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I racconti dell’Elda 9 / “C’era una volta il Natale”

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Una volta per noi bambini il Natale era la messa di mezzanotte e il presepe in chiesa. Ecco una volta mi avevano portato a vederlo quello della Pieve, ero molto piccola, perché mia sorella mi aveva messo in ginocchio sulla balaustra dell’altare dell’Immacolata e mi teneva ben stretta. Avevano messo dei drappi rossi, per nascondere le pareti e il presepe era molto scuro, il paesaggio tutto ricoperto di muschio le statue grandi immobili la grotta illuminata da una sola lampadina, non c’erano altre luci e in più la Pieve è sempre stata una chiesa molto fredda e buia. Guardavo quel presepe e mi scendevano dei lacrimoni che si univano al moccolo del naso e sentivo come un buco nello stomaco non so se era il presepe a farmi quell’effetto o la posizione scomoda.

Dopo la guerra poi anche alla Pieve avevano fatto un presepe bello. Lo avevano costruito i ragazzi che frequentavano la parrocchia, allora come a scuola i maschi erano divisi dalle femmine, i primi andavano alla Pieve e le altre dalle suore. Io però li conoscevo tutti, perché erano amici dei miei fratelli ed erano molto più grandi di me. C’era Giuseppe detto “Merigiòt”, Alberto “Rigadìn”, Domenico “Dingo”, Gian Piero “l’Arbitre”, Giorgio “Giurgiun d’Réco”, Antonio “l’Avucàt”, Giovanni “Frascarùn”, poi i Micheli, Giacomo “Giacomino” e qualcun altro che mi sarà sfuggito, erano tutti della Sarzassa o Bagnolo, noi legavamo più con questa parte del paese. Era quel periodo che alla Pieve oltre all’Arciprete c’era don Oreste Cilloni “al Predicatur” sempre impeccabile coi suoi occhi di ghiaccio e il cappellano don Pietro Ovi detto “dun Svulàss” che girava in Vespa veloce con la tonaca svolazzante. Tutte persone che adesso  all’infuori di Giacomino staranno facendo un presepe lassù in alto sulla volta del cielo festeggiando l’arrivo di Vittorio.

Torniamo al presepe della Pieve, avevano lavorato molto mettendo in bagno i giornali ricavando la cartapesta che avevano modellato e dipinto con pazienza, la Pietra era perfetta, il castello di Erode tutto illuminato come la capanna, ma poi che rendeva il movimento era un ruscello che scendeva dalle montagne con cascatelle e l’acqua era vera e luci dappertutto. Certamente ero più grande e forse per questo non mi aveva fatto malinconia.

A casa nostra questa festa cominciava presto, appena dopo l’Immacolata. Non si aspettava troppo per paura che cadesse la neve col suo manto bianco, perché questo avrebbe ricoperto tutto il necessario per fare il presepe.

Noi cinque bambini con tanto di cesto attaccato al braccio cominciavamo a girare nel sottobosco attorno alla Pietra e raccoglievamo un bel po’ di muschio fresco tenero, di svariate tonalità di colore e di lunghezze, poi i sempreverdi che crescevano sotto i noccioli e sembravano palme in miniatura. I fratelli più grandi cercavano un sasso grande che avesse una scavatura a mo di grotta, sopra però doveva essere piatto e liscio, doveva assomigliare il più possibile alla nostra Pietra, per noi che abitavamo lì sotto era molto importante che fosse così. Poi raccoglievamo anche grosse radici e sassolini per fare i sentieri.

La settimana prima di Natale poi preparavamo il nostro presepe su un vecchio tavolo accostato al muro. Dentro lo scavo del sasso ci doveva stare la Sacra Famiglia più il bue e l’asinello, con un piatto di alluminio pieno d’acqua facevamo un laghetto e coprivamo tutto col muschio, i sassi no, dovevano vedersi come alla Pietra, poi nella pianura le casette fatte con mezze scatole da scarpe dove erano state ritagliate finestrine e portoncini e li ci piantavamo i sempreverdi. Ecco il paesaggio era pronto, ma mancavano le statuine allora le facevamo noi di cartone (usavamo i ritagli che restavano al papà quando imbottiva le casse funebri). Il più grande era bravissimo a disegnarle, poi gli altri le ritagliavano e le coloravano, la mamma ogni tanto ci richiamava: “non consumate tutti i pastelli che poi vi servono a scuola”. Poi mia sorella faceva anche un alberello di Natale che aveva visto da qualche amica, un piccolo ginepro tagliato nelle rive sotto casa piantato in un secchio pieno di terra e attaccava ai rametti pochi mandarini, due o tre gianduiotti vinti dal papà a giocare a tresette dalla “Marièta ed Tarquinio” qualche biscotto col buco fatti dalla mamma  e una manciatina di caramelline rotonde colorate che poi con l’umidità che c’era in quella casa si scioglievano e quando era ora di mangiarle era più carta che masticavamo che caramella.

La sera di Natale accendevamo due candele davanti alla grotta e con la mamma recitavamo il rosario, il papà quando c’era da pregare aveva sempre da fare. Quella sera però era arrivato prima del solito col tabarro nero girato sopra una spalla e gli occhi celesti che ridevano sotto l’ala del cappello. Noi bambini adoravamo il papà e subito andavamo da lui e lui da sotto al mantello tirava fuori un sacchettino alla volta e ne dava uno per uno dicendo col suo fare burlone: “Fate piano ad aprirli, attenti ci può essere qualcosa che può scappare”. Noi sapevamo che scherzava, ma cominciavamo a spiegare adagio i sacchettini e una alla volta saltavano fuori le statuine del presepe, il bue, l’asino, San Giuseppe la Madonna, io che ero la più piccola stringevo in mano Gesù Bambino, piccolino tutto rosa con gli occhi azzurri sdraiato su un mucchietto di paglia gialla quasi arancione e ricoperto solo da un piccolo velo sulla pancia.

Ecco questo io non riuscivo a capirlo allora e forse non l’ho accettato mai, col freddo che faceva il venticinque dicembre era mai possibile che la Madonna buona e intelligente com’era non si fosse portata dietro due fasce due pezze e una copertina da coprire il Suo Bambino?

Mah!! Questi artisti che ci hanno fatto conoscere la Natività in questo modo capivano poco, lasciatevelo dire da una vecchia che di bimbi appena nati ne ha visti più di uno, Io il Bambino Gesù del mio presepe l’ho vestito.

(Elda Zannini)

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