situato sotto il ponte tra Crovara e Scalucchia. Censito nel 1897, prende nel tempo diversi nomi: di Scalucchia, di Cajolla, della Piagna. Sfruttava l’acqua del Tassaro e del rio Riolcò. Disponeva di due coppie di macine, una per il grano e l’altra per le misture, e sfruttava il movimento orizzontale tramite ritrècine, poi mescoli. Ha cessato di lavorare nel 1965.
MEDICINA EMPIRICA
IL CANE COME TERAPIA
Il cucciolo appena nato si applica, a gambe aperte, sulla testa di chi soffre di malattie mentali. Domanda stupida: chi è più matto, l’ammalato o chi lo cura? Il sangue di cane deterge e consolida. Può essere usato per sciogliere il sangue rappreso. Ma lo si usava anche per combattere la sordità, la gotta e la rogna.
GIOCHI
COME IMITARE IL GALLO
Si raccoglie una foglia bella larga di grano o di altra erba simile, si inumidiscono con la saliva i lati esterni dei due pollici, vi si appoggia la foglia e si premono fra di loro i pollici. Tra le due dita resta un piccola apertura. Si appoggiano le labbra su questa apertura e vi si soffia dentro con tutta la forza. Con un poco di abilità ed altrettanta fortuna si ottiene un suono rassomigliante al canto del gallo. Modulando il fiato ci si può avvicinare quasi alla perfezione.