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Sulle tracce dell’inventore del rotocalco moderno: Arrigo Benedetti

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Arrigo e Rina Bendetti a Gazzano
Arrigo e Rina Bendetti a Gazzano

Appennino, al confine tra Emilia e Toscana, Val d’Asta.

C’è un motivo che, oggi, spinge la gente quassù, a Gazzano, “Paese del presepio” dal 2004: le creazioni del presepista di fama internazionale Antonio Pigozzi, la storia, legata alla seconda guerra mondiale e alla resistenza, ma anche la memoria di un illustre giornalista e scrittore lucchese, il “padre dei grandi settimanali italiani”, l’“aspirante romanziere che inventò i giornali”, come lo ha definito Carlo Gregoretti. Nel piccolo cimitero in pietra, a pochi passi dalla chiesa, sono conservate, infatti, le spoglie dell’ “inventore del rotocalco moderno”; citando Eugenio Marcucci un uomo “tra gli eccellenti del secolo”: Arrigo Benedetti.

Accanto a lui, la moglie, Rina Gigli, deceduta nel 2003, e i due figli, Alberto, precocemente scomparso nel ’74, e Giovanni, morto sul nascere nel’47. Croci singolari sulle tombe di famiglia, semplici, dallo stile inconfondibile, a firma dello scultore lucchese Mencacci.

“Ha voluto che il figlio, e lui stesso, fossero sepolti qui – ricorda la nipote gazzanese, Anna Gigli, figlia del fratello di Rina, Giglio, originari del paese montano –. Lo zio Giulio era molto attaccato al territorio e alle persone di questi luoghi”.

Giulio, in arte Arrigo, nome da lui assunto dal ’33 per distinguersi da un suo omonimo, già affermato a quel tempo. Lui e Rina, sua lontana parente, si sposarono l’8 maggio 1937 a Montuolo (Lucca). “Si conoscevano da sempre – racconta la nipote –. I Benedetti venivano su tutte le estati, in una vecchia casa della loro nonna, e spesso anche durante l’anno. Erano cinque fratelli: Franco, Mario, Claudio, Marco e Giulio. Poi le mie zie andavano a trovarli a Lucca. Esisteva un rapporto di parentela già prima che i due, Giulio e Rina, si sposassero, una parentela stretta e coltivata”.

La nonna di Benedetti, Zita Agostinelli, e sua sorellaAdalgisa erano originarie di Gazzano. “Da giovani erano andate a Lucca da una cugina – spiega –, ed erano rimaste là. Poi Zita, con la sua famiglia, emigrò in Brasile, lasciando la figlia più piccola, Linda Agatoni, alla sorella Adalgisa, che l’aveva cresciuta come se fosse stata sua madre. Per i figli di Linda era lei la nonna, della vera si erano perse le tracce”.

Nato a Lucca il 1° giugno 1910, da Luigi e Linda Agatoni, fino a 27 anni Benedetti visse nella città toscana. Qui frequentò il liceo classico “Macchiavelli”, dove intesse un legame intensissimo con il coetaneo Mario Pannunzio, “un’amicizia estremamente profonda, che durò tutta la vita”, ricorda la nipote. Diplomatosi, si iscrisse prima alla facoltà di legge e poi a quella di lettere dell’università di Pisa, senza tuttavia concludere gli studi.

Desideroso di diventare scrittore, Benedetti ambientò i suoi primi racconti nella sua terra. Il suo esordio letterario risale al 10 luglio ’32, con la pubblicazione su “L'Italia letteraria” del resoconto autobiografico “Villeggiature lucchesi”.

A Roma si trasferì l'11 febbraio 1937, portandovi poco dopo anche Rina, dietro invito dell'amico Mario Pannunzio, che, a quei tempi, frequentava il Centro sperimentale di cinematografia. La capitale decretò l’inizio di una brillante ed intensa carriera giornalistica. Iniziò a collaborare al periodico “Libro italiano”. Con Pannunzio collaborò al settimanale "Omnibus" (’37-’39), fondato da Leo Longanesi, e fondò "Tutto" (’39) e "Oggi"(’39-’41), editi da Rizzoli.

Scoppiata la guerra, fu inviato a Napoli e in Sicilia come corrispondente de “Il mattino” (’42-’43). Dopo un breve ritorno a Roma, prima dell’8 settembre ’43 si trovava a Gazzano, dove, l’estate, aveva accompagnato la moglie in attesa del secondo figlio.

“Erano qui in vacanza – racconta Anna Gigli –, credo che lo zio fosse in pericolo, e preoccupato per Rina. Lui era antifascista. Dava aiuto a chi ne aveva bisogno. Ai soldati italiani allo sbando e ai militari alleati scampati dai campi di concentramento. Era una persona molto generosa con tutti e veramente grande di animo e di cuore”.

Il giorno di Natale dello stesso anno fu arrestato dalla guardia repubblicana fascista. “Arrivarono al mattino presto – prosegue la nipote –, presero Arrigo e il parroco di Gazzano,don Paolo Canovi. Furono arrestati perché avevano in casa dei prigionieri stranieri. Il parroco un inglese, il maggiore Richard, Arrigo un russo, Valentino. Lo zio Giulio fu portato in carcere a Reggio e deferito al tribunale militare di Bologna. Fu rinchiuso in cella con Alcide Cervi, padre dei sette fratelli poi fucilati. Nel gennaio del ’44, dopo un bombardamento, riuscì ad evadere”.

Tutta la famiglia partecipò a quella drammatica esperienza, che Benedetti descriverà egregiamente nel romanzo “Paura all’alba” (’45).

Nel ’44, dopo la liberazione della capitale, Arrigo ritornò a Roma e fondò il quindicinale “Nuovo mondo”. Nel ’45 a Milano, dopo un breve periodo come critico teatrale per il “Corriere lombardo”, fondò “L’europeo”, edito da Mazzocchi. Lasciato “L'europeo”, divenne redattore della “Stampa” di Torino, collaborandovi dal ‘53 al ’71. Nel ’55, a Roma, impostò “L'espresso”, che diresse fino al ‘63. In seguito si ritirò nella sua villa a Saltocchio, in Lucchesia, col proposito di dedicarsi alla narrativa. Uscirono “Il passo dei longobardi” (’64), “L’esplosione” (’66), “Il bello angelico” (’68), “Rosso al vento” (’74). Solo due le parentesi giornalistiche: il rifacimento della rivista “Il mondo” (‘69-‘72), a Firenze, la cui redazione fu poi trasferita a Milano, e la direzione del quotidiano “Paese sera”, dal ’75 al ‘76, a Roma.

Da sx: Mario Soldati, Arrigo Benedetti e Alberto Mondadori
Da sx: Mario Soldati, Arrigo Benedetti e Alberto Mondadori

Andò a Roma dopo l’improvvisa perdita del figlio Alberto, a soli 31 anni. Era partito da Gazzano per una vacanza in Sardegna con alcuni amici. Vi tornò morto.

Dello zio, la nipote ha in mente un’immagine inusuale per l’epoca. “Lo vedo quando passeggiava a Lucca nel suo podere e dava da mangiare ai suoi gatti, vicino al boschetto dibambù”. Di lui come giornalista ricorda che “iniziava sempre la giornata leggendo i giornali, e la zia brontolava perché tingeva di nero le lenzuola di stampa fresca”. E poi che era “molto stimato e temuto. Ed esigente, come devono essere i veri maestri. Ha cresciuto una generazione di ottimi giornalisti”.

Gregoretti ha raccontato, nella prefazione all’ultima edizione di “Paura all’Alba” (2012), la sua esperienza di giovane redattore all’Espresso: “L’alba era un’alba romana, si capisce, tra le 8 e le 8,30 di mattina. Ma Benedetti era già lì da circa un’ora, aveva già letto tutti i giornali; e poiché aveva bisogno di parlarne con qualcuno che non fosse la donna delle pulizie, la paura di incontrarlo e di venire invitato nella sua stanza accompagnava ogni mattina il mio arrivo in via Po numero 12. Benedetti – prosegue – mi invitava ogni mattina nella sua stanza, e naturalmente io non avevo letto alcun giornale. Però fingevo di averli letti, fingevo benissimo. [...] Tutto questo durò a lungo, molto a lungo, poi però col passare dei mesi, o degli anni, la paura all’alba svanì”.

A Benedetti piaceva anche dare le notizie. “Quando morì Pasolini, nel novembre del ’75 – rivelano i parenti motanari –, lo zio era qui a Gazzano. La mattina di solito lavorava, poi faceva una passeggiata fino al cimitero, e tornava al lavoro. Quel giorno, invece, lo sentimmo entrare presto da noi e dire: ‘Hanno ammazzato Pasolini’. L’aveva sentito di notte alla radio”.

Benedetti morirà il 26 ottobre del ’76, per complicazioni in seguito ad un intervento. Usciranno postumi “Cos’è un figlio” (’77) e “Diario di Campagna” (’79).

A Gazzano l’hanno ricordato nell’83, con un convegno a cui erano presenti tutti i più grandi giornalisti. Qualche articolo sui giornali locali ne preserva il ricordo. Alcune strade portano il suo nome. Al centenario dalla sua nascita, c’è chi è tornato sulle sue tracce, con un libro. Un’immensa perdita culturale, che molta gente di questi luoghi, a lui tanto cari, a mala pena lo conosca. Un peccato che non lo si legga, d’obbligo, nelle scuole.

(Giuliana Sciaboni)

3 COMMENTS

  1. Se interessa, sul convegno del 1983 a Gazzano alla presenza dei massimi giornalisti italiani dell’epoca, quali Scalfaro, Pintor, Gaspare Barbellini Amidei, Montanelli e tanti altri, abbiamo alcune immagine filmate ed interviste realizzate a quel tempo da Telelupo la emittente locale di Civago. Recapiti: Roberto Bulgarelli o Claudio Gaspari

    (C. Gaspari)

    • Firma - c.gaspari
  2. Non pensavo che fossero passati più di trent’anni da quell’incontro di Gazzano, cui partecipai nelle vesti di ascoltatore, e che ricordo ancora come una piacevole e coinvolgente giornata, allietata anche da un tiepido e gradevole sole che si accordava molto bene col paesaggio circostante.

    (P.B.)

    • Firma - P.B.