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Al Teatro Bismantova in scena “Qualcosa rimane”, scritto dal Premio Pulitzer Donald Margulies e diretto da Monica Guerritore

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Monica Guerritore e Lucilla Mininno
Monica Guerritore e Lucilla Mininno

Venerdì 13 febbraio scorso salgono per la prima volta sul palco del Teatro Bismantova, portando in scena Qualcosa rimane, uno spettacolo in prosa scritto dal Premio Pulitzer Donald Margulies e diretto da Monica Guerritore.

Sarà la forza e di questi due personaggi, Ruth Steiner (Monica Guerritore), una scrittrice affermata, e la sua allieva, Lisa Morrison (Lucilla Mininno), ad agguantare il pubblico e scaraventarlo in una realtà fatta di acquazzoni e uragani, dove cercare se stessi e il proprio senso nelle parole sembra l’unico vero modo di comprendersi, di capirsi.

Qual è la prima cosa che vi viene in mente riguardo a questo spettacolo?

M: La custodia di un segreto luminoso. È uno spettacolo che racchiude un senso poetico, una cosa che rimane lì, per chi la vuole osservare, ma in segreto.

L: Il confronto fra generazioni differenti, sia da un punto di vista artistico che umano. È una cosa che ho sentito mia.

Come vedete il rapporto fra le protagoniste della storia?

M: Il rapporto fra l’allieva e la sua insegnante è un rapporto che racconta un tradimento etico, morale e affettivo. Non penso mi sia mai capitato di avere un rapporto del genere con qualcuno, ed è per questo che mi è piaciuto indossare quei panni.

L: Quel rapporto è pieno di forza e di fragilità. I due personaggi trascorrono parecchio tempo insieme, e forse è per questo che imparano a conoscersi ma anche a ferirsi.

Il rapporto fra voi, invece, com’è?

M: Lucilla mi piace molto, ha una sensualità e un’esperienza che le daranno modo di esprimersi al meglio. È vorace di conoscenza, di sapere. Sono parecchio soddisfatta di lei.

L: Lavoro con Monica da parecchi anni, ormai. Ricordo che i primi tempi era difficile per me, mi sentivo piena di pressione, perché stare sul palco con una persona così importante da un punto di vista artistico fa il suo effetto. Lei è stata bravissima ad accogliermi, ad insegnarmi.

Quali sono le caratteristiche fondamentali del testo e del suo modo di portarlo in scena?

M: Questa donna, che si era innamorata di un poeta della Beat Generation, Delmore Schwartz, è rimasta segnata per sempre da quella relazione fatta di alcool e dolore, di speranze andate perse. Vede poi nella sua allieva una specie di luce poetica, di aspettativa. Ma verrà delusa dalla spregiudicatezza e dalla superficialità di quest’ultima. La mia regia voleva semplicemente replicare la storia originale, senza sfarzi, senza ricreare. Mantenendo l’integrità del personaggio, in primis grazie alla scenografia che costituisce il rifugio di una scrittrice. Un lavoro molto curato anche da un punto di vista psicanalitico.

L: È un testo contemporaneo che va a sviscerare il rapporto fra due persone, che a contatto fra loro modificheranno le proprie vite. È come entrare nell’appartamento di qualcuno, scoprire la sua intimità.

Cosa significa essere un’attrice?

M: Essere un’attrice significa essere visti per vedere. Per vedere il pubblico, il mondo che ti circonda. La sua reazione ad ogni tuo gesto.

L: È una cosa che hai dentro, che se non la esprimi non riesci ad essere te stesso. Ed io sono molto fortunata a poterlo fare come mestiere, ad essere me stessa come mestiere.

 Recensione

È una voce fuori campo, quella dei pensieri della scrittrice Ruth Steiner (Monica Guerritore), ad essere protagonista del palco, ancora prima che tutto inizi. Le sue parole sono come un respiro tagliente, fatto di pause e silenzi che si adagiano fra gli oggetti della sua stanza, luogo in cui comparirà la sua allieva Lisa Morrison (Lucilla Mininno).

I due personaggi dapprima si annusano, si scrutano, per poi diventare quasi una cosa sola, come una specie d’amore privato.

Si può percepire il profumo degli ambienti di quell’appartamento che è frutto di una scenografia curata nei minimi dettagli, dalla disposizione dei mobili all’effetto del fuoco nel camino, il quale ricrea un senso di sicurezza e quotidianità.

Passo dopo passo, parola dopo parola, si entra in quel mondo di cui facevano parte i poeti maledetti della Beat Generation degli anni ’50, attraverso il loro dolore, attraverso la loro psiche.

“Il tempo è la scuola in cui impariamo”: questa è la prima lezione di Ruth per Lisa. Lei impara in fretta e fa suo il concetto, tanto che nell’arco del periodo in cui i due personaggi staranno a contatto cercherà di estrapolare ogni minimo dolore, ogni minimo ricordo, della propria insegnante, saccheggiandola della sua intimità e utilizzando quella mole di materiale per scrivere il suo primo romanzo, senza paura di tradirla, di tradire la sua fiducia.

Ma non è tutto qui, alla base del loro percorso ci sarà anche una ricerca quasi ossessiva di se stessi, delle proprie origini, di come chi ti sta accanto può influenzarti e cambiarti.

Gli innumerevoli riferimenti letterari fanno poi da cornice a questo spettacolo pieno di grinta ed emozioni, da Ginsberg a Kierkegaard, da Hemingway a Joyce.

La voce di Monica Guerritore arriva ovunque, e Lucilla Mininno sa dove stare in ogni istante.

Uno spettacolo che ti spiazza e ti sconvolge per la sua umanità, per la luce segreta che racchiude in un dolore.