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La storia dell’abbazia di Marola lumeggiata da Arnaldo Tincani

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Da sx A. Tincani, G. Badini e mons. vescovo
Da sx: A. Tincani, G. Badini e mons. M. Camisasca

Reggio è un territorio di alta densità storica antica e recente, contraddistinto da studiosi animati da forte amore e passione per la storia; questa l’impressione che mons. Massimo Camisasca ha ricevuto in questi sette mesi di episcopato, soprattutto dalle tante pubblicazioni storiche che gli sono pervenute da singoli, comunità parrocchiali, associazioni.

Lo ha messo in evidenza lo stesso presule domenica scorsa, 14 luglio, nell’aula pastorale dell’ex seminario di Marola in occasione della presentazione del volume di Arnaldo Tincani dedicato all’abbazia maraulense, che vanta nove secoli di storia, promossa per iniziativa della Deputazione reggiana di storia patria. Il vescovo Massimo - la storia è una sua passione – ha ringraziato quanti in diocesi lavorano per conservare la memoria storica – è un atto di servizio all’uomo - e per custodire il patrimonio di storia e arte. Inoltre, ha nuovamente manifestato il suo interesse per la figura di Matilde di Canossa, donna straordinaria per fede, mossa da coraggio e intraprendenza, sottolineandone la vocazione laicale, femminile e cristiana. Ma la sua attenzione si è spostata anche su personaggi della storia recente: da don Domenico Orlandini – il partigiano “don Carlo” – al seminarista martire Rolando Rivi, che era allievo proprio a Marola.

Mons. Camisasca, che in questi giorni ha risieduto nel Centro di spiritualità di Marola, ha avuto una sottolineatura particolare per la natura meravigliosa del nostro Appennino raccomandando di custodire la bellezza di quei luoghi e nel contempo di impedire che la montagna muoia; quando muore un prete – ha poi aggiunto ricordando il decano mons. Alberto Aguzzoli – è una chiesa che si chiude. Inoltre, spaziando nella storia teatro degli imperi, ha osservato come oggi si assista al dominio di un’economia selvaggia, di una politica debole e alla crisi del diritto e dei valori.

Introducendo l’incontro il presidente della Deputazione Gino Badini ha evidenziato il problema della conservazione e valorizzazione dei documenti d’archivio e l’interesse per essi del vescovo, come lo stesso mons. Camisasca aveva ricordato incontrando a gennaio il direttivo dell’Assostampa reggiana. Quindi ha sottolineato che Arnaldo Tincani – con la sua apprezzabile opera - si inserisce in una lunga tradizione di studiosi reggiani dediti ad una puntuale e preziosa edizione di documenti storici, rendendoli fruibili ai ricercatori e aprendo nuovi e appassionanti itinerari di ricerca. Si tratta di un’opera da cui non può prescindere chi intende approfondire la storia di Marola e della Chiesa reggiana. Lo stesso autore ha puntualmente illustrato poi le peculiarità del suo corposo volume, nonché le vicende salienti e i personaggi: Matilde, papi, imperatori, vescovi, eremiti – come l’energico fondatore Giovanni - uomini di cultura che hanno segnato il primo secolo (1092–1192) di Marola.

Inoltre don Nildo Rossi ha ricordato la vocazione spirituale dell’abbazia e il suo ruolo culturale e religioso, nonché la presenza nel seminario di docenti di altissimo livello; rilevando poi che la presenza, in queste settimane, del vescovo Camisasca le abbia come restituito la figura dell’”abate mitrato” che nel passato la governava; mons. Giovanni Costi ha evidenziato i fondamentali contributi offerti da Tincani alla storia della Chiesa reggiana e dei territori dell’Appennino con qualificati studi; mons. Tiziano Ghirelli ha sottolineato come dai documenti editi nel volume compaia una storia fatta di relazioni tra le persone.

(Giuseppe Adriano Rossi)

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“L’Abbazia di Marola. Le carte (1075-1192)” Intervento di Gino Badini presidente della Deputazione di storia patria

Nel presentare il libro di Arnaldo Tincani, parliamo oggi di istituzioni religiose come l’Abbazia di Marola, ma anche di archivi e di documenti. Documenti e archivi che pur avendo un carattere preminentemente amministrativo, tuttavia aiutano a comprendere meglio il millenario cammino della Chiesa nel perseguimento delle sue finalità religiose.

Per la difesa dei complessi documentari, malgrado la bufera Sette-ottocentesca delle soppressioni statali, esiste quella meritoria tradizione ecclesiastica che trova un suo importante esponente in Benedetto XIII, definito da alcuni scrittori “il papa archivista” per le sue molteplici iniziative a tutela delle raccolte documentarie. Come d’altra parte va ricordato in proposito il cardinale reggiano Giovanni Mercati, cui si deve, fra l’altro, un’importante iniziativa inventariale che interessò tutte le diocesi della Chiesa. E mi sembra di aver capito in un precedente incontro con alcune rappresentanze dei giornalisti reggiani, una personale e particolare attenzione di S.E. Camisasca per il mondo archivistico.

Permettetemi ora, prima di cedere la parola all’autore, alcune brevi considerazioni sull’importante volume di Arnaldo Tincani: “L’Abbazia di Marola. Le carte (1075-1192)”, che la Deputazione reggiana ospita al n. 3 della collana “Fonti e studi”, dopo gli altrettanto apprezzati saggi del prof. Alberto Cadoppi su Gabriele Bombasi e di Maria Teresa Cagni Di Stefano sulle castellanze della montagna reggiana.

Perché importante il volume di Arnaldo Tincani?

Lo capiremo meglio dalle parole dell’autore, che come sempre succede è colui che meglio di ogni altro conosce l’opera.
Reggio ha una bella tradizione legata all’edizione dei documenti. Non parlo - per ovvi motivi di tempo - del più ampio contesto estense e di quello che definirei il “principe degli storiografi”, vale a dire il modenese Ludovico Antonio Muratori.

Mi riferisco, solamente al più ristretto – ma non per questo meno importante - ambito locale, all’opera ottocentesca di Ippolito Malaguzzi Valeri confluita nei volumi sui Canali di Secchia e d’Enza. Ippolito Malaguzzi Valeri, archivista di Stato e ricercatore di fama nazionale, componente di prestigio della nostra Deputazione e direttore dell’Archivio di Stato di Venezia, scomparso prematuramente all’inizio del Novecento.

Questi studi vennero poi ripresi da Pietro Torelli ed altri con l’edizione critica delle carte reggiane fino alla metà dell’XI secolo. Seguì, com’è noto, ad opera di Francesco Saverio Gatta, la pubblicazione del Liber grossus antiquus, un vero e proprio monumento della nostra storia comunale da cui hanno attinto numerosi studiosi delle vicende medievali.

Ora, dopo una lunga pausa, (pausa non assoluta se pensiamo ai regesti di mons. Francesco Milani e di altri) si riprende la tradizione editoriale con quest’opera sistematica di Arnaldo Tincani, che ha ricostruito le vicende della prestigiosa abbazia di Marola, di origine matildina, e ha corredato lo studio di oltre 200 preziosi documenti.

Per quanto si riferisce a quest’ultimo aspetto, si deve dire, per inciso, che Tincani si è avvalso anche della preparazione che gli proviene dallo studio della paleografia e diplomatica, come si può rilevare dai regesti e dall’apparato critico che accompagnano tutti i documenti, accuratamente trascritti.

Non sono certo pochi i ricercatori che si sono interessati della plurisecolare vicenda attinente alla badia di Marola; ma i loro saggi, sono dispersi soprattutto in varie opere che hanno orizzonti narrativi più ampi oppure raccolgono scritti di autori diversi. Quindi risultano reperibili e fruibili con difficoltà. Alla necessità di porvi rimedio provvede ora Arnaldo Tincani e, nel volume che oggi viene presentato a Sua Eccellenza il Vescovo, Tincani accorpa i testi delle pergamene prese in esame, pur conservandone le singole specificità, e consente alle varie tessere conoscitive di ricomporsi in un importante mosaico unitario.

Nel primo capitolo, attraverso un’analisi che si addentra nelle pieghe più nascoste, viene ripercorso il lungo calvario degli atti maurolensi, un fondo archivistico ora ridotto a 1064 scritture rispetto alle 1507 rilevate nel Cinquecento. Quindi circa un terzo del patrimonio documentario ha subito le ingiurie del tempo e degli uomini, come spiega l’Autore nel suo libro. Anche se forse non si può escludere di ritrovare in altre sedi di conservazione qualcosa del materiale pergamenaceo andato perduto, quella dispersione va ascritta soprattutto alle soppressioni e ai trasferimenti verso la definitiva sistemazione nell’originario Archivio segreto estense, divenuto nel periodo postunitario, l’Archivio di Stato di Modena.

In attesa che altri, singolarmente o in èquipe, si cimentino nel non facile compito di trascrivere e pubblicare la raccolta documentaria nella sua interezza, Arnaldo Tincani inizia e svolge il suo compito con riferimento alla parte più antica, al primo secolo di vita monastica dall’anno 1075 (in piena età matildico-canossana) fino all’8 agosto 1192. Quest’ultima data è scelta dall’autore come termine ad quem, conclusivo, come discrimine temporale. E il suo segno qualitativo si riflette nella bolla di papa Celestino III che, proprio nell’agosto 1192, annovera il cenobio carpinetano fra quelli direttamente soggetti alla Sede apostolica.

I documenti scandiscono e comprovano poi tre momenti fondamentali della crescita che, a partire dall’eremo dei primordi, attraverso la fase intermedia del priorato, raggiunge l’apice nel 1134 con il conferimento del titolo di abbazia da parte del pontefice.

Ma al profilo storico introduttivo, suddiviso opportunamente in diversi capitoli, segue la corposa raccolta documentaria che lascia filtrare, in termini evolutivi, la fisionomia del cenobio nell’ambito del primo centenario di vita monastica.
Dopo tale periodo, riferisce Tincani, la parabola tende inesorabilmente al declino fino a perdersi, verso il Quattrocento, nella stagione crepuscolare della commenda.

Sentiremo fra breve dalle parole stesse dell’Autore altri aspetti dell’opera, io mi limito a sottolineare l’apprezzabile impegno di Tincani rivolto alla ricerca e all’accorpamento dei numerosi documenti, alla fruibilità dei medesimi attraverso un’attenta sistemazione redazionale, alla creazione di percorsi di ricerca con la realizzazione di un diligente ed esauriente apparato di indici.

In ogni rogito appariva il “signum tabellionis”, corrispondente per certi versi al moderno “sigillo del notaio”, e l’Autore ci offre un florilegio di questi “signa”, di questi sigilli, nella parte iconografica del volume.

Contrassegni tabellionari, a cui si aggiungono disegni tecnici, di manufatti e immagini di personalità di rilievo, nonché la riproduzione di pergamene di particolare pregio estetico e contenutistico. Seguono l’elenco delle cose notevoli, le fonti, la bibliografia e soprattutto, ai fini identificativi di persone e luoghi, l’indice dei nomi propri in stretta connessione di rinvii incrociati.

Va detto, ancora a merito dell’Autore, che opere di tale portata, che fra l’altro presuppongono un’approfondita conoscenza critica di vari settori della storiografia, non sono realizzate di frequente e impegnano l’estensore ad un lavoro oneroso.

Tali opere tuttavia segnano una pietra miliare alla quale, d’ora in poi, deve fare un doveroso riferimento chi si appresta ad approfondire con la necessaria serietà temi e problemi della storia dell’Abbazia e della nostra storia in generale. Un’abbazia che come tante altre istituzioni religiose, ha inciso profondamente sulla nostra storia.