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Un futuro per l’Enza

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Prendiamo atto che attraverso una procedura inusitata e antidemocratica, che abbiamo fortemente avversato al suo avvio, perché ristretta ai soli portatori di interessi economici diretti, è giunto al suo prevedibile esito il lavoro impostato da Regione E-R e assortiti interlocutori della sponda parmense e reggiana, pomposamente denominato Tavolo Tecnico Enza.
È indicativo della confusione attorno al tema che tale notizia sia stata affidata alla stampa attraverso comunicati di imbarazzante parzialità, e contraddittori tra loro dalla Provincia di Reggio e dalle organizzazioni agricole, a proposito di un bene fondamentale per la totalità dei cittadini, come l’acqua.
Ci pare grave avere rifiutato il contributo fondamentale del pensiero ecologista, culturalmente avverso alla riduzione di complessità e naturalmente orientato ad allargare le prospettive di valutazione. Come non ricordare che già nella prima riunione del 31 Ottobre 2017 si è precisato come il gruppo di lavoro mirasse a “un progetto territoriale complessivo anche per motivare adeguatamente una possibile compromissione di obiettivi ambientali e sostenere eventualmente una richiesta di deroga agli stessi”.
Esprimiamo dissenso e preoccupazione perchè ci sembra che siano state prese decisioni con un approccio parziale sotto la pressione di una categoria, gli agricoltori, non considerando ad esempio che, con la scusa dell'unicità del Parmigiano Reggiano si rischia di mettere in crisi gli approvvigionamenti idrici di quercioli, che dall'acqua dell'enza dipende.
Con una generosa scelta al cadere dell’Ottocento Ulderico Levi assicurava a Reggio un efficace prelievo idrico dai campi montecchiesi, ricalcando la traccia medievale del canale d’Enza che per secoli aveva garantito rilevanti risorse al comparto produttivo alimentare e protoindustriale.
La flessibilità di quella strategia stride con le strepitanti rivendicazioni unilaterali di parte del mondo agricolo, titolare di spropositate quote dei consumi idrici, persuasi del diritto di riscuotere frutti privati da un bene pubblico. Manca però una opportuna riflessione attorno al passaggio tra radicamento millenario e proiezione nella globalità, che sta velocemente trasformando il mondo produttivo del Parmigiano Reggiano: mentre se ne proclama la tipicità territoriale ristretta, lo si incanala in strategie commerciali dilatate su scala mondiale.
Stupisce l’incongruità dei dati finanziari eccelsi rispetto alla litania intorno all’imminente tracollo dell’intera filiera, sbugiardando la teoria ottusa di una connessione tra accumuli liquidi e il portafoglio dei produttori.

Che l’invocato sbarramento risponda ad esigenze monopolistiche, si deduce dalla assenza di soggetti interessati ad insediamenti per la produzione idroelettrica, anzi si riscontra piuttosto la dismissione da parte dell’ENEL di tutti gli esistenti bacini montani, a partire da quello al valico del Lagastrello e della sottostante centrale di Romagna.

Nel chiedere con insistenza al presidente Manghi di aprire un confronto vero e ampio sul tema acqua auspichiamo che l’affidamento dello studio di approfondimento all’Autorità di bacino del Po non si riduca ad una semplice giustificazione di imput politici sotto la pressione di interessi di parte. Chiediamo quindi che il detto studio segua percorsi di trasparenza e coinvolgimento da subito anche delle associazioni ambientaliste fino ad ora escluse da qualsiasi tavolo di confronto.

(Coordinamento ambientalista NO diga di Vetto)