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In memoria di Don Pasquino Borghi

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(Don Pasquino Borghi)
(Don Pasquino Borghi)

Il 30 gennaio 1944, a poco più di un mese dall’uccisione dei sette fratelli Cervi e di Quarto Camurri, nel Poligono di tiro di Reggio Emilia i fascisti repubblichini fucilarono Don Pasquino Borghi e altri otto antifascisti: Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini.

Il 72° anniversario dell’eccidio è stato ricordato oggi, sabato 30 gennaio, con un programma di iniziative promosse da Comune e Provincia di Reggio Emilia, associazioni partigiane Anpi, Alpi, Apc, Anppia, Comitato democratico costituzionale, Istituto Alcide Cervi, Istoreco e Ufficio scolastico di Reggio Emilia. Dopo la messa celebrata in suffragio dei caduti nella Basilica della Ghiara, è stata deposta una corona in vicolo dei Servi, e sono stati omaggiati i caduti al Poligono di tiro di via Paterlini 17.

Nel luogo dell'eccidio sono intervenuti il vicesindaco di Reggio Emilia Matteo Sassi, il partigiano Giglio Mazzi, in rappresentanza dell'Anpi, e il presidente dell'associazione Alpi-Apc, Danilo Morini.

Dopo aver salutato le autorità civili e militari, i parenti delle vittime e i presenti al Poligono di tiro, il vicesindaco Sassi ha detto: “Ritrovarsi a 72 anni di distanza in questo luogo non è un rituale e non è retorico. Ricordare la morte di Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Don Pasquino Borghi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini, è un dovere civico, politico e sociale.

“In quegli anni e in quei mesi il fascismo rappresentò per la collettività il volto più feroce di cui era capace. Un mese prima i sette fratelli Cervi e Quarto Camurri furono qui fucilati e nell'estate del 1943 nove persone, tra le quali una donna incinta, caddero alle Officine Reggiane. Tra il '43 e il '44, il periodo in cui il fascismo capì che stava perdendo, che la loro ideologia sarebbe fallita, iniziò una fase di recrudescenza della repubblica di Salò, che non ebbe la capacità di farsi da parte e attendere, ma continuò sempre più con la repressione e l'oppressione".

“Non accettiamo — ha proseguito il vicesindaco — alcuna forma di revisionismo. Abbiamo sempre detto che si deve la pietà a tutti i morti, ma che non possono essere equiparate le ragioni di chi cadde a difesa della libertà e della democrazia e chi invece cadde per i disvalori del fascismo. Noi, in quanto figure politiche e cittadini, non dobbiamo mai dimenticarci quel volto unico che aveva il fascismo, che seminò distruzione e terrore. Don Pasquino Borghi, un prete resistente, cadde al Poligono di tiro insieme all'anarchico Zambonini, che combatté nella guerra di Spagna. Furono fucilati insieme. Avevano in comune l'alto senso di responsabilità, di democrazia, di pace. Non furono indifferenti, avrebbero potuto far finta di niente, forse si sarebbero salvati, ma non lo fecero. Credo sia giusto essere custodi inflessibili nei confronti delle giovani generazioni, e che questi luoghi ci ricordino il dovere di onorare quegli uomini e partigiani che ci consegnarono la democrazia e i valori costituzionali”.

“Ringraziamo — conclude il vicesindaco — i rappresentanti di Anpi, Alpi e Apc per la testimonianza appassionata che hanno portato. Se i giovani di allora preservano dei ricordi così vivi e intensi, significa che quei fatti furono davvero drammatici e cruciali per le sorti delle generazioni future, e che 72 anni sono davvero pochi nel tempo della storia. Dunque, a maggior ragione, la difesa della democrazia in Italia, che è una giovane democrazia, è un impegno di tutti i cittadini contro ogni forma di oppressione e discriminazione”.

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Notizie su don Pasquino Borghi, nome di battaglia Albertario

Pasquino Borghi nasce a Bibbiano il 26 ottobre 1903 da una famiglia di contadini mezzadri.

Entra in seminario a 12 anni, dimostrando una spiccata tendenza alla vita ecclesiastica. Nel 1924 entra nell'Istituto Benedetto XII delle missioni africane in Verona. Nel 1930, ordinato sacerdote, parte per la missione comboniana di Torit, nel Sudan all'epoca anglo-egiziano. Nel 1937 viene fatto rientrare in Italia per motivi di salute e curato presso l'istituto missionario di Sulmona. Nel 1938 entra nella Certosa di Farneta (Lucca), ove emette i voti di certosino. Nel 1939 chiede la dispensa papale per ritornare alla vita sacerdotale “nel mondo”, anche per poter aiutare la madre rimasta vedova e in povertà. Nominato cappellano nella chiesa di Canolo (Correggio), assume decisa posizione contro la guerra e la dittatura fascista. Dall'autunno 1943 è parroco a Coriano-Tapignola di Villa Minozzo. 

Dopo l'8 settembre 1943, inizia un'intensa attività di aiuto ai soldati italiani sbandati, ai prigionieri alleati fuggiti dai campi di internamento e ai primi partigiani. Aderisce alla Resistenza con il nome di battaglia di Albertario. 

Il 21 gennaio 1944 viene arrestato a Villa Minozzo da militi della Repubblica Sociale, mentre sta tenendo l'omelia della Messa. Un milite ha la sfrontatezza di schiaffeggiarlo, mentre una maestra in segno di spregio gli sputa sul viso. Inutili i tentativi per salvarlo: Don Pasquino viene incarcerato a Scandiano e poi, nell'ultima notte, trasferito nel carcere dei Servi a Reggio Emilia. Subisce percosse, torture e umiliazioni, sopportate con rassegnazione cristiana e con una forza d’animo tale da infondere coraggio ai compagni di prigionia che insieme a lui subivano la medesima sorte.

Il 30 gennaio 1944, per rappresaglia dopo l'uccisione di un milite fascista, senza alcun processo viene fucilato insieme ad altri otto patrioti: Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini.

L'esecuzione ha luogo nello stesso Poligono di tiro dove un mese prima, il 28 dicembre 1943, erano stati fucilati i sette fratelli Cervi e Quarto Camurri.

Un distaccamento partigiano viene ben presto intitolato a Don Pasquino, una delle figure più importanti della Resistenza reggiana.

Il 7 gennaio 1947, in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario della nascita del Primo Tricolore, il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, consegna alla madre, Orsola Del Rio, la medaglia d'oro al valore militare alla memoria.

 

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