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Le imprese? Tornano a calare

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Sono scese a 55.198 unità le aziende iscritte al Registro Imprese della Camera di Commercio alla fine di marzo 2017. Lo comunica lo stesso ente. Archiviato il 2016 con un saldo leggermente negativo (-79 imprese in un anno), il sistema imprenditoriale reggiano ha infatti scontato un trimestre gennaio-marzo 2017 segnato da un calo delle iscrizioni e, contemporaneamente, da un aumento delle cessazioni d'attività.

A fronte di 1.107 nuove attività – evidenzia l'analisi dell’Ufficio Studi della Camera di Commercio - sono infatti 1.485 le imprese che hanno espresso la volontà di non proseguire l’attività, con un saldo negativo di 378 unità.

Tradizionalmente - sottolinea la Camera di Commercio - il saldo del primo trimestre risente dell’effetto delle cessazioni decise dalle imprese sul finire dell’anno precedente che, potendo essere comunicate all’ente entro trenta giorni, vengono di frequente contabilizzate nel mese di gennaio, ma il dato di quest’anno, così come riscontrato anche a livello nazionale, è in peggioramento rispetto al primo trimestre 2016, quando le chiusure avevano superato le iscrizioni di 311 unità.

Dall’analisi per forma giuridica emerge che a risentire maggiormente dell’andamento negativo sono state le ditte individuali per le quali, a fronte di 757 iscrizioni, hanno chiuso i battenti 1.069 imprese, registrando un saldo negativo pari a 312 unità. In flessione anche l’andamento riscontrato dalle società di persone, per le quali le nuove attività aperte nel primo trimestre dell’anno sono state 83 e le chiusure 175. La dinamicità delle società di capitale, che hanno registrato 248 nuove aperture e 208 cessazioni con un saldo positivo di +40 imprese, non è stata sufficiente per controbilanciare la flessione complessiva del numero di aziende reggiane.

In cinque comuni della provincia di Reggio Emilia, comunque, si osservano, seppur contenuti, andamenti in crescita. Sono Bagnolo in Piano, che in tre mesi ha registrato un +0,9%; Sant’Ilario d’Enza (+0,5%); Villa Minozzo (+0,2%); Guastalla e Poviglio (+0,1% per entrambi).

Relativamente ai settori economici, sono ancora una volta i servizi, sia di supporto alle imprese che quelli rivolti alla persona, a registrare qualche incremento. Fra le imprese che svolgono attività professionali, scientifiche e tecniche, passate da 1.865 della fine 2016 a 1.883 di marzo 2017, le più dinamiche sono state quelle di attività di direzione aziendale e consulenza gestionale, contabilità e R&S; a queste vanno aggiunte quelle di noleggio, agenzie di viaggio e altri servizi alle imprese che, con una crescita dell’1,4%, hanno raggiunto le 1.330 unità grazie all’aumento osservato per le attività di supporto per le funzioni d’ufficio (+3,3%) e quelle dei servizi per edifici e paesaggio (+1,7%). Positivo l’andamento dei servizi di informazione e comunicazione che, fra gli altri, comprendono la produzione di software e consulenza informatica cresciuti, nel periodo gennaio-marzo 2017, dell’1,7%. Per quanto riguarda i servizi alla persona, il settore della Sanità e assistenza sociale è quello che, con un incremento del 4% (10 imprese in più nel trimestre in esame), vede aumentare in modo apprezzabile la propria base imprenditoriale.

Le flessioni più rilevanti si registrano, invece, per l’agricoltura (-110 imprese), nel settore delle costruzioni (-93 unità), del commercio (-79), delle attività immobiliari (-47). Negativo, infine, anche l’andamento del manifatturiero e dei trasporti e magazzinaggio (26 imprese in meno per ognuno dei settori).

16 COMMENTS

  1. Non c’è certo di che gioire, ma chiediamoci almeno il perché. Lavorare è diventato difficile, costoso, non riconosciuto e poco gratificante. La burocrazia del sistema divora i guadagni che potrebbero esserci e fa aumentare a dismisura il costo del lavoro. Ci sono troppi parassiti attorno a chi produce. Aumentano le imprese di servizio e calano le imprese che producono, ditemi voi, cosa ci si può aspettare!? Non solo di “carta” vive l’uomo…

    (Antonio Manini)

    • Firma - Antonio Manini
  2. Ho aperto la mia ditta da un mese, ma solo adesso mi rendo conto della burocrazia e delle tasse allo Stato. Non mi fa paura il lavoro, piuttosto lo Stato e le norme da seguire; comunque ormai è fatta e vado avanti, ma non lo consiglio ad un giovane! Se tutto va bene lo Stato ti lascia sopravvivere. Caro Stato italiano, lascia vivere i nostri giovani aiutandoli veramente!

    (Onny)

    • Firma - Onny
    • Lo Stato italiano è impegnato a perseguire con ogni mezzo (soprattutto attraverso il consolidamento fiscale, cioè incassare tasse senza fare spesa pubblica) il pareggio di bilancio, secondo le direttive della Commissione europea e i relativi accordi. Quindi, per le lamentele, bisogna rivolgersi a quest’ultima. Inoltre, a causa dei vincoli della moneta unica, deve fare in modo che il reddito degli Italiani rimanga sufficientemente basso, altrimenti comprano roba tedesca facendo peggiorare la bilancia dei pagamenti – il che fa andare lo spread fuori controllo. Anche per questo, rivolgersi alla Commissione europea.

      (Commento firmato)

      • Firma - commento firmato
      • No, ci rivolgiamo ai nostri amministratori responsabili della serenità dei cittadini che con il loro impegno quotidiano speravano di arrivare alla pensione e quindi alla vecchiaia, chiudendo con i pensieri e le fatiche; invece per colpa di questi irresponsabili vedono allontanarsi il tanto aspettato riposo, anzi devono aiutare sempre lavorando i loro figli e famiglie, lavorando anche in vecchiaia e senza una protezione da parte della Sanità e forze pubbliche. Cosa vuole di più, “Commento firmato”.

        (Maria)

        • Firma - Maria
        • Forse non era chiaro il senso del mio commento. Allora, chiarisco. È del tutto inutile chiedere qualunque cosa agli amministratori locali, perché non hanno spazio di manovra. Possono solo scegliere dove tagliare, oppure aumentare le tasse locali. Lo Stato taglia i trasferimenti agli enti locali, perché siamo in regime di austerità. Perché siamo in regime di austerità? Chiedere alla Commissione europea. Lo Stato ha rinunciato, firmando i trattati europei, ad utilizzare gli strumenti di politica economica (il cambio, i tassi di interesse, la politica monetaria), delegando tutto alla Banca Centrale Europea. Rimane solo la politica fiscale (cioè quante tasse imporre). Ed infatti è proprio quest’ultima che viene utilizzata (vedi le scelte di Monti nel 2011). Austerità vuol dire tagli alla sanità, all’istruzione, alla sicurezza, alla previdenza. Vuol dire che il peso principale degli squilibri economici tra gli Stati europei lo sostengono i lavoratori dipendenti, cioè la maggioranza dei cittadini. Quando i governi fanno scelte che impoveriscono la maggioranza dei cittadini, questi ultimi, quando se ne rendono conto, si arrabbiano. Vogliamo dirlo in altre parole? “Quando il popolo si impoverisce, diventa populista”.

          (Commento firmato)

          • Firma - commento firmato
    • Lo Stato non deve tutelare gli imprenditori, ma i cittadini: dunque gli imprenditori vanno tutelati come cittadini, altrimenti lo Stato sarebbe una macchina al servizio di una parte. D’altra parte, è noto che chi sceglie di fare l’imprenditore deve assumersi le responsabilità conseguenti: esiste, mi pare, una cosa chiamata “concorrenza”, in breve «mors tua: vita mea». Giustificare e autorizzare interventi dello Stato in economia poi non è così semplice come può sembrare, in quanto richiede un confronto con le teorie e le pratiche liberiste e mi pare che normalmente questo neanche si intraveda (eppure basterebbe ricordarsi, per trovare uno spunto di inizio, che la Costituzione stabilisce l’obbligo per lo Stato di garantire a tutti i cittadini una vita libera e dignitosa e la vita del barbone, mi pare, non è dignitosa). Infine, tengo a ricordare che lo Stato necessita, per funzionare, di tasse: ovviamente, non per “bisogni immaginari”, come ebbe a dire un grande.

      (Un cittadino non imprenditore)

      • Firma - Un cittadino non imprenditore
      • Fermo restando che anche gli imprenditori sono cittadini e che, quasi tutti, ogni giorno si prendono le proprie responsabilità a partire da quella di trovarsi il lavoro e di farsi pagare, cosa non sempre scontata, non vedo la differenza tra essere tutelati come imprenditori o come cittadini. Qui non si parla di Agnelli o Berlusconi, si parla di artigiani e piccole imprese che allo Stato hanno dato molto e ricevuto poco, in cambio hanno dato da lavorare e creato indotti di cui il territorio ha risentito come beneficio. Certamente, oggi come oggi, coi rischi che si corrono, è più probabile che sia un imprenditore a ritrovarsi a fare il barbone che non un dipendente e proprio qui potremmo trovare grandi differenze di tutele. Chi aiuta una piccola impresa in difficoltà? Per come ha trattato l’argomento, di immaginario c’è il modo in cui lei vede gli imprenditori.

        (Antonio Manini)

        • Firma - Antonio Manini
        • Lo Stato deve garantire una legalità in cui tutti, a prescindere dalla professione che svolgono (non tutti sono imprenditori), devono riconoscersi; ciò come controparte richiede che l’uomo, in quanto cittadino, pensi e agisca in funzione della collettività. Per rendere meglio quest’ultimo concetto vorrei citare Marco Aurelio: «Se l’alveare sta bene, anche l’ape sta bene»: è l’esatto opposto di quello che noi da cittadini facciamo (se sto bene io, stanno bene tutti). Quando un uomo sta invece agendo da imprenditore sta agendo da privato cittadino: infatti agisce nella sfera economica che coincide con quella privata. Agendo da privato, ovviamente ha in mente il suo personale e legittimo interesse. Ben inteso: il fatto che da cittadino debba far prevalere l’interesse collettivo non significa, appunto, che il suo interesse non sia legittimo; esso deve tenersi entro certi limiti, ovvero questo interesse, gli egoismi non devono prevalere sui valori comuni. Quando si parla di politica, dunque bisogna o bisognerebbe avere a mente la collettività ed esprimere i propri legittimi interessi facendo sempre prevalere l’interesse collettivo. Fatte queste precisazioni, io proprio non capisco perché lo Stato dovrebbe aiutare gli imprenditori. Perché? In virtù di cosa? Lo Stato non deve intervenire nella sfera privata, quindi nella sfera economica: nel momento in cui garantisce i diritti elementari (una vita libera e dignitosa), non deve fare altro per il cittadino, se non difenderlo nella vita e nei beni da qualsiasi offesa (in soldoni far funzionare la giustizia). Se una impresa fallisce, semplicemente chiuderà e il signor imprenditore, che dovrebbe essere garantito in una vita libera e dignitosa, ma non oltre, si troverà un’altra occupazione. Infine, signor Manini, le vorrei ricordare che abbassare il costo del lavoro, di cui lamenta l’aumento a dismisura, significa togliere agli operai i loro necessari diritti quando non si giunge addirittura all’abbassamento del salario. Detto questo, la parte dell’operaio chi la fa? Chi è disposto ad incamerare meno soldi e ad avere meno diritti?

          (Cittadino non imprenditore)

          • Firma - Cittadino non imprenditore
          • Come dice “Cittadino non imprenditore”, la parte dell’operaio, chi la fa? In effetti, le due parti sono legate tra loro. L’imprenditore produce per vendere ed avere il suo (legittimo) guadagno. Il problema è: a chi vende, se nessuno compra, perché non ha più soldi in tasca? L’unico modo per aumentare la competitività rimanendo dentro l’eurozona e i trattati europei, è tagliare i salari. Tutte le altre possibilità sono esplicitamente vietate. In questo modo c’è una qualche probabilità di aumentare le esportazioni. Ma, purtroppissimo, quando i salari sono bassi, la gente non compra, quindi le imprese che producono per il mercato italiano devono chiudere. Le imprese che chiudono non riescono a restituire i prestiti, quindi le banche vanno in sofferenza. Non concordo sul fatto che lo Stato non deve intervenire nella sfera economica; la dignità del cittadino si basa sulla possibilità di avere una retribuzione dignitosa. Tutto il resto sono chiacchiere. Di questo, appunto, parla la Costituzione.

            (Commento firmato)

            • Firma - commento firmato
      • Per essere più precisi, la Costituzione, all’art. 36, parla di retribuzione: «Art. 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.» Il problema è che i trattati europei mettono al primo posto la stabilità dei prezzi (un’inflazione bassa e costante), subordinando a questo obbiettivo il livello dei salari e la percentuale di disoccupazione. Bassi salari favoriscono bassa inflazione. Per abbassare i salari ci vuole un’alta disoccupazione (quando il lavoratore è alle strette, ha meno pretese). Mi pare evidente, a questo punto, come il dettato costituzionale sia irrealizzabile, data l’attuale struttura economica dell’eurozona. Dunque, la situazione è questa: i trattati europei sono incompatibili con la nostra Costituzione. E i risultati sono sotto i nostri occhi.

        (Commento firmato)

        • Firma - commentofirmato
        • Nel ringraziarla per le precisazioni e sul testo costituzionale e sull’attuale pratica economico-politica le preciso solo alcuni aspetti dei miei commenti. Ho glissato sulla necessarietà dei diritti elementari o sociali, ossia sulla necessità di politiche di welfare, per due motivi: 1) perché a differenza di molti attuali neoliberali, credo che nel liberalismo sia possibile giustificare non solo la convenienza ma la necessità del welfare (basterebbe ad esempio tornare a leggersi Montesquieu); 2) perché credo che gli imprenditori chiedano ben più di una vita libera e dignitosa. Per vita libera e dignitosa si intende essere garantiti nei diritti elementari: mangiare, vestirsi, alloggio, sanità e istruzione di base. Ma non oltre. L’imprenditore che rischia il fallimento non vuole solo questo, vuole essenzialmente mantenere il suo alto tenore di vita (tre macchine, villetta, piscina, etc.): è mosso dall’egoismo nelle sue pretese. Se così non fosse, la polemica non verterebbe su “aiutiamo le imprese” (cosa fra l’altro da evitare, visto che lo Stato non può intervenire nella sfera privata), ma appunto sulla necessarietà dei diritti elementari. E invece no, pretendono aiuti in quanto imprenditori, vogliono aiuti alle imprese; ma ciò è ben oltre una vita libera e dignitosa e cozza contro il principio del non intervento statale. In altre parole, dare aiuti alle imprese significa aiutare qualcuno a mantenere uno stile di vita ben più in alto della vita libera e dignitosa: ma questo significa asservire lo Stato agli egoismi di una parte. Garantire una vita libera e dignitosa significa che l’imprenditore fallito chiuderà la sua azienda e, mantenendo i diritti elementari (ossia potrà continuare a mangiare, vestirsi il necessario, alloggiare non sotto a un portico e avere una sanità pubblica), si cercherà un altro impiego. La garanzia dei diritti sociali non deve diventare un invito al “marcirsi nello ozio”. Ma non deve nemmeno essere finalizzata alla bella vita di alcuni e una impresa garantisce notevoli redditi.

          (Cittadino non imprenditore)

          • Firma - Cittadino non imprenditore
        • Quando si parla di imprenditoria intendo la piccola impresa, quella del territorio che nessuno ha mai aiutato. Quando intendo ridurre il costo del lavoro non lo intendo come riduzione di stipendio o di diritti, ma di contributi allo Stato. Poi la Costituzione va utilizzata sempre come esempio e non solo per i diritti o quando fa comodo. Se la Repubblica italiana è fondata sul lavoro, da dove lo prendiamo il lavoro? Aiuto alle imprese non significa aiuto agli imprenditori, significa mantenere un valore inteso come lavoro sul territorio e collaborazione per riuscire a farlo. Per aiuto alle imprese non intendo fare come si è fatto sinora, senza pretendere nulla in cambio e nemmeno aiutare le grandi cooperative per poi ottenere i risultati che vediamo. Io vorrei che tutti potessimo stare bene e che venissero superate certe ideologie che si rifanno alla lotta di classe, il mondo è cambiato da un po’ ed i ruoli non sono più così distanti come lo erano un tempo. Se le imprese chiudono quale soluzione troviamo per tutto l’alveare? Se l’operaio non ha lavoro come può sopravvivere l’alveare? Chiediamoci come mai non solo le imprese ma anche i nostri giovani vanno all’estero per poter lavorare. Per concludere, sono 38 anni che faccio impresa e non sono diventato ricco e non era questo il mio scopo, volevo poter lavorare nel mio territorio e bene o male ho fatto lavorare anche altri, in compenso non ho ricevuto nessun aiuto, impedimenti e complicazioni invece ne ho avute a volontà. Se leggete con attenzione il mio primo commento, io parlo di burocrazia e di tutti quegli enti, uffici, controllori, certificatori, che vivono addosso alle imprese ma chi non ha mai fatto impresa non può sapere di cosa parlo.

          (Antonio Manini)

          • Firma - Antonio Manini
          • Comprendo il suo stato d’animo. Ho fatto il libero professionista e ho fatto esperienza di lacci e laccioli. Se ha fatto l’imprenditore, però, saprà che si produce per vendere, e per vendere ci vuole chi compra. Il progetto dell’eurozona è basato sulla concorrenza attraverso la riduzione dei salari; questo significa, prima o poi, “fare le riforme”, distruggendo, però, il mercato interno, e fare profitti solo esportando, sulla pelle dei dipendenti. Con tutti i lacci e laccioli che ha citato l’Italia era (sottolineo era) diventata la quinta potenza economica del mondo. Il problema, oggi, non è produrre di più con meno burocrazia, è che la gente non ha più i soldi per comprare i prodotti, a meno che non provengano dalla Cina, dove, appunto, i salari sono più bassi dei nostri.

            (Commento firmato)

            • Firma - commentofirmato
  3. Bah, sempre le solite parole. A parte che l’art 36 è stato scritto solo per i dipendenti (provate a chiedere a un contadino, o come si chiama adesso… imprenditore agricolo, se fa il riposo settimanale e le ferie retribuite). Lo Stato è l’unico datore di lavoro che continua ad assumere. Come?, aumentando la burocrazia. Più carta da spostare più lavoro: ma in Italia chi ci rimane a creare ricchezza?

    (Davide)

    • Firma - davide
  4. Le piccole imprese non chiedono soldi, favori o sconti, chiedono allo Stato provvedimenti e leggi logiche attinenti alla realtà, chiedono di non dovere avere costi generali esorbitanti solo per produrre carta senza alcun senso e senza alcun beneficio per alcuno. Infine chiedono di potere investire queste inutili spese in lavoro , reddito da ridistribuire sul territorio. I tratti imprenditoriali citati fanno ormai parte del medio evo. Oggi si sopravvive grazie al gruppo, al lavoro di squadra. Una impresa seria sa benissimo che nel proprio personale e nei propri collaboratori, nelle loro qualità nelle loro competenza, risiede il valore aggiunto più importante e determinante.

    (Um)

    • Firma - Um