Luce e sole, ieri, a Selvapiana in Festa. Bancarelle e attività artigianali negli angoli più remoti del paese, fiori ovunque e viavai di persone fin dal mattino. E nel cortile dei Fontana un nutrito gruppo di poeti. Penso si sarebbero trovati bene anche Verdi e Pascoli. Il concorso infatti era dedicato al loro ricordo: cento anni dopo la morte di Zvanìn e duecento dalla nascita del cigno di Busseto.
Hanno partecipato tantissimi alla manifestazione, provenienti da tutta Italia. Tra questi 35 erano firme nuove presenti per la prima volta. Nonostante la difficoltà del tema suggerito il livello dei testi inviati è stato buono, ottimo in alcuni casi.
Si è qualificato primo Borciani Arturo di Scandiano con la poesia in dialetto Luntân da ca’. Al secondo posto Rosa Dalla Salda di Rubiera che ha rivisitato in chiave attuale La nostra sera del Pascoli. Al terzo posto Corrado Zanol di Capriana di Trento con Sgōli (Voli). Quarto posto ex æquo tra Lidia Grisanti di Vezzano con Le mie cinciallegre, e Daniele Locchi di Firenze con Quel XXV Aprile. Un premio extra, designato dal pubblico presente, è stato assegnato a Graziano Gigli di Civago dal titolo: Lasme sugnâr.
Il mattino lo abbiamo dedicato all’ascolto delle poesie a concorso, in un’atmosfera di raccolto stupore. Subito dopo il pranzo la premiazione.
Pubblichiamo di seguito i testi.
TESTI PER IL CONCORSO
LA PIAZZA
di Aiuti Simona da Alatri
All’alba il sogno s’assopisce, mentre i miei passi risuonano solitari,
sospinti dal vento che scivola lungo i palazzi barocchi
troneggianti attorno a quest’antica piazza che tutto ha visto.
Scivola via pure la notte con l’affievolirsi dei lampioni,
e nel silenzio la luce incalza,
facendo luccicare lo zampillio della fontana sotto il monumento.
E’ un momento magico questo, senza tempo,
uguale e simile a quell’epoca, quando c’era il papa re!
Avanza piano anche un raggio di sole tiepido
sulla facciata della Cattedrale,
dove i condannati chiedevano pietà,
con scintille colorate sulle vetrate a mosaico,
poi sulla meridiana che sta là da sempre
e infine un ventaglio di luce colora le fronde degli alberi
Dorme ancora la piazza, dove un tempo
le guardie portavano i briganti a morire,
la cui sorte non valeva che qualche baiocco,
e la salvezza dal boia era svanita laggiù oltre la frontiera.
Sembra un secolo, no è molto di più!
Sul sangue dei briganti che non saranno mai italiani
si sparge un po’ di segatura e si butta un secchio d’acqua!
Ma furia incontenibile dell’esercito di milleottantanove uomini
ha schiantato le frontiere, ha scardinato le catene,
e deposto la scure del boia del papa re!
Ora qui scende la notte, scende anche il silenzio sulla piazza,
scroscia solo la fontana antica,
si addormentano le persiane socchiuse dei palazzi barocchi,
sopra pesanti fregi come inesorabili occhiaie secolari che tutto hanno visto.
TERRA
di Albertini Normanna da Felina (RE)
Ritmo e danza verde ondeggiante
festa di chiome, di pietre e messi
musica d’erbe, di fiori e profumi;
l’ombra di nuvole inerpicate,
lente nel correre del giorno,
sui fianchi sensuali
sui seni e sui ventri
sulle nuche bionde
delle colline.
Bionde di sole e grigie, a volte,
di nebbia
sfumata, increspata dal vento
laggiù sul fiume
a ovest.
Noci, nere d’autunno e fichi,
piccole pere dorate, uva
nera sul pane caldo
nero
ancora vestito
di braci e cenere.
Caldo grembo di madre: terra nera,
fertile terra paterna
materna, terra dorata,
arata,
calda terra di grano maturo,
falciato,
terra raccolta in riposo
bianco,
silenzioso, ovattato
di neve.
Lieve tu avvolgi, terra, lo spirito,
madre amorosa, utero,
lieve scaldami
tienimi
rimani in me,
contienimi.
Ch’io non possa dimenticare
il grano maturo
falciato
lo strame tagliente
crepitante
il lesto affrettarsi della pernice
e, in volo sparlante, l’allodola
impaurita, fuggita
per lo strame crepitante
tagliente
sotto i miei passi.
TI CHIAMERÒ PER SEMPRE
di Baldini Mariagrazia da Bagnacavallo (RA)
Ecco,
la sera si adorna con i suoi colori
ed io mi affaccio oltre la mia nuvola.
Volgo lo sguardo verso le finestre
ancora aperte e cerco il tuo volto.
Ho già nostalgia della tua voce
che sussurra di me
ai fiori notturni e alle lucciole
lungo i canali e i fossi.
Sii dolce con me,
quando planerò oltre le stelle,
non lasciare che cada.
Con le tue braccia modellami una culla
e riscaldami con mille carezze
perché ti chiamerò per sempre “Mamma”.
AL RISVEGLIO
di Barani Maria Rosa da Reggio Emilia
Sorpresa all’alba
la quiete dell’anima:
rosso sole
lentamente s’affaccia
sempre più s’innalza
ed è mattino.
SOLO LA MORTE...
di Bertolotti Annalisa da Reggio Emilia
Solo la morte realizza l'illusione
rendendo imperitura
un'era della vita: l'era più pura,
soave e immacolata;
l'età dei sogni di quando si è bambini.
Solo la morte a catturare il tempo
di quando il sole illumina lo sguardo
che, impavido e stupito, si rallegra
sui pentagrammi della fantasia.
Resta un'immagine, nell'iride scolpita:
lassù, nel cielo terso, un aquilone
e, dentro al cuore, risplende un'emozione
che non si estinguerà nel vento della vita...
Non un dolore a spegnere l'incanto;
mai l'amarezza delle tragedie umane;
mai lacrime, singhiozzi, mai un pianto
tra il quieto gracidare delle rane.
Mai quella vana attesa di chi ami,
che, all'improvviso, mai più ritornerà;
mai quella voce che grida: "L'hanno ucciso!"
mai la coscienza dell'altrui viltà.
Notturni gelsomini, al chiar di luna,
effondono nell'aere il loro aroma:
bordano il marmo che ti fa da cuna;
rispecchiano, pietosi, il tuo candore.
E, nel silenzio, canterà l'assiolo
inebriato da quel dolce profumo
e nulla al mondo mai, nulla e nessuno,
dissacrerà l'eterna tua innocenza...
Diuturna rimarrà la fanciullezza
di quel bambino dalla chioma bionda
che dorme nell'amor di una carezza
che sfiora, lieve, i suoi capelli ad onda.
DECLINO D’ESTATE
di Bezzo Chiara da Torino
Svogliata estate,
scivoli con lentezza.
Io vanamente inseguo l'attimo
nel punto preciso in cui l'ho perduto,
scordando che non è più primavera,
ma estate.
E tu, a un tratto vivace,
assumi il colore forte e pungente
di un bosco assolato.
Io fiacca, non sento il profumo dei fiori,
non odo il vento caldo scompigliarmi i capelli.
La mia antica maestria di sognare
ora giace, orfana di rododendri in fiore.
Un attimo fa primavera… vestita d’altre tinte,
sorrideva sbocciando acerba, sognatrice, istintiva.
Romantica avvolgeva,
col manto di pesca i pensieri.
L'estate brucia sterile
di promesse, attese, speranze, e gioiose illusioni
del tempo che deve venire.
Io accanto a te, malata d’arsura
mi affanno a disegnar il futuro,
abbigliandomi d’artifizio.
Rimembro la passata stagione…
danzante, anelante di battiti, emozioni e gioia,
che tuttora non riesco a provare.
Le nostre vite si dimenano ansiose,
esplorando bugie da sussurrare,
bagnate d'antico travaglio.
Sudo di te; stanca, bugiarda e ciarliera.
Celere, l'estate beffarda
con fare mieloso, artefatto e innaturale
si veste di fiori, oggi accecati di verde
e domani come noi,
sciupati nella brina autunnale...
LA CASA LUNGO LA FERROVIA
di Bonaiuti Maria Giovanna da Fermo
C’è una casa
ammonticchiata lungo la ferrovia,
un gruppo di palme
spaesate e scarmigliate la circonda,
quasi a proteggerla.
I fiori opalescenti del glicine
si allungano dal giardino,
fino ad accarezzare i binari.
Il gufo dai grandi occhi luminosi e indecisi,
sulla staccionata, conta, indifferente, i passanti,
e con la sua cabala crea filastrocche incantate,
per guarire la grande disperazione
degli uomini senza sorriso.
Le stelle, ubriache di silenzio,
si tuffano nel mare per ripescare
i desideri perduti dalle anime
intristite dalla propria desolazione insolvente.
Ed io, sulla spiaggia, attendo i gabbiani,
arroganti ed irriverenti,
che, nell’alba lattiginosa,
dai loro becchi colorati e chiassosi,
lasciano scivolare sul mio cuore
pieno di sassi,
brandelli delle mie speranze smarrite,
recuperate dall’oscuro pozzo dei ricordi senza tempo.
Il sole, ancora intorpidito,
si avvicina per accarezzare
questi sogni
infreddoliti e spaventati,
e mi sussurra temerario:
Domani canterai ancora.
LUNTÂN DA CÀ
Borciani Arturo da Scandiano (RE)
E quând a pèins a tè aria ed cà mia
am ciàpa ‘na strèca ché, un dulor !
e pió me sfòrs per prèir parèrel via,
pió am s’ingrópa la gòula e al cor;
blèzga i lusgòun ‘ch lòghen i suris,
dèinter ind al pètt am dègh tra mé:
in tèra ’an gh’é mia n’èter paradis
acsè bèll e piò risplendèint che té.
Un bûsin lughèe zò per ‘na cuntrèda,
al caminètt coi cavdòun, la fuglèra,
pàgn stèis a schêr lòngh a la strèda,
a mòj in un bicer ròtt ‘na ròsa cèra,
al balcunsèin ‘ch dèva in piasa vècia
e sòuvra la tòra i vòul ardî di pisòun,
la funtana ‘ch trà pian in dó s’aspècia
‘na vintaròla ‘d lata êlta só ‘l turiòun,
mèinter só in cel soquânti nóvli vàn
in prèsia, cucèdi dal vèint fin al mêr;
ricòrd d’un quèder e di tèimp luntàn
che la mé mèint l’an vòl smindghêr.
E mé luntân da cà an gh’ò piò pès,
am manca al só cèl blò, al só strèll,
i prufòm d’erba e fiòur só per al nès,
al mûr tòrt e sbrislèe, só fin al tasèll,
a sòun come un cardlèin seinsa ciufètt,
e vèv sarèe ind na gabia in schiavitò,
am dispèr e a pèins tânt al mé dialètt
che da trôp ân ormai an sèint mia piò,
pèins a j’amîgh d’infansia, a la famìa,
am vìn un pò ‘d magòun e s’ciancor
alòura a bèv e cànt, artòurna l’alegrìa
e pr’un âtim am ascòrd ‘d tôtt i dulor.
Lontano da casa. E quando penso a te aria di casa mia, / mi prende una stretta qui, un dolore! / e più mi sforzo per poter mandarla via, / più mi si ingroppano la gola e il cuore; // scivolano le lacrime che nascondono i sorrisi, / e dentro al petto mi ripeto tra me e me: / in terra non c’è un altro paradiso / così bello e più splendente di te. // Un buco nascosto giù per una contrada, / il caminetto con gli alari e il focolare, / i panni stesi ad asciugare sulla strada, / a mollo in un bicchiere rotto una rosa chiara, // il balconcino che dava su piazza vecchia / e sopra la torre il volo ardito dei piccioni, / la fontana che butta piano ove si specchia / una banderuola di latta alta sul torrione, // mentre su in cielo alcune nuvole vanno / in fretta, spinte dal vento fino al mare; / ricordi di un quadro e dei tempi lontani / che la mia mente non vuol dimenticare. // Lontano da casa mia non ho più pace, / mi manca il suo cielo blu, le sue stelle, / i profumi d’erba e fiori su per il naso, / il muro storto e sbrecciato fino al solaio, // sono come un cardellino senza ciuffetto / e vivo chiuso in una gabbia in schiavitù, / mi dispero e penso tanto al mio dialetto / che da troppi anni ormai non odo più, // penso agli amici d’infanzia, alla famiglia, / mi viene il magone e l’ansia al cuore / allora bevo e canto…ritorna l’allegria / e per un attimo mi scordo tutti i dolori.
IL POETA DEL FANCIULLO
di Bottigliero Maria Rosaria da Marano (NA)
Poeta del fanciullo
resta qui,
il mio canto ti sovviene,
e tu,
infondi parole e bene
non andare nel silenzio
cura i pensieri
di un dire, nel tuo ieri.
Nelle stelle,
notte dì,
sei rimasto ad aspettare
quel silenzio che esordì
paure e temporali,
lampo e luce fu per te.
Nella scatola della cultura
il fanciullo, impara e ascolta,
dietro ogni suo evocare
quel tuo nido dell’amare.
E l’assiuolo
nella notte, canta dolce
la tua retorica onomatopea
scrivo e canto, anche io
non guardarmi da lassù
ti regalo mia rima
ingoiando amaro e dolce
in quel tempo che fu, persi
il fratello mio lassù….
RITORNO AL BORGO NATIO
di Calzolari Franco da Pianoro (BO)
Sempre m’è caro e dolce ritornare,
nell’olezzar di erica e gelsomino
tra le natie mura del casolare.
Mi pare allora, ancor di risentire
degli avi miei, le voci rimbombare
e di fanciulli il giocare e il gioire.
Attorno al desco, riveder mi pare
l’affaccendarsi della mamma cara,
intenta a preparare il desinare.
Rivedo, dalla porta entrare stanco,
il papà e lento a tavola sedersi
e nel bicchiere versare vino bianco.
Tornano in mente i primi turbamenti,
d’una carezza o di furtivo bacio
e il mescolare il gioco ai sentimenti.
Un velo di rimpianto e nostalgia,
come coltre di neve scende lieve,
se penso al primo amor di vita mia.
Ora è silenzio e quiete tutt’intorno,
s’ode d’uccelli, solamente il canto,
quasi un saluto per questo ritorno.
NOTTE D’ESTATE
di Cannavacciuolo Maria da Latina
Di fuoco sono i giorni d’estate,
quando il sole abbaglia
e scolorisce il cielo azzurro.
Campi biondi
d’erba dorata,
ormai sfinita.
Il vento, alito caldo,
soffia e t’accarezza
togliendoti il respiro.
Di fuoco sono i giorni d’estate,
ma la notte, ristoro e pace.
Lucciole brillano,
volano, si muovono.
Fanno ingelosire le stelle
immobili su una coltre nera.
Musiche di cicale
e canzoni di grilli.
L’afa si acquieta.
La notte dona sollievo
ed un brio di vita
serpeggia fino al cuore.
RICORDIAMO GIUSEPPE VERDI
di Capellini Francesco da Reggio Emilia
Giuseppe Verdi, il grande
poeta e musicista
è nato a roncole di Busseto
a Parma, nel 1813.
A dodici anni iniziò a suonare,
a trentasei diventò
maestro musicale,
salì alla Scala di Milano.
Nel 42 vi presentò il Nabucco
con un successo strepitoso.
Continuò a scrivere e a suonare
tante opere liriche:
il Rigoletto, il Trovatore,
la Traviata, I Vespri Siciliani,
l’Aida, Otello,
e tante altre.
Abbiamo “Va, pensiero”
l’inno italiano,
che ci ha lasciato, così
lo ricordiamo.
Nel 1901 Verdi ci ha lasciato,
ancor oggi le sue opere
con gioia ascoltiamo
ed apprezziamo.
Queste opere grandiose
sono scritte con amore,
fan gioire il nostro cuore,
con la musica e l’ardore.
IL DOLORE NEL RICORDO
di Carlino Raffaele da Lido Adriano (RA)
Pensi che non ricordi quel dì quando,
trent’anni fa, ho visto il tuo bel volto
e i tuoi occhi azzurri ignaro del domani
che l'ignoto fato in serbo avea per noi?
Pensi che non ricordi quel dì, quando
in Aprile giungemmo a “Villa Serena”
pronta a udire il tuo primo vagito
e a me, figlia mia, dar nuova gioia?
Pensi che non ricordi quei dì, quando,
dolce e volitiva, le tue difficoltà
affrontavi e quietamente crescevi,
protetta da tenero amor paterno?
Anche se il fato lontani ci ha resi,
forse per sempre, dopo sì dolci anni,
sappi che ogni sera, prima che il senno
mio vaghi nelle praterie dei sogni,
da te volerà leggero il pensiero
e il dolore nel ricordo in silenzio
rinnoverà i felici tempi andati
che per sempre saranno solo nostri.
MAI SOLA
di Codeluppi Maria Dolores da S. Polo d’Enza (RE)
Sull’ala leggera d’un aquilone
approdo alla mia infanzia,
cullata da una dolce canzone
profumata d’agreste fragranza.
Meraviglia di bacche in mazzi rossi,
aie sonore pei giochi dei bambini,
*da bufera i paesi erano scossi:
su me sempre amorosi volti chini.
Cori di voci e di campane a sera
ancora mi vengono a cercare,
son carezze di mamma, son preghiera:
sciami di ricordi fan destare.
Se poi tento di chiudere il cuore,
ferito, dentro antiche mura
il canto del fiero Trovatore
con potenti note scioglie la paura.
Sempre il Buffon di corte straziato
s’abbandona al rancore nascosto:
il suo dolore ho intrecciato
alle lacrime del ciel d’Agosto.
Personaggi di musica intessuti.
Paesaggi dipinti con un verso
gettano ponti, prima sconosciuti,
tra il mio mondo e tutto l’universo.
Mazzi di note, spruzzi di poesia
voi mi donate, amici sinceri,
per liberare la mia fantasia
a solcar, come una bianca scia, i pensieri.
Quando l’ultima sera m’avvolgerà,
il vostro canto, solenne e cortese,
sperduta e sola non mi lascerà
“come l’aratro in mezzo alla maggese”
*Durante la mia infanzia la 2° guerra mondiale imperversava.
UNA DOMENICA QUALUNQUE
di Crescenzi Ermanno da Terni
La sera si appresta su questa domenica
dallo stanco sapore disteso;
volti screziati d’angoscia passeggiano
accennando sorrisi senza espressione.
Il rumore dei passi scandisce il sordo ritmo
di esistenze prive di vita;
domani
torneremo con rassegnata abitudine
a mestieri senza sole
avvolti in luci di plastica.
Risvegliare i sogni
abbandonarsi allo stupore,
far sorridere il bimbo che non sa più giocare!
Solo questo
potrà riscaldare cuori sferzati dal gelido vento
dell’indifferenza e donare giorni nuovi
ai figli che verranno.
Intanto il tempo scivola
su sguardi silenziosi e sconfitti
e la primavera tarda ad arrivare.
LA NOSTRA SERA
di Dalla Salda Rosa da Rubiera (RE)
Battiti d’ali e tocchi di campane
s’intrecciano nell’aria a noi d’intorno
e s’alza grave il coro delle rane
nel quotidiano perdersi del giorno…
Cullan le fronde i pioppi del fossato:
treman le foglie e l’acqua trasparente
culla riflessi fragili di prato,
tra sponde erbose che s’inchinan lente…
Sfreccian voli le rondini festanti,
i gridi si rincorrono argentini
in quest’ora che riporta i passanti
tra noti sguardi e tiepidi camini…
Ed è dolce, nel giorno che declina,
restar muti e raccolti ad osservare
l’ombra che si distende repentina
e la luce attardarsi nell’andare…
Or anche noi, immersi in tanta pace,
tra ombra e luce di ricordi e affetti
or, che ogni cura e affanno tace,
sostiamo nel cullare i nostri petti…
Così indugiamo, mio fratello ed io,
a gustar la dolcezza della sera
come promessa di un sereno addio
dopo il giorno d’una vita intera…
Io son Maria, “Mariù” m’ha messo nome
proprio il fratello che mi siede accanto
mentre aspettiam la nostra sera, come
un placido sorriso dopo il pianto…
LUCANIA 13
di De Falco Carla da Napoli
la pietra bianca
la piazza arsa
la borsa sempre stretta al fianco
il vento a fare onda
nella trama del merletto antico.
le chiese fatte stalle
la valle fatta morte
sudore di femmina nel grano
sangue di maschio saraceno.
aperte le porte
chiuse le bocche
sdentate quasi tutte le finestre.
e la parola punita che trema
nel riscatto affilato a una lama.
qui non si torna, qui - talvolta - si scende.
perché il mio sud resta
quello che è sempre stato:
un imbuto rovesciato
a colare giaggioli viola
urla d’assioli
voli acrobatici di rondini
e dolore, un dolore strano
dai nonni sui nipoti
tra greti pietrosi
di torrenti stanchi
accecati dal rosso dei papaveri
ubriacati dall’odore dei finocchi
stanchi tutti di avere perso sempre
e di non riuscire neppure più a ricordare
la strada giusta, quella per il mare.
A PATRIZIA
di Furlan Manuela da Borbiago (VE)
Improvvisamente,
camminando lungo il sentiero della vita,
scopri accanto a te
qualcuno disposto ad accompagnarti,
nell’allegria delle spiagge assolate,
nella tranquillità delle sponde del lago,
nel silenzio delle montagne innevate.
Qualcuno che ti tende una mano
quando scivoli,
che ti indica la strada quando ti perdi,
che rincorre con te le farfalle nel prato,
che divide con te il cestino della merenda.
Qualcuno che ti dà felicità,
qualcuno a cui dai felicità.
CUORE PER SEMPRE
di Gambarelli Angela da Reggio Emilia
Il mio cuore batte piano piano perché tu sei lontano.
Batte forte forte perché tu finalmente sei alle porte.
Ora si è fermato perché tu sei, improvvisamente, arrivato.
O cuore dove sei?
Te ne sei andato altrove ma, io ti ritroverò
ed in te ritornerò.
Ora sarò insieme a te,
o Signore,
e il mio cuore
vivrà nella felicità
eterna,
nella vita nell'aldilà.
ILLUSIONE DI PRIMAVERA
di Gazzotti Elena Paola da Toano (RE)
È la pioggia che è tenera
Sulle gemme dischiuse
E l’aria è trasparente
Colore delle viole
Poi tiepido s’affaccia
Tra le nuvole il sole.
È così fragrante, è profumata e verde
Incerta primavera
Fatta di cambiamenti.
Sembra un adolescente
Una fanciulla acerba
Sgraziata ed innocente.
Ma con promesse in boccio
Di erotiche opulenze.
È come vita nuova
Che risveglia la terra
E sveglia anche l’amore
E trasmette calore
Pur nelle vecchie membra.
PENSIERO
di Gelosi Silvia S. Ginesio (MC)
Intensi attimi
dove scorrono
parole ed immagini,
miste al fluire
del rumoroso silenzio
intorno al fuori,
inconoscibile.
Tentate allusioni
per spiegare l’impossibile
mistero d’essenza,
ora vita,
ma già
subito sera.
A GH’È UN SUSPIR
di Giovanardi Vanni da Luzzara (RE)
A gh’è un suspir dentr’al ciél
na fronda ca vula dat sota li foj
na vusz d’ali negri par l’aria cm’en vél
as véd che l’istà l’as prepara a sbuciar
anca li luszeerti, in si spugui dli prédi
li ga presia ad gnir foera par faras bruszar.
A cunti li neuli in sal nasar dal giuran
respirand al saur generusz dli piantadi
a tasti li guasi péna sdasdadi
in toeti i pansér a gh’è al sul cme cunturan
culgà in sla la schena d’un fnel
l’è la veta cla turna szugada
al coer dal prufeum dl’erba szgada
l’è l’arcord ad mé madar, in dal redar peù bel.
Al fià di boe cal tirava al tramunt l’or dal fén
li manghi arvarsadi ad mé padar
al sudur strusià da sota ai capei in dal camén
la mé anima in dl’eera e niseun mal da dir
e ad co’ da la stala i mé szuvan putei
a tendeam da luntan par lasam mia murir.
C’è un sospiro
C’è un sospiro dentro al cielo / una fronda che vola da sotto le foglie / una voce d’ali nere per l’aria come un velo / si vede che l’estate si prepara a sbocciare / anche le lucertole, sugli spigoli delle pietre / hanno fretta di uscire per farsi bruciare. // Conto le nuvole sul nascere del giorno / respirando il sapore generoso delle piantate / assaggio le rugiade appena svegliate / in tutti i pensieri c’è il sole come contorno / coricato sulla schiena di un fienile / è la vita che torna giocata / il cuore del profumo dell’erba tagliata / è il ricordo di mia madre, nel ridere più bello. // Il fiato dei buoi che tirava al tramonto l’oro del fieno / le maniche rovesciate di mio padre / il sudore consumato sotto ai cappelli nel cammino / la mia anima nell’aia e nessun mal da dire / e in fondo alla stalla i miei giovani ragazzi / a badarmi da lontano per non lasciarmi morire.
VA
IL PENSIERO DELL’EMIGRANTE
di Govi Ave da Reggio Emilia
Va, pensiero, sull’ali del cuore,
va alla terra che vita mi diede,
porta ad essa il mio grido di fede,
di potervi un bel dì ritornar.
Ogni giorno del sol mi saluta,
il calor delle genti lasciate,
“O mia patria, sì bella e perduta”
sì lontano mi duole restar.
Alba d’or che ne vanti il conflitto,
perché rosea in cielo risplendi?
Come faro speranza riaccendi,
pur se tempo per me non è più.
Or che il fato compiuto ha il suo rito,
all’avello mi strugge tormento,
ma sì dolce è il ricordo al contempo,
che trasmuta il dolere in virtù.
LE MIE CINGIALLEGRE
di Grisanti Lidia da Vezzano (RE)
O cinciallegre, non venite più
sul davanzale della mia finestra?
Le briciole di pane non cercate più
or che la campagna s’è vestita a festa?
Discosta dal vetro vi guardavo:
due batuffoli di piume colorate.
“Saran le stesse – io mi domandavo –
dell’altro inverno che sono tornate”?
Lo so che in primavera mi lasciate,
vi procurate da sole il nutrimento.
Tra i rami in fiore del pesco vi posate
o sul deodara, proprio qui di fronte.
La grande forsizia dai bei fiori gialli
la preferite ad altre piante in fiore;
vi mimetizzate tra quei fiori gialli
lì vi baciate, lì fate l’amore.
Poi fra quei rami, molto ben nascosto,
vi date tutto il giorno un gran daffare
con pagliuzze, foglie e muschio
il vostro nido d’amore a fabbricare.
Nel nido che il mio uomo ha costruito
gli anni felici insieme son volati.
Da troppo tempo è silenzioso e vuoto!
Mi chiedo ancor perché ci han separati!
Ma quando neve e gelo arriveranno
sarete tutti qui, genitori e prole;
sarò io a procurarvi il cibo come ogni anno.
A quel pensiero accelerano i battiti del cuore!
Saremo in due a gioire del vostro arrivo
perché il mio uomo, da lassù, ne son sicura,
proverà con me, grazie a voi, un gran sollievo
sapendo che nel lungo inverno non mi lasciate sola.
INCANTEVOLE
di Infanti Edda da S. Martino in Rio (RE)
Appena l’alba
riempie la campagna,
prendo il sentiero
molle di rugiada.
Il muschio cede
sotto il mio cammino.
Mi circondano gli alberi
seri, taciturni;
i cespugli accovacciati
dormano ancora.
Ride già
qualche giovane fiore
tra l’erba fragile del prato.
I pioppi di madreperla
suonano insieme
musiche fruscianti.
Brillano gli strumenti.
Poi cresce il mattino:
dentro l’azzurro
profondissimo e chiaro
s’avventa il sole
gioiosamente.
Danza la luce
fra i contorti rami
alla celeste melodia del giorno
e le morbide rose
pigramente s’affacciano odorose,
come fanciulle
sopra ad un balcone.
Incantevole natura,
buona,
semplice, pura!
Mi piace la voce misteriosa
della terra.
La sua casta innocenza
mi conquista l’anima.
Ogni giorno.
PIAZZA SAN FRANCESCO
di Laratro Marco da Foggia
Francesco, il grande santo dell’amore,
il santo del perdono e della pace,
se ne sta ritto sulla montagnola
di sassi bianchi, in mezzo alla piazzola,
con gli occhi al cielo e con le braccia in croce.
Di bronzo ha il saio, i sandali, il cordone,
maculati qua e là di verderame;
di bronzo il crocifisso ed il cappuccio,
bruna la barba, il mento sollevato.
Il santo guarda il cielo: guarda e tace.
Sulle mani che tiene giunte al petto
gli hanno fatto le stimmate a sassate;
di notte, poi, con qualche punteruolo
hanno forato l’orlo del suo saio:
Francesco ha visto e tace, rassegnato.
Là sulla montagnola il santo è solo:
intorno, appena un volo di colombe
distratte e ingorde; nella vasca piena
ormai soltanto di cartacce e sassi
son morti tutti i pesciolini rossi.
Adesso attorno al santo della pace,
al santo più pietoso della terra,
sui massi scabri della montagnola
si rincorrono solo i ragazzini:
innocenti che giocano alla guerra.
E alle spalle del santo dell’amore,
tra i pini in fila lungo il marciapiedi,
ombre di donne squallide in attesa:
sommesso parlottio, la sera, e voci,
risatine, bisbigli, andirivieni.
Con gli occhi in alto e con le braccia in croce,
dal suo calvario bianco, desolato,
sembra chieder Francesco a frate Vento
l’ala d’un soffio per spiccare il volo
lassù verso la cupola del cielo.
QUEL VENTICINQUE APRILE
di Locchi Daniele da Firenze
Dimmi di quella notte
scolpita alla canna del fucile
di un fazzoletto rosso
per dire no alla morte
al collo stretto come la fune
che ti aspettava nel cortile
Dimmi degli occhi di tua madre
delle preghiere della rabbia
della disperazione
di quell’abbraccio stretto
di quelle scarpe in più
che babbo tanto non portava
Di quelle urla e degli spari
delle camicie insanguinate
delle corse dentro ai boschi
di quel momento strano
quando nel fondo di due occhi chiari
la nebbia dell’oblio
ti ha fatto sentire Dio
Dei giorni senza notte
di notti senza luna
di grida e balli
per la fine dell’ultima avventura
Ora che più non sei
e un bimbo ha il nome tuo
scolpito dentro l’anima del tempo
un sacerdote in clergyman
ci chiama a messa
senza saper più ricordare
da quale demone ci hai liberato.
POESIA
di Lo Giudice Temistocle da Frascati (RM)
Mi accosto al moribondo
che s’arrende alla logica del mondo
in quell’esteso secondo
che precede il sonno più lungo e profondo.
Un corpo sta perdendo di significato,
dopo aver tanto sofferto ed urlato
ora si irrigidisce velato
e spento dei fuochi del passato.
E prima dell’abbandono
apre la bocca in un sospiro
e con un penoso suono
“mamma” emette l’ultimo respiro.
Prende il volo
la sua anima verso il nulla
come partisse da una culla
mentre stringono le mani il lenzuolo.
E tutta la sua forza delirante
cede alla debolezza dell’infante.
LA SOLITUDINE DEI PRECARI
di Maltagliati Marinella da Cernusco s. N. (MI)
Occultati teneri sogni speziati
sul lato in ombra di strade tortuose
protetti da un pugno di erbe spinose
seguono percorsi accidentati
Per chi si è appropriato del loro destino
hanno bizzarre facce sempre in attesa
inconsistenti corpi senza difesa
sospesi sul fetore di un acquitrino
Ruzzolare per un piano inclinato
bussare all’animo di chi non sente
accentua il senso di tempo sprecato
Un gesto di sufficienza il presente
esploso in un canto stonato
un battito di ciglia e poi più niente
POESIA SU G. VERDI
NEL BICENTENARIO DELLA SUA NASCITA.
di Martinelli Marco da Reggio Emilia
Ancora c’è in terra di Po
un fiorente paese,
perla della bassa.
Busseto è il suo nome
adagiato fra un canale e un pioppeto,
signorile nella sua via principale.
Lì vicino, a Roncole,
una casa ottocentesca sta
conservata nella sua originalità.
Quanta fama essa ha acquistato
grazie allo spirito impavido
di colui che ha composto
tanti inni di gloria
che hanno guidato il popolo italico
nella conquista della propria libertà.
Allora: viva Verdi! Si diceva un tempo…
Un sovrano o un musicista indicava
poco importa.
Da due secoli, casetta cara,
tu racchiudi un valore immenso
che orgogliosi ci fa sentire
quando “va o pensiero” intoniamo
aspirando ancora all’orgoglio
di gente unita
nelle avversità.
SERA
di Migliorati Margherita da Cussago (BS)
Volge all’imbrunire
e l’aria lieve
effonde le sue essenze.
Benvenuta sera,
che attingi ai miei ricordi
e nella stilla di una lacrima, ti perdi.
E vien disperso d’ ombre,
Sparuto
Un tocco di campana.
E’ l’ora,
si va spegnendo il giorno
e fioca è la sua luce
scende la tramontana.
E benvenuta sera,
rigagnolo di pace
nella calura estiva.
Rimando al vento,
liberi
i pensieri,
odo lo storno
il cuore rallegrare.
Dolce sarà l’attesa,
ascolterò in silenzio
i passi al tuo ritorno,
avvolta nella sera.
SETTEMBRE
di Monari Tiziana da Prato
Si spoglia d'amore leggero
come un cembalo Settembre
forgiato in un filo di spada
voluto dagli angeli
appeso ad una stella di tramontana
si fa viaggiatore saccente
nelle ore tiepide
disperse tra le bifore del campanile
nelle ultime foglie rosseggianti
sopra gli aceri e nell'ozio indolente
della sera
semina gocce di sole
nelle pietre bianche del cortile
pago di luce d’oro ammaliato
da baci dolci che solleticano
il cuore quando se ne va
nel suo azzurro cupo
nascosto nel pelo morbido
degli agnelli,
nel volo stretto e chiassoso
delle oche
lasciando il posto alla caligine d’ottobre, al silenzio della neve,
al sonno tardivo dei fiori.
In controluce
resta solo una vampa d’estate l’ombra profumata degli oleandri rosa.
MENTRE LEGGI
di Mori Angela da Catania
Leste le labbra tue,
Si agitano briose e frivole,
Come ali di farfalla,
Su boccioli di rifugi fatati.
Il tuo soffio ingenuo,
È come brezza mattutina,
Che sul mio viso,
Giunge mite e aulente.
In francese la lettura,
Nessuna lingua più idonea,
Per deliziarmi l’udito,
Tu mia luminosa creatura,
Delle mie azioni la più bella,
E la più genuina,
Nella gradevolezza della tua voce,
Che legge avveduta,
Cedo languida al riposo,
E idioma mai studiato,
Da adesso è ancor più amato.
RICORDI
di Muscardin Rita da Savona
Fugge via nascosta dal silenzio
lunga notte di veglia
mentre il pensiero accarezza il ricordo
di quel tempo perfetto smarrito nel vento.
Si apriva il cuore quando, per incanto,
appariva dinnanzi il campanile
sospeso su acque di cristallo,
ai suoi piedi il piccolo cimitero
custode di sacri affetti,
pareva una barca carica di anime
che sospinta da lieve brezza
veleggiava verso l’Eternità.
Nella casa dai muri di pietra qualcuno attendeva
sgranando la corona di un rosario
e il vecchio camino nero di fuliggine
catturava la voce del vento
che sibilava misteriosa fra i rami degli alberi.
Il fumo usciva lentamente
e portava verso il Cielo
le preghiere recitate attorno al fuoco.
Adesso solo il silenzio abita le stanze vuote e fredde,
un tempo nidi intrecciati d’amore
mentre un albero secco senza più linfa
riflette la sua esile ombra sui muri
che custodiscono devota memoria di giorni felici.
Fra le rovine del mio cuore ferito
cerco tracce di lontani passaggi
mentre il vecchio campanile immobile sul mare
rintocca l’Eternità che scivola via
come sabbia fra le dita.
LA FELICITA’ AL TEMPO DELLA CRISI
di Palma Gianluca Botrugno (LE)
Siamo nati nella crisi
e in crisi da una vita
progettiamo un Futuro.
Per non assuefarsi,
non rassegnarsi,
ci vuole Passione.
Passione è
sofferenza, sacrificio e partecipazione.
Superare la crisi è
una strada in salita,
piena di ostacoli,
ma non impraticabile.
Perché non nel piacere,
che è meschino, servile, debole e caduco,
ma nella virtù risiede la sola vera
Felicità.
Per guardare al futuro
non bisogna perdere la Memoria,
il fatto più invalidante di tutti i tempi.
E’ dalla sana memoria che
il saggio si nutre.
Perseguiamo la felicità dell’intelletto,
per aprire gli occhi,
al tempo della crisi.
“I CELESTIALI VOLI DI GIUSEPPE VERDI”
di Piazza Severino da Rivalta (RE)
Non ci sono parole di onore
per elogiare il suo valore.
Questo musicista a noi tanto vicino
e’ cresciuto con un potere divino,
creando in musica melodie complesse
che nelle memorie sono rimaste impresse.
Sono motivi che restano nella storia
e questa persona sarà sempre in gloria.
Intere opere melodiche da lui create
in tutto il mondo sono state rappresentate.
I suoi motivi in musica sono ben accoppiati
alle trame dei drammi rappresentati.
Questo personaggio con tanti onori
in vita ha sopportato molti dolori:
gli affetti più cari che aveva
gradatamente li perdeva.
Ma dopo questo suo lungo patire
riuscì ancora a creare in avvenire.
Così i melodrammi da lui composti
alcuni per la cronaca adesso vengono esposti:
Il “Nabucodonosor” – coro -
e’ molto conosciuto e vale oro.
La “Traviata” popolare e avventuriera
melodicamente ha fatto carriera.
Poi l’opera “Aida” con la marcia trionfale
che ha tanto estro e molto vale.
Ricordiamo così il suo grande passato
nei due secoli da quando e’ nato.
A Milano ha fatto costruire con i suoi proventi
una casa che accoglie musicisti anziani e indigenti.
PENSIERI
di Pietrella Denise da Castelfidardo (AN)
i miei pensieri sono come acqua
esposta a forti variazioni climatiche
rimangono congelati nei periodi freddi
e poi si sciolgono in quelli caldi
assumono ogni volta
la forma dell'involucro che li contiene
forme di energia gravitazionale
ma verrà un bel giorno
che l'acqua si troverà vicino al fuoco
i due elementi si fonderanno
il pensiero espanderà
l'energia gravitazionale vincerà
come vapore nell'aria
universale diventerà
e al conformismo dei pensieri
dall'alto in basso guarderà
di cielo in cielo viaggerà
in una nuova dimensione vivrà
vola vola pensiero mio
non ti fermare non ti canalizzare
non restare dentro l'involucro
del conformismo mentale
I RESPIRI D’UN BIANCOSPINO
di Porta Floriana da Torino
Nell’ampia valle assaporo
il profumo dei ricordi,
tra colline fiorite
e vecchi castagni.
Il tacito cielo,
denso di nubi procellose,
scavalca le colline.
Soli
(tra i cespugli fitti di rovi)
i respiri d’un biancospino,
nella terra livida, polverosa,
tra soglie e confini,
nel soffio di una luce
avvolta dal vento.
In quei respiri abitano
silenzi irreali
e muti fantasmi.
LA NASCITA DI G. VERDI di Romiti Antonietta da Civago (RE)
Ien pasâ dusgent'ann da qu di
che a Busseto, vers Parma al nascì
un püpin ch'i chiamònn Yusèff
e d'lü us in parla ancura a bizèff.
Da ragazz al dveuntò un urganiscta
ed in seguit un genial müsiciscta,
tanta sc-cheula e dun eud natüra l'arvültava quel nôt con bravüra.
Tant scia lirica, sacra o prufana, quanta müsica l'ha sc-critt la so mana! Mò ann'in parl di tantyeu caplavur
d' Rigoletto, Traviada, o Truvadur
ma d'cla volta che, presentand al Nabücch,
a la Sc-cala, i reusctonneu due sc-tücch; cun qu pèzz favulus "Va o peunser" senza usctaculeu, cunfin o fruntier.
Tantyeu aplauseu, triunf e vittoria e u scgnur Verdi e pasava a la sc-toria.
Cla smentì buna la dè ohm racolt; i l'ardent cinquantasètt volt.
Cun qu coro y ebrei preusgiuner
povr, sc-chiav in tèrr sc-tranier
i mandavn, cun nusc-talgia un salut a la patria natia.
E fu anch'l'inn, senza andar tant luntan,
du Risurgiment italian.
Va o peunser, ti c'tê libr eud vular
suvr'ai muntyeu, suvr'al vall, suvr'ai mar
a purtar in puchiscm secund un suris in tüttyeu y angul de mund.
Sono passati duecento anni da quel giorno / in cui a Busseto, verso Parma nacque /un bambino che chiamarono Giuseppe / e di lui si parla ancora a bizzeffe. // Da ragazzo divenne organista / E di seguito un geniale musicista / Tanta scuola e doni di natura / Rigirava quelle note con bravura. // Tanto sia lirica, sacra o profana, / quanta musica ha scritto la sua mano! / Ora non parlo di tanti capolavori / di Rigoletto, Traviata o Trovatore // ma di quella volta che, presentando il Nabucco, / alla Scala, rimasero di stucco; // con quel pezzo favoloso "Va pensiero" / senza ostacoli, confini o frontiere. / Tanti applausi, trionfi e vittoria / e il signor Verdi passava alla storia. // Quel buon seme buona diede ottimi raccolti; / fu ripetuto per cinquantasette volte. / Con quel coro gli ebrei prigionieri / poveri, schiavi in terre straniere / mandavano, con nostalgia / un saluto alla patria natia. // Fu anche l'inno, senza andare tanto lontano, / Va pensiero, tu che sei libero di volare / sopra ai monti, sopra alle valli, sopra ai mari // a portare in pochissimi secondi / un sorriso in tutti gli angoli del mondo.
ZIA CINÌ
di Serri Angela da Reggio Emilia
Ai miei occhi di bimba
Ancora tu, in età giovanile,
apparivi sulla porta di casa
sorridente ed invitante.
Regale il tuo aspetto
Con quei lunghi capelli
Raccolti sulla nuca,
tenuti fermi da piccoli pettini.
Il dolce tuo viso,
di chiaro colore,
cornice perfetta
a quei lineamenti
così delicati.
Zia Cinì ti chiami.
Quante volte mi hai accolta
Tra le tue braccia,
mi hai accarezzata,
mi hai amata.
Il tempo sembra non scalfire
La tua forte tempra;
i ricordi per te sono indelebili.
Anche se gli anni ormai sono tanti
Non ti vuoi piegare al loro peso.
Sono ora io adulta, qui da te,
che ti accarezzo i capelli,
ti stringo la mano,
per non farti sentire sola;
ti parlo e insieme
ricordiamo i momenti più belli.
Sei stanca ora, lo vedo,
lo sguardo vaga lontano, confuso,
forse aspetti con ansia qualcuno:
ecco chiami ad alta voce: Mamma! Mamma!
IL TUO NIDO
di Teni Maria Rosaria da Novoli (LE)
Nel mio grembo ti vorrei riavere
per nutrirti del mio sangue ancora
e salvarti dal dolore antico.
Nell’abbraccio di fresche primavere
il tuo nido vorrei rischiarare
e donarti la memoria dell’infanzia.
Nel fluire delle ràpide del tempo
ancoraggio sereno vorrei offrirti
e cullarti con la nenia dei ricordi.
Intanto scorre il flusso della vita
che non torna e il suo mistero
resta sospeso nella requie eterna.
TRA LE ANTICHE PIETRE
di Togni Carmen da Casalgrande (RE)
Qui tra le pietre antiche e i luninosi archi...
Qui nel rumore dei passi il cuore freme
Un attimo ristà i respiro e si perde il fascino
Negli occhi degli avi dietro le finestre chiuse
Spiano da lassù i portali arcigni...
Da lontano amano proteggendo il tuo cammino
E spunta così la poesia dal bel sorriso dell’uomo
Dalla fronte pura e zampillante di felici giorni.
Pure Alda è passata..., è ancor qui
Il suo mite sorriso e la bontà.
I tuoi passi camminando portano alla meta
Hai gli occhi illuminati mentre vai...
Lasci le inutilità e scendi nella luce della gioia
È un dono lo stare con la gente che ascolta e vede.
Nascosta è la poesia tra le pagine a milioni
Qui anche l’autunno ci unisce al suo calore
Qui il Padre buono senza riserva alcuna
E vola alta la parola e la musica l’accompagna
Là dove più non ha senso e non esiste la paura
Nel tuo canto, Alda, ti adagerai tranquilla...
È un letto di parole tue e d’amore della gente.
Sei alta sui loro sguardi stracolmi di stupore
Agli occhi dei figli nostri tu, il dono più prezioso
Insieme qui lo spirito dell’uomo non ha età.
3 Dicembre 2012
NEL TEMPO DEI RICORDI
di Venditti Angela da Scurcola Marsica (AQ)
E nel tempo dei ricordi, uno scampolo
di dolore riaffiora. Una domenica
è nelle rughe di campagna, ed un embolo
di malessere scuote il rimasuglio
d’affetto che vaga nella vasca igienica
del mio cuore sconsolato di luglio.
Sale dal ventre la rabbia impulsiva,
sale avviluppata tra strade ‘nvolte,
in cerca dello sfogo, come ogiva,
nel castello delle donne no ‘ncolte.
27 APRILE 2013
di Verga Paola da Casalino al Piano (CO)
Due volte ti ho visto,
Una alla mattina e sembrava che mi aspettavi,
E l’altra al pomeriggio.
Mi hai guardata,
Mi hai cercata forse,
Oppure mi hai evitata.
Quando mi sono allontanata da te,
I miei occhi sono ricoperti
Dalla tua immagine, dalla tua figura,
E anche se mi hai guardata un poco schifato,
Io ti Amo …
A CASTELVECCHIO
di Vettorello Rodolfo da Milano
Barga lontana é un'isola che emerge
da una nuvola densa di vapori
che ovatta la sua valle nel mattino.
Il sole che risplende sulla Pània
discioglierà la bruma iridescente.
I cipressi del viale hanno le cime
già fuori dalla coltre novembrina.
Giovanni dorme dentro il suo sepolcro
bianco del marmo delle sue Apuane,
Maria lo veglia come sempre muta.
La casa tace ed alla loggia, in cima,
arriverà tra poco il primo sole.
Quell'ombra silenziosa che si aggira
nelle tue stanze, tra le cose amate,
sei tu che torni per riordinare
le carte sparse sopra i tre leggii.
Alle pareti i segni d'una vita,
una targa, una lettera, un diploma
e i disegni di Plinio Nomellini.
Ho voglia di sfiorare il tuo mantello
appeso come fossi appena entrato
e toccare le cose che hai toccato.
Pensare a una poesia che ti appartenga
presso il "cantuccio tuo d'ombra romita"
ed ascoltarmi a dire le tue rime
e piangere con te sulla tua vita.
IL TIGLIO
di Volpi Lucia da Castelnuovo Bozzente (CO)
Ecco che arriva il boscaiolo
con la scure in mano
a tagliar le radici
dell'albero malato .
Ha colori cupi il suo tronco
una pelle screpolata
al vento e al freddo
ha regalato i capelli
non ha risparmiato
di dare figli al mondo
ha offerto il suo profumo
senza chiedere
nulla in cambio.
Nella sua breve vita
ha affrescato il cielo
inciampando nei dolori
di un mondo senza valori.
Ha un colore stinto
mentre chiude le ciglia.
Il vento riconosce a stento
la sua ombra, l' accarezza,
sembra voglia trattenerlo.
Ma nel pallore del mattino
l’albero adulato
s’ adagia nel prato
da tutti abbandonato.
SGOLI
di Corrado Zanol Capriana (TN)
Spalànco
i sprèi de la finestra
fico fòra la testa
e vàrdo i osèi
che sgola en libertà.
I fa ghirigòri, lòri,
sbisèrdole ‘ntèl ziel
che ‘l pàr de ràm
tànt che l’è rós.
E a mi
che stàgo chi ‘mpalà
co’ i braci ‘n crós
me rèsta demò
en strangossàr malà
che no’ consola
che rende el me còr
pù sòl e desperà.
Alóra, par parar via
crùzi e dolori
sèro polìto i sprèi
de la me’ testa
e vago a sgolàr con lòri
e fago festa!
VOLI
Spalanco / le imposte della finestra / infilo fuori la testa / e guardo gli uccelli / che volano in libertà. / Fanno intrecci, loro / zigzagano nel cielo / che sembra rame / tanto che è rosso. / E a me / che rimango qui impalato / con le braccia incrociate / rimane solamente / un desiderare ammalato / che non consola / che rende il mio cuore / più solo e disperato. / Allora, per mandare via / crucci e dolori / chiudo per bene le imposte / della mia testa / e vado a volare con loro / e faccio festa.
TESTI PER LA RASSEGNA
LUNGA ATTESA
di Barani Maria Rosa da Reggio Emilia
Dopo giorni d’intensa pioggia
Il cuore è giocondo
Al risveglio.
S’avvia
Una giornata splendente;
brillano i fiori,
gli uccelli allegramente
trillano.
Se così fosse:
alternanza
fra pioggia e sole
sarebbe dono alla speranza.
CELEBRATO RISVEGLIO
di Bertazzoni Elena da Mozzo (BG)
E' alquanto bislacco come il risveglio
spanto al suon della sveglia alle cinque e trenta,
possa deliziar il cuor di momenti roventi.
E' un privilegio, ammirar il mondo
che ancor strizza gli occhi.
Arrossisco al tramonto
e al sorriso convesso
sulle dischiuse labbra celesti.
Impomatata fioridezza
dal gemito sottile e alito fresco.
Screziate dal vento le mie guance
si ricoprono dai calchi leggeri
lasciate dalle melodiche ciocche color rame.
Trapelano le emozioni
al sovvenir della primordiale luce,
un applauso discende in sonora pace
e il riverbero di un canto vince al mattino
perché riconoscente per il presente,
che con lirico stupore perpetua il suo incanto.
Rampante l'arco sostiene il vitale
di un giorno in pieno rigoglio.
Mi immergo nel limpido accento di un dipinto,
capostipite dell'arte universale.
Amorosa visione, al brillìo delle prime luci,
commossa preghiera al santuario venerato alla terra.
Il mio sguardo è vergine
ogni qual volta che si perpetua la creazione.
Brevità e intensità si mescolano
in una liturgia naturale.
“OGNI COR SERBA UN MISTERO”
di Bertolotti Annalisa da Reggio Emilia
Reggio si acquieta nel magico candore,
pare assopita la Torre del Bordello,
la piazza dove il Crostolo versa stalattiti
di ghiaccio trasparente, ed i piccioni
gonfiano le piume tra i comignoli fumosi
in questo uggioso pomeriggio di Novembre.
Immacolato pure quel discorso
Antico eppur moderno:
“Ogni cor serba un mistero”.
Ritornerà l’odor dei tigli a primavera,
rifioriranno nei chiostri gli oleandri,
la vita, ancor la vita, sebbene or tutto taccia
sotto i passi maldestri di un passante
che incede sulla neve.
Il manto bianco qualcuno serba in cuore:
il suo mistero è un prodigio che ritorna, una promessa
che si rinnova : un fiore un nido...la schiusa delle uova...
Pare un nonnulla perché non fa rumore
Però è tutto il suono della vita...
IL BUON FRUTTO ESTIVO
di Capellini Francesco da Reggio Emilia
C’è un frutto italiano,
coltivato nel reggiano,
vive in terra e si riposa.
Col trempo s’è gonfiato
Come un pallone è diventato,
d’estate è tanto desiderato.
È buono e nutriente,
disseta tanta gente.
Mangiarne una fetta fresca
Si gusta e si fa festa.
Esso ha tre colori, ci ricorda
La nostra bandiera reggiana
E quella italiana.
Da noi è il preferito,
è dolce e prelibato:
il cocomero è chiamato.
NONNI
di Carapezzi Claudia da Selvapiana (RE)
Serena, beata culla la memoria,
di vecchio cuore, a cui narra una storia:
"Fui un dì focolare ardente e sfavillante,
torrente impetuoso e prorompente,
presenza cara e rigenerante,
per il creato circostante.
Era stagione di maggio,
cresceva il seme, per far foraggio,
tiranneggiava severo tempo fugace,
che all' animo non dava pace
e non permetteva di dire,
che già era venuto a finire!
Oggi, nonnina riposi le membra,
ed è per te stagione di novembre.
Sul ramo d' autunno, all' imbrunir di giornata,
stai come fogliolina accartocciata,
da severo agente tempo passato,
che pur divin monumento, ha corrugato
e riga irregolare, sul tuo volto, ha scritto,
par epistola dal personale vissuto contenuto,
poi mano ha firmato,
in fede "tempo passato."
Ma rimembra:"Non v’è fronda su legno,
senza funzione o impegno,
l’usignolo rifugio e protezione ha trovato,
in fronda di quercia si è riparato,
e io serena sto, in braccia di nonnina,
che premurosa m'insegna preghierina:
"Dolce Gesù, ti affido il mio cuoricino,
tienilo sempre a te vicino, vicino ,
Soave Madonnina, scrigno d'umiltà,
per tutte le famiglie, aurora di serenità.
‘N ARŠÊN
di Codeluppi Maria Dolores da S. Polo d’Enza (RE)
T’em cem incora pr’andêr a serchêr
un znèiver, da bonòra, drée biênch revêl,
da portêr in cusèina a parfumêr
al calòr dal nôster fèsti ed Nadêl.
At ved impgnèe a iustêr
al sôli,i tâc di mèe sandalèin,
ênch la cartèla ed fíbra a gh’è da psêr
a l’ên béle droveda chietêr cusèin.
L’âria dla sȋra l’am porta la stôria
dal foiònc,dal lambrúsch ed Cadebosch,
di bâl coi violèin ed Sênta Vitoria
c’at contev ,dôp sèina, a chi gniva nôsch.
Al feragòst at piasiva arcordêr:
drèe l’êrzen la vôs dal Po e d’un manzètt,
la gatêra di putèin,l’ingúria da tajêr,
i príll ed vâlser per vécc e ragásett.
T’er nasû int ‘na cà cla tgniva al fúm,
pó da la bâsa a Res t’è rivê,
ma cla téra spiêna,al so grênd fiúm,
i sòo scariolènt an t’è mai scordê.
In sitée nōv costúm, nōv lavôr,
tênt amîg sincēr piên piên t’è catê
e per Bondaval, al grên bocsòr,
‘na pasiòn c’an t’à più bandonê.
“Voglio vivere così” a canteva
Taiavèjn al nôster tenòr…
intênt l’amòr dla famíja l’at cureva
dai mêl ed Buchenwald, dai sòo oròr.
T’em vin arèint int al srèin dla matèina,
t’è sèimper mēg int la nôt scûra
per dirom “Tin bôta, corâ-g putèina,
la víta l’è bèla ênch s’l’è dûra”
T’me tirê sú con alegría, con bontèe,
da s’ cétt arsên e pêder cesionêl,
tajé a l’antȋga ma prônt al novitèe:
un óm coi pèe per tèra e i ôc al cēl.
UN REGGIANO - Mi chiami ancora per andare a cercare / un ginepro ,di primo mattino,lungo bianche rive, / da portare in cucina a profumare / il calore delle nostre feste di Natale. // Ti vedo occupato ad aggiustare / i tacchi, le suole dei miei sandalini, / pure la cartella di fibra c’è da rappezzare: / l’hanno già usata gli altri cugini. // L’aria della sera mi porta la storia / del foionco, del Lambrusco di Cadelbosco, / dei balli coi violini di Santa Vittoria, / che raccontavi ,dopo cena, a chi veniva con noi. // Il ferragosto ti piaceva ricordare: / lungo l’argine la voce del Po e di una fisarmonica, / lo schiamazzo dei bambini, il cocomero da tagliare, / i giri di valzer per vecchi e ragazzini. // Eri nato in una casa misera / poi dalla bassa a Reggio sei arrivato, / ma quella terra pianeggiante,il suo grande fiume, / i suoi scariolanti non hai mai scordato. // In città nuove usanze, nuovo lavoro, / tanti amici sinceri, piano piano, hai trovato / e per Bondavalli ,il grande pugile, / una passione che non ti ha più lasciato. // “Voglio vivere così” cantava Tagliavini, il nostro tenore… / intanto l’amore della famiglia ti curava / dalle malattie di Bughenwald,dai suoi orrori. // Mi vieni vicino nel chiarore del mattino, / sei sempre con me nella notte scura / per dirmi<<Non mollare,coraggio bambina / la vita è bella anche se è difficile>>. // Mi hai allevato con allegria con bontà / da vero reggiano e padre eccezionale, / di stampo antico ma pronto al nuovo: / un uomo coi piedi per terra e gli occhi al cielo.
L’ISOLA CHE NON C’È
di Dellagiovanna Manuel da Voghera (PV)
Ho sognato un’ isola nel mare
sabbia fine sulla pelle
aria fresca che mi sfiora il viso
il tuo sorriso
Non esistono problemi, niente afflizioni
e benché sia in zona tropicale
niente tifoni e niente zanzare
solo io e te in riva al mare
Non abbiamo bisogno di libri o televisione
ogni centimetro nasconde meraviglie
una nave pirata con tesori principeschi
avventure misteriose narrate da conchiglie
La notte il cielo è stellato di ghiaccio
che cade nei nostri bicchieri
cocktail di frutta con mille profumi
un abbraccio
Pesci d’argento cuociono sul fuoco
e un’orchestra di delfini, vestiti hawaiani
suona un sottofondo al chiaro di luna
una carezza sulle mani
Con la tua gonna intrecciata di piume
inizi a ballare allegra e leggera
affascinato ti osservo e mi chiedo
se sei proprio vera
E se mai un giorno l’oceano impazzito
decidesse di sommergere questo paradiso
avrò la speranza di averti vicino, un bacio
e nei miei occhi il tuo sorriso
MARE
di Dellisanti Ruggiero Maria da Barletta
Sillabe scandite dal vigore della burrasca.
Salsedine sparsa sulla pelle arsa.
Spiaggia rimbombante in una giornata d’Agosto.
Spiaggia deserta.
Chiudi gli occhi,
calpesta l’umida rena.
Ascolta il lento sciabordio dell’onda e
lasciati avvolgere dal silenzio della sera.
Siediti, al tramonto, sulla riva deserta,
volgi lo sguardo all’orizzonte, contempla l’infinito,
ascolta lo stridulo vociare dei gabbiani,
comprenderai l’immensità del creato.
Aspetta l’arrivo del maestrale,
vedrai la forza divellere la scogliera,
non illuderti di controllare la sua virilità.
Temi … la sua onnipotenza!
LA STELLA E IL POZZO
di Di Giorgio Francesco da Francavilla sul Sinni (PZ)
E il destino
mi diede in dono
una stella
trafugata dal cielo
di un Paese straniero.
Scese di giorno,
lontana dalle altre,
e il sol non l’ accendeva,
le faceva da complice
come ingenua madre
col figlio prediletto;
una sera d’ inverno
la strinsi al petto
e lei si frantumò
tradita da una
flebile tempra …
ne ritrovo
una simile
ogni notte
riflessa nel pozzo
dei mie pianti.
L'ECO DEI RICORDI
di Gambarelli Angela da Reggio Emilia
Con aria furbetta, in sogno, ti presentasti a me, e sottobraccio mi dicesti aspetta.
La mia attesa è vana, il tuo ricordo è assai vivo e, nonostante la tua mancanza, sopravvivo.
La vita trascorsa assieme spesso in allegria, è stata felice, solare e senza monotonia.
Eri allegro, felice, appagato, ma nonostante tutto, te ne sei andato e non sei più ritornato.
Chissà se nel tuo mondo, qualcuno vicino a te ti amerà, ma il mio ricordo per te, sovrasta quello là.
Vorrei far arrivare a te ed ai tuoi amici il mio pensiero e ricordarti sempre con l'Amore vero.
L'essenza di questa Vita, l'involucro che ci riveste, ci fa sentire uniti ed a braccia aperte.
Eccoti il mio ricordo perenne, indelebile e da molto lontano ma, che ci unirà e ci terrà per sempre, mano nella mano.
EMOZIONI
di Gazzotti Elena Paola da Toano (RE)
Dentro la chiesa antica
siedo impettita e strana
non credo e osservo scettica
la cerimonia che ai miei occhi spietati
appare un po’ grottesca quasi fosse pagana.
E d’un tratto la musica
un’armonia di voci miscelate tenere e dolci come una brezza
insinuanti, melodiche, azzurre come fossero cielo
ed allora mi invade
come a squarciare un velo
lenire una ferita
mi colmo di tenerezza
che non so di provare
i mi accorgo di avere
lieve come una carezza
un nodo che si scioglie
e la faccia bagnata.
IL MONDO TRA IO E ME
di Gelosi Silvia S. Ginesio (MC)
Nelle note
che scivolano piano
vedi gli angoli dei muri.
Le pareti ora bianche.
Un canto che si scioglie
nel ticchettio sordo
dello scorrere dei secondi.
Io e me.
Le mie pagine piene
e poi di nuovo bianche.
I bianco e nero appesi
con gli anni
che hanno cambiato
i momenti.
Non fa ancora freddo
e la luce si affievolisce
nel mezzo.
Ti ricordi gli odori
e passano anche quelli,
come il mare…
che sputa fuori
quello che tutti hanno
lasciato lì dentro.
E niente si cancella.
e niente si rimette.
Alcuni scompaiono.
Che sia troppo tardi?
Forse solo quando
quel dono si riempie
ci sarà un passaggio.
Nell’attesa si resta seduti:
sopra una sfera
chiusa a metà.
HO CAMMINATO TANTO
di Giaroli Marisa di Reggio Emilia
Ho camminato tanto per giungere a te.
Con passo a volte malfermo
ho superato dirupi scoscesi
distese desolate dell’anima,
ho inciampato
lungo la strada della vita.
Ho vagato alla ricerca
di un perché, di una direzione
con la speranza
che mi precedeva di un passo.
Le mie membra stanche
rianimate dall’amore
non più sbiadite ma baldanzose
si fermano davanti a te.
E i pensieri volano lontano,
immagini scolpite
dalla conoscenza di vita
mi portano ad un’adolescenza…
Correvi
con il corpo acerbo di libertà,
di emozioni da giocare
di regole senza confine
indelebili…
…e quando sarai lontano
e quando non potrò parlarti
dirti ti amo,
sei per me importante
il tempo picchierà sul cuore.
LÀSMEU SUGNAR
di Gigli Graziano da Civago (RE)
A cerc la luj, ma chi an seu ved al ciel,
la nebia l’avolg tutt cun u sò vel,
u sul l’è ascus in mezz a un gran nebiun
e l’aria freuda l’entra int i pulmun.
Ma, sul s’at pens, a mi us meu scalda i coeur,
a vrè scurdat, ma altò ricord an meur,
l’è sul n’insunieu, au sò c’al né mia ver,
l’è un’ilujun, ma però mi a sper.
A sper d turnar cuntì, su pr eul valad,
o in cima al creust a far cheul caminad
in mezz al piant, ai fiur, a la natura,
sutà un bel ciel turchin, a l’aria pura.
E quand a sun lassù am sent ar gel,
em par d’essr suspes tra terra e ciel,
e se t’e lì cun mi em par d vular,
l’è un vul eud fantasia, lasmeu sugnar;
lasmeu sugnar c’a scioma a far l’amur
in cima ae Prado, suvra un lett eud fiur,
anc sl’è irreal, anc se m’è sul davis,
an meu sveughiar, am sent in paradis.
E lasmeu sprar che e mund é peul cambiar
c’anghé pù guerr, an seu sent pù sparar,
che paj, giustizia, amur e libeurtà,
eul saivaran l’intera umanità.
Sceund giù Graziano, pogia in tera i pe,
eut gha stantann, sta un po’ da queul ch’t’e,
smeutla eud vular, eut n’ha l’avgnir sicur,
t’eun sa quant u sra lung al tò futur;
quant u sra lung, ngun eu peul saver,
an sò mia quant, ma cu scia lung a sper,
a sper c’am duvrì ancura supurtar,
fin a centann, s’airò fnì eud campar.
ASCIAMI SOGNARE Cerco la luce, ma non vedo il cielo, / la nebbia avvolge tutto col suo velo, / nascosto il sole in mezzo ai nuvoloni / e l’aria fredda entra nei polmoni, // ma se ti penso mi si scalda il cuore, / vorrei scordarti, ma il pensier non muore, / è solo un sogno, so che non è vero; / è solo un illusion, però io spero. // Spero salir con te nelle vallate / sopra le cime a far le camminate / in mezzo a piante, fiori, alla natura, / sotto un bel ciel turchino, all’aria pura. // E quando son lassù io son leggero, / quasi sospeso tra la terra e cielo / e se tu sei con me, posso volare: / è un vol di fantasia, fammi sognare, // fammi sognare che siamo a far l’amore / in cima al Prado, sopra un prato in fiore, / sogno irreale, vedo il tuo bel viso, / non mi svegliar: mi sento in paradiso. // Fammi sperar che il mondo può cambiare, / non ci son guerre, non odo più sparare, / che pace, amor, giustizia e libertà / potran salvar l’intera umanità. // Scendi Graziano, poggia a terra i piedi, / hai settant’anni eppure non ci credi, / non puoi volar, non hai doman sicuro, / non sai quanto sia lungo il tuo futuro. // Quanto sia lungo, non lo so davvero, / non per quanto, ma per tanto spero, / spero che mi dovrete sopportare / fino a cent’anni e poi ricominciare.
CUMPAGN ‘NA RŒSA
di Giovanardi Vanni da Luzzara (RE)
Cumpagn na roesa
soeta e mulszina
cumpagn an volt ad ciel
slargà e sgurà fin in fond
cla volta cat me det
dat sota i l’amur di panser:
-a voj start ad banda-.
A gh’era la lunghesa dli piantadi (**)
la cantada dli rani in dli curvi di fos
l’udur silensius dal mar dal furment
i papavar i sa sbandierava
intant ca sircava da fat redar i an.
E po’ am sunt sintà
quand al sul al sa slarga
am sunt brasà cmal brilar dli foj nostri
a t’ò ciamà
et sé armasza nuda par i oc
perfeta, cme na preumavèra intrega.
Come una rosa
Come una rosa / asciutta e soffice / come un arco di cielo / allargato e pulito fino in fondo // la volta che mi hai detto / da sotto l’amore dei pensieri: / -ti voglio stare accanto-. // C’era la distesa delle piantate (**) / il canto delle rane nelle curve dei fossi / l’odore silenzioso del mare di frumento // i papaveri si sbandieravano / mentre cercavo di farti ridere gli anni. /// Poi mi sono seduto / quando il sole s’allarga / mi sono abbracciato col brillare delle foglie nostre / t’ho chiamata / e sei rimasta nuda per gli occhi / perfetta, come una primavera intera.
(**) piantagioni
CARE RIMEMBRANZE
di Govi Ave da Reggio Emilia
O nonna che filavi presso il fuoco
con mano esperta snellivi la mannella,
prillavi il fuso a trottola e le dita,
tuffavi a tratti nella bacinella.
Sulla conocchia stretta alla cintura
di quel grembiale dalla tasca fonda,
avvolto il filo in rapida stesura,
altra mannella rigiravi in tondo.
L’aspro garzuolo ti mordeva al tatto,
di fuoco le falangi, l’unghie scarne,
ma con quel refe tu tessevi il sacco,
che al raccolto s’empiva di granaglie.
Ritmando il piede sull’arcuato appiglio,
canticchiando ninnavi il pargoletto,
che piano piano riabbassava il ciglio,
e già porgeva ascolto agli angioletti.
A volte novellavi vecchie fole,
più spesso bisbigliavi una preghiera,
era il rosario il rituale della sera,
Avemaria Gloria e Padrenostro.
Or che scioglievi la treccia arrotolata,
là sulle spalle a ricoprir mantella,
mai specchio ti ravvise, ma eri bella,
poi ricomposta la tua crocchia amata.
Torna il ricordo nella nuda stanza,
al chiodo la conocchia, la corona,
in un canto la cuna nessun sprona,
e il novellar è solo rimembranza.
OTÓBER TÉIMP D’ VIDMÊR
di Grisanti Lidia da Vezzano (RE)
Al méis d’Otòber generôš
al riva càregh ed dôn presiòš,
mo al dôn pió bel, pió bôn ed tótt
d’giòm pór ch’l’ê l’òva, e m’ sà ‘d dîr gióst.
Quànt bé’ grap in di filêr
che ind la végna brèln’ al sôl!
Un spetàcol da amirêr
ch’al contéinta i’ ò-c e ‘l côr.
L’è rivê ‘l téimp ed vidmêr:
gran lavôr pr’al cuntadéin:
bòti, tini în da busêr
perché ‘l dôgh ‘l s’inféien béin.
In mèš a l’êra i panerôn
prônt da mèter ind i filêr:
srân limpî d’ cól frut csé bôn,
bel madûr, prônt da spichêr.
Chî bé’ grap nìgher e dorê
ind la mostadôra în pistê,
e ind ‘na gran tinòsa ‘d léin
al mòst al ferméinta e ‘l dvéinta véin.
Quànd al mòst l’ha bojû asê
e l’ha alvê só un bel capèl,
da la tinòsa al vîn spilê
e ‘l sój s’ limpés ed véin novèl.
Véin novèl, bôn e sincêr.
Al contadéin, pîn al bicêr,
‘l fa ‘l prém asâ-g e, sodisfàt,
‘l dîš: “Te t’bendésa, te e gh’t’ha fàt.
Benedèt chî t’ha inventê!
T’arsanès anch i malê!
T’ê genuîn e t’ê sincêr;
t’ fê scordêr tót i pinsêr.
La to’ s-ciòma l’ê un bombôn,
la sfurbés anch i cojôn.
T’ê un dûn mandê dal cêl
e s’a n’ gh’fòs gnân i bicêr
e’ t’ bevrèn con la scudèla,
e la ‘n srê gnân ‘na bróta idèja!
Che t’ séi biânch o ròs, gh’é un dèt,
che ‘l côši stôrti t’ mèt pr’al drét.
Che t’ séi lambròsch o malvaséja,
te t’ sê dêr sôl d’ l’alegréja,
Perfîn al véin d’supê, da tót i dé”.
M’arcôrd d’un têl ch’a i declamêva acsé:
“Ch’a séja bendet Noè quand l’ha inventê la végna.
E a chî n’egh piêš al véin gh’ vègna le tégna”!
OTTOBRE TEMPO DI VENDEMMIA
Il mese di Ottobre, generoso, / arriva carico di doni preziosi, / ma il dono più bello, più buono di tutti / diciamo pure che è l’uva. Mi sembra di dire giusto. // Quanti bei grappoli nei filari / che nella vigna brillano al sole! / Uno spettacolo da ammirare / che accontenta gli occhi e il cuore. // È arrivato il tempo della vendemmia: / gran lavoro per il contadino. / Botti e tini son da bagnare / perché le doghe si gonfino bene. // In mezzo all’aia i cestoni / pronti da mettere tra i filari: / saranno riempiti da quel frutto così buono, / bello, maturo, pronto da raccogliere. // Quei bei grappoli neri e dorati / nella pigiatrice vengono pestati / e in una tinozza di legno / il mosto fermenta e diventa vino. // Quando il mosto è bollito abbastanza / ed ha tirato su un bel cappello / dalla tinozza viene spillato / e il mastello si riempie di vino novello. // Vino novello, buono e sincero. / Il contadino, pieno il bicchiere, / fa il primo assaggio e, soddisfatto, / dice: “Ti benedico, te e chi ti ha fatto! // Benedetto chi ti ha inventato! / Tu risani anche i malati! / Sei genuino, sei sincero: / fai dimenticare tutti i pensieri. // La tua schiuma è un bon-bon, / e sfurbisce anche i coglioni. / Sei un dono mandato dal cielo, / e se non ci fossero i bicchieri / ti berremmo con la scodella / e non sarebbe neanche una brutta idea. // Che tu sia bianco o rosso, c’è un detto / che tu le cose storte le raddrizzi. / Che tu sia lambrusco o malvasia / tu sai dare solo allegria, // perfino il vino “da tutti i giorni”. // Mi ricordo un tale che lo declamava così: / “Che sia benedetto Noè quando ha inventato la vigna. / E a chi non piace il vino venga la tigna”!
LE MANI DELLE DONNE
di Infanti Edda da S. Martino in Rio (RE)
Forgiate dal fuoco,
dall’accetta,
dalla lotta,
hanno appreso il lavoro,
la rabbia,
la pazienza.
Le mani delle donne
hanno bussato,
hanno picchiato al muro,
hanno lacerato il silenzio.
Le mani delle donne
rialzano,
salvano,
scaldano
come morbidi guanti.
Ma sono nude
e ferite davanti alla violenza:
nessuna benda per fasciarle
quando il dolore stride.
Eppure quanto portano
le mani delle donne
su per la salita!
Ma tutto
è leggero come un fiore,
perché metà del peso
lo trasporta il cuore.
ATTO DI BENEVOLENZA
di Magna Vincenzo da Montecorvino Pugliano (SA)
Colei ch'il cielo vide da bambina,
colei ch'il lume oscuro scelse,
colei che perse la propria ombra,
colei che morte, a vita scelse
sine vi et sine voluntate
strappossi l'anima dal core
e serrò il mondo all'oscura luce.
OSSERVATRICE
di Martellotta Annamaria da Cortemaggiore (PC)
Placata, malinconica, solitaria
sono all’alba.
Ai miei piedi:
un vuoto cosmico,
un verde sorriso,
circondato da un corpo idilliaco
ondeggiante nell’aria.
Giro ogni giorno meditando…
“cosa accadrà laggiù”.
Chiare, spumanti, vaporose
le fisso da quassù,
senza sapere cosa siano.
Trascorro la mia lunga giornata
interrogandomi sui tanti perché
della vita.
Ecco!
I miei piccoli, luminosi amici
mi stanno raggiungendo…
È arrivato il mio turno…
spegniamo le luci e
apriamo il cuore verso il cielo…
Osservatemi…
Sono la luna!
RIFLESSIONE POETICA
di Martinelli Marco da Reggio Emilia
Che mai scriverò?!
Non devo sentirmi obbligato
Se niente ho da dire.
“Poesia”: questa parola
Mi tocca l’animo,
mi sollecita a creare versi.
E i versi?!
Espressioni del mio sentire,
ma di che cosa?!
Forse della voglia di affermarmi
In un mondo
Dove in fondo
Basta essere se stessi.
IL SORRISO DI UN CLOWN
di Muscardin Rita da Savona
Samir era nato all’ombra di un sogno,
laggiù dove la sabbia odora di mare
e si confonde fra le dune del deserto,
dove al tramonto il cielo è ubriaco di colori
mentre si accendono le prime stelle.
Nove anni, occhi profondi come il silenzio
dei suoi giorni di sole rinchiusi in quella stanza,
il corpo esile profumava di tenero,
di infanzia sospesa fra delicati germogli di primavera
e sconfitte foglie d’autunno.
Aveva voglia di correre nel vento Samir
e inseguire onde in fuga verso sconosciuti tramonti.
Ma una sera,
mentre le sue piccole mani di neve
stringevano l’ultimo sogno,
io povero clown di corsia
con il naso rosso e la giacca arcobaleno
accarezzai con un sorriso il suo respiro
e lui volò via nel cielo infinito
a disegnare capriole fra le stelle.
“UNA PASSEGGIATA”
di Piazza Severino da Rivalta (RE)
Ogni persona dovrà immaginare
Il percorso di vita da attraversare
Paragonandolo a una grande passeggiata
Augurandosi che sia lunga e mai terminata.
La partenza è uguale per tutti:
Alti, bassi, belli, brutti.
Ma durante questo cammino
Ci saranno differenze nel suo destino.
Da bambini nascono tutti uguali
Purché nel fisico non ci siano mali
Poi con la scuola vengono i guai
Che molti non vorrebbero mai.
C’e’ chi si adatta all’insegnamento
Ma per alcuni resta un tormento.
Poi andando avanti con la giovinezza
Molti la vivono senza timidezza.
Ci sono anche dei ragazzi imbranati
Che per motivi vari vengono isolati.
Cosi per loro il percorso sarà oscuro:
È come se davanti avessero un muro.
Dopo per molti arrivano gli amori.
Creano famiglie sugli allori.
Cosi vengono i figli a passeggiare
Mentre l’anziano sta per declinare.
La fine di questa passeggiata
Per ognuno sarà differenziata.
Ma l’arrivo è uguale per tutti:
Alti, bassi, belli, brutti.
“NELLA STANZA DEL BUCATO”
di Piccinini Elena da Boretto (RE)
Nella stanza del bucato
la camicia abbraccia
fiori di lavanda.
Nel campo ceruleo
si specchiano i canti delle donne
e sulle stanche chiome danzano
le delicate zighene.
Dall’uscio in penombra
s’ode il chioccolio degli uccelli
che il fanciullo a braccia aperte
imita nell’attesa del volo…
Il paziente volto ben conosce
la misura del volteggio
e dalla grata arride al gioco,
chè la piuma roteando nell’aria
la sua fragile trama
ancora va scrivendo.
NUSCTALGIA
di Romiti Antonietta da Civago (RE)
Ien pasâ pü due ssant'ann
da quand a lasciò la cà natia,
ma a val digh,de me paes
a n’ho sempr nusctalgia.
Scia che am treuva in riva ae mar
o in te mezz a la citâ
i me bosch ai ho in te cheur e me fiümm,i munt,i prâ.
E a iarturn anch vluntera
in qualunque scia stasgiun
scia d’esctâ che eud primavera
senza fare eud disctinziun.
In Civag a sun cunvinta
a dag tüto preu scuntâ
d’artruvar a e me riturn
tuto cmeud a i ho lasciâ.Invece...
An seu peul fermar al temp,
an seu peul turnar indrê
s’artreuva tanta gent,
che ai baicun ian vultâ i pê.
Mea acetar i cambiament,
eud quel che e gh’era er
fa sul part di mê penser.
Lung e fiümm se a facceu dü pasc
l’eun ghen’ eul feumneu d’la burgada
in scnuchiun in cima ai sciasc
a lavar la sô bügada.
E eul turnavn a ca’ cuntent cun i seu linzeu pulî
pr’asciugaieu au sûl o a e vent suvre al chios o ai prâ fiurî.
An seu sent pù in mezz ai prâ
né una brunzà né un campanêll
l’è scta tüto trascfurmâ scia le sctall che ‘l capanell.
Tütieu eul ca’ eul sen alargadeu
guardâ che cuntradiziun
eul famieu eul sen sctricate
saiveu seul quaich eceziun.
Se ae paes, o genta mia,
anch se a fusà in cap ae mund
a g’arpens cun nusctalgia;
eul raisg eugl’ien prufund.
NOSTALGIA - Sono passati più di sessant’anni / da quando lasciai la casa natia, /ma, ve lo dico, del mio paese / ne ho sempre nostalgia. // Sia che mi trovi in riva al mare / o in mezzo alla città / i miei boschi ho sempre nel cuore / il mio fiume, i boschi, i prati. // E ritorno anche volentieri / in qualsiasi stagione / sia in estate che a primavera / senza fare distinzione. // A Civago, sono convinta, / do tutto per scontato / di ritrovare al mio ritorno / tutto come avevo lasciato. // Invece...// Non si può fermare il tempo / non si può tornare indietro. / Si scopre che tanta gente / ai balconi ha voltato i piedi. // Bisogna accettare i cambiamenti / tanto quello che c’era ieri / fa solo parte dei miei pensieri. / Lungo il fiume se faccio due passi / non ci sono le donne della borgata / in ginocchio sopra i sassi / a fare il loro bucato. // Tornavano a casa contente / con le loro lenzuola pulite / per asciugarle al sole e al vento / sopra le siepi o ai prati fioriti. // Non si sente più in mezzo ai prati / né un campanaccio né un campanello; / tutto è stato trasformato / sia le stalle che le capanne. // Tutte le case si sono allargate. / Guardate che contraddizione: / le famiglie si sono rimpicciolite / salvo solo qualche eccezione. // Se al paese, o gente mia. / anche fossi in capo al mondo / ci ripenso con nostalgia. / Le radici sono profonde!
UNA MATTINA DI NEBBIA
di Serri Angela da Reggio Emilia
La nebbia avvolge
tutta la città,
ovattando i rumori.
Gli alberi si intravvedono
nelle loro scarne sagome;
le luci dei lampioni,
ancora accese,
sfumano l’atmosfera
rendendola pallida.
Il freddo umido
raffredda la fronte,
fa inumidire gli occhi.
Come fantasmi
bisogna andare di fretta,
fregandosi le mani;
di tanto in tanto
s’incontra qualche rara persona,
un saluto appena accennato
è ricambiato.
Vedere le foglie cadute
mi lacera dentro:
le foglie dei viali
in mucchi disordinati,
ormai docili
al calpestio dei passanti.
Mi lacera dentro
vedere la solitudine delle panchine:
nonna e nipotini
non le fanno compagnia
come nelle giornate di sole.
Dai vetri appannati
delle case,
si intravvedono
luci fioche,
se ne accendono tante altre:
la vita della giornata
comincia,
anche se il cielo
non è sereno.
MARE
di Teni Maria Rosaria da Novoli (LE)
Nella notte
mille luci all’orizzonte
si specchiano nel mare.
Respirano le onde
cullando due barche
invecchiate e frante.
Il sussurro del vento
carezza la mia malinconia.
Lontano
la gente si muove.
Io
resto immobile
Confido al silenzio
ciò che vorrei dire al mondo
e mi rifugio nel mare
che abbraccia il mio pensare.
SIAMO TUTTI IN PERICOLO
Poemetto dall'ultima intervista di Furio Colombo
a Pier Paolo Pasolini
di Togni Carmen da Casalgrande (RE)
Ho un magico pensiero
Batterò un semplice chiodo
Crollerà una casa...
Or guarda sotto il sole
La Tragedia
Dove sono gli Uomini?
Strane macchine
Sbattono in corsa
L'una contro l'altra.
Soggiogati e soggiogatori
Vogliamo tutto
Sia buoni che assassini.
Il sole ha illuminato la polvere.
Neppur i bimbi ridono più
Dinanzi a voi marionette.
Il corpo qui e il cervello di là.
Ho sceso i gradini dell'Inferno
Preferirete cambiare discorso
Non accendendo neppure un cerino.
Nell'Arena stiamo tutti
Pronti al gioco dell'Avere
Senza prezzo alcuno.
Butto tutto e tengo me stesso
La gioia di essere al mondo
Ascoltando lingue, dialetti e burattini.
Ho nostalgia delle genti
Delle poesiole innocenti
Dell'acqua piovana che allaga...
L'Inferno sta or salendo
Siederà sugli scaffali
Bellettato di bianche etichette.
Ascolterete le formulette del presepe
Impazzito e lontano dal Paese
Lontano, quanto la Luna e più.
Siamo tutti in pericolo
Fammi rivedere
Fammi ritoccare amico mio...
Domani pagherò
Queste mie stesse parole pazze
Domani mattina...(1)
(1) Nota: domani mattina era il 12.11.1975. Il corpo di Pier Paolo Pasolini fu trovato in uno spiazzo erboso presso Fiumicino.
L'ANIMA NON MUORE
di Volpi Lucia da Castelnuovo Bozzente (CO)
Sarà dura salutarti
quando negli occhi
avrò ancora milioni
di parole da dirti.
Sarà triste immergermi
nel tuo ricordo
e non trovarti
sull'uscio ad aspettarmi.
Sarà doloroso
navigare in un grande mare
e non avere nessuno
in grado di ascoltare.
Vivrò i miei giorni,
le mie ore
ascoltando il cuore
con un impareggiabile
sete d'amore.
Non mi rimarrà altra scelta
che affidare le mie pene
fino al giorno del giudizio
a Gesu Cristo.
PATER NOSTER
di Zamboni Luciano da Gavasseto (RE)
Pêder noster che t’è in ciél,
“noster” a n’t pôs pió ciamêr:
chièter òmi mée fradée?
e cal dòni mée surèli?
Nuèter in cà bèli,
pini d’ogni cumditèe,
chieter puvrètt e disperèe
in serca ed pân e dignitèe.
Se slungòm d’ed là dai mêr
a sfrutêr i dzôr dal sóo tèri,
a purtòm via al cosi pió bèli:
e nuèter a i ciamòm fradée?
Agh purtòm dal nêvi pini
ed baréi tôsich e velenòus
e pó vròm paghêr i dèbit,
forse per fêr i generòus?
Sol che an fòma come
cul détt che al sa d’ingân:
“cambiòm apeina quèll
per lasêr al cosi come stân!”
Forse a srà un insòni,
põl èsser sol utopia,
ma se tòtt es dòm da fêr
che s’egh la cheva mia?
Sol alora pròm perghêr
“peder noster che t’è in ciël”
Guērda come sòm cambièe,
adèsa sé che sòm fradée!
Padre nostro che stai in cielo / non posso più chiamarti nostro: / gli altri uomini miei fratelli / e le donne mie sorelle? / / Noi in case belle / piene di ogni comodità; / gli altri poveri e disperati / in cerca di pane e di dignità. // Ci allunghiamo oltre i mari / per sfruttare i tesori delle loro terre / portiamo viale cose più belle / e poi li chiamiamo fratelli? // Portiamo loro navi piene / di barili tossici e pieni di veleni / poi ci vantiamo di pagare i debiti / forse per comportarci da generosi? // Basta che non facciamo / come quel detto che sa solo di inganno: / “Cambiamo solo qualcosa / per lasciare le cose come stanno”. // Forse sarà un sogno, / può essere solo una utopia, / ma se ci diamo tutti da fare / possibile che non ce la facciamo? // Solo allora potremo pregare / “Padre nostro che stai in cielo”, / guarda come siamo cambiati! / Ora si che siamo fratelli!
SÓN SÈMPRO MI…
di Zanol Corrado da Capriana (TN)
Són demò mi, Sioredio,
che Te ciàcero.
Quel ciòdo da cantér,
temprà co ’l fòch
de la To fosìna;
parènt ala lontana
de quel doprà
vàlghe meàr de ani fa,
en Palestina,
par enciodàr su la crós
to fiòl: «el Nazzareno».
Ancòi, demò al pensér
… mi trèmo!
Són sèmpro mi.
Quel che par ògni smartelàda,
che sta Vita la me dà
su la capèla,
par ògni crèp ciapà
…. trèma na stéla!
Mi… che ’nté sta nòt
cossì freda e scura,
vàrdo el ziél,
e l’è tut en tremolàr.
Vàrdo el ziél,
e me ciàpa la paura;
alór Te ciamo,
Te prego, Sioredio:
«fai tornàr de nòo el dì,
che pòde véder ciàr».
Sono sempre io… – Sono soltanto io, Signore Iddio, / che Ti parlo. / Quel chiodo da carpentiere, / temprato con il fuoco / della Tua fucina; / parente alla lontana / di quello che hanno usato / qualche migliaio di anni fa, / in Palestina, / per inchiodare sulla croce / tuo figlio: «il Nazzareno». // Oggi, solo al pensiero / … io tremo! // Sono sempre io./ Quello che per ogni martellata, / che questa Vita mi dà / sulla capocchia, / per ogni colpo preso / … trema una stella! / Io…. che in questa notte / così fredda e scura, / guardo il cielo, / ed è tutto un tremolare. / Guardo il cielo, / e mi prende la paura, / allora Ti chiamo, / Ti prego, Signore Iddio: / «fai tornare il giorno, / che possa… vedere chiaro».