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SocialMonti/ Dall’Appennino al Kerala: viaggio nei colori del mondo

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Questa rubrica vuole essere un luogo di spunti per stimolare una riflessione corale e collettiva su temi di attualità. L’idea è quella di partire dal nostro territorio verso cerchi più ampi, o vice versa ascoltare gli echi lontani e portarceli vicini.

(Ameya Canovi *)

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Scrivo mentre mi appresto a lasciare il Kerala, una regione nel sud dell’India, dove sono stata per un mese, parte del soggiorno da sola. Questa è la mia terza volta. La prima è stata una piacevole sorpresa, la seconda un regalo inaspettato, e stavolta una scelta consapevole. Lavorare via web permette di interfacciarmi ovunque ci sia una connessione internet, pertanto posso prolungare un viaggio continuando a lavorare.

Quello che mi attrae in questa parte del mondo è la possibilità di esplorare una cultura nuova, poter ammirare l’oceano e praticare la medicina ayurvedica, motivo principale che mi ha portato (e riportato) qui. Trovo questo mix affascinante per un viaggio, unito all'opportunità di ritrovare benessere per il mio persistente mal di schiena.

L'ayurveda

Il sud dell’India è la patria della medicina ayurvedica che cura col cibo e erbe medicamentose. La salute e il benessere si respirano in questa semplicità che sa di oli profumati e tisane alle erbe curative. Il processo si chiama panchakarma, una combinazione di massaggi, specifici rimedi e piatti depurativi. Il risultato è uno stato di benessere completo, impagabile e rigenerante.

Nei pressi di Trivandrum, la capitale di questa regione, abbondano istituti e resort dove si mangia ayurvedico, si fa meditazione e yoga. In una cornice tropicale immersa nell'oceano. I massaggi vari durano fino a tre ore al giorno e avvengono su un tavolo di legno forato che permette all'olio di sesamo caldo di defluire. Lo shirodara, per esempio, consiste nello sgocciolare olio sulla fronte per mezzora producendo un effetto di rilassamento profondo.

Per il massaggio si usano mani e piedi, spesso sono in due a versare olio e polveri, che vengono sfregate sul corpo da due persone contemporaneamente con un tampone caldo in modo sincronizzato. Alla fine del massaggio ti segnano la fronte come vezzo e come benedizione con una polvere profumata. Durante tutto il soggiorno sei seguito da medici amorevoli e competenti che fanno un piano di recupero della salute studiato per te. Quello che più ti senti ripetere è: ‘ti piace questo? Altrimenti troviamo qualcos'altro.’ Non solo i chili in più se ne vanno senza fatica, ma i dolori si attenuano, elimini tonnellate di tossine e ti senti rinascere.

Lo stile di vita

I keralesi sono principalmente pescatori, ma sono anche cultori di sapori e colori, vivono tessendo, commerciando stoffe e spezie. La miseria (e lo sfarzo) di Calcutta o Bombay qui sembrano lontani: tutti hanno una piccola casa, un modesto lavoro, da mangiare e tanta dignità. Parlano la lingua locale, il Malayalam, percepita velocissima da noi, scritta piena di ghirigori, come ricami.

L’India mi ricorda una grande madre, accogliente, non giudicante, che ti ama nonostante. La sua configurazione geografica richiama un utero con le braccia aperte. In questa parte di mondo mi sono sentita subito a casa, inclusa e accolta. C'è un rumore costante che ti assale, una sinfonia creata dai clacson incessanti, i suoni della natura, le musiche dei festival hindu. La colonna sonora che percepisci è bizzarra, ma dopo un po’ ti ci abitui, come al caos per le strade piene di buche, catapecchie sconclusionate accanto a case rifinite. Tutto questo dapprima crea  desolazione, poi ti mescoli con l’assurdità che ti avvolge, e finisce per sembrarti normale. Ti abitui all'incoerenza degli opposti che convivono, efficienza e disorganizzazione, e senti che ci puoi stare anche tu in quel caos lì. Infine ti sembra persino normale vedere una famiglia di due adulti e tre bambini piccolissimi andare disinvolti in scooter tutti insieme, rigorosamente senza casco, sotto lo sguardo impassibile della polizia.

Alcuni paesi si lasciano guardare come da un vetro, li visiti da fuori percependo una bolla, senza mai dimenticare che sei forestiero. L’India no. Per assurdo ti fa posto con naturalezza, ne diventi parte e vieni accettato come sei. E tutti ti dicono ‘come back soon’, torna presto, anche perché tralasciando l'immagine romantica, l'occidentale è visto come portatore di denaro, e i sorrisi vengono elargiti con generosità.

Il minimalismo dell'India ha tanto da insegnarci. Fanno tutto con le mani, e pochissimi utensili. Si può vivere con due vestiti e un paio di ciabatte, presto ti viene voglia di avvolgerti nei loro colori, compri vestiti sapendo che a casa non li porterai, ma non puoi farne a meno. Nel Kerala relativamente poche persone chiedono elemosine, poca delinquenza, quasi nessuno ruba. Al massimo ti chiedono dieci volte il costo reale della merce, per noi è una cifra irrisoria ugualmente, per cui noi abbiamo smesso di contrattare subito.
Gli alcolici sono venduti in appositi negozi, sono molto cari e gli alcolisti sono, confronto all'occidente, pochi, così come i fumatori. La priorità è il lavoro, cooperare e collaborare fa parte della loro politica comunista/socialista. Le donne in questo stato sono ‘emancipate’ girano da sole in scooter o per andare al mercato prendono da sole il risciò, qui chiamato tuc tuc, un ape car adibito a taxi. Le donne camminano dritte e fiere, e rispetto al resto dell'India sono più rispettate, forse perché in questo stato seguivano il matrilineo delle regine, mi diceva una storica europea che ho incontrato là.

In India il concetto di "subito" non esiste. I tempi sono due: c'è un infinito adesso, oppure later, dopo. Ti chiedono la stessa cosa in cinque minuti perché sanno che la vita scorre e puoi aver cambiato idea. Così una regola vale sì, però può cambiare in un attimo.

Un particolare bizzarro: gli indiani fanno il bagno in mare vestiti. Non sanno nuotare e l'oceano ha correnti e maree fortissime, per cui stanno a riva a farsi colpire dalle onde e si tengono per mano urlando per l'emozione, il mare porta via parti del loro vestiario e restituisce ammassi di stoffe colorate. 

In un inglese basico, qualcuno mi spiegava che spesso non hanno l'acqua calda in casa ma si lavano con un secchio e un pentolino, che ai bambini mettono due cavigliere e segnano le sopracciglia col kajal, solo per bellezza. Alcune donne sono separate perché i mariti se ne sono andati e non sono più tornati a trovare i figli. Per chi ha un lavoro è normale lavorare 7 giorni su 7 in alta stagione (8 mesi all'anno), 14 ore al giorno. Per uno stipendio pari a 600 euro, se va bene.

 

La religione

Il Kerala è una regione pacifica, dove convivono hindu, musulmani e cristiani. God is one, Dio è uno,  ti dicono. Le città pullulano di templi e visitarli è un’esperienza intensa. Tutti vanno volentieri al tempio a ricevere la benedizione, a offrire fiori e incenso, o qualche moneta. Si comprano cocchi da lanciare e spaccare in una vasca affinché si avveri la preghiera. Siamo stati in templi non visitati da turisti ed è stata un’esperienza toccante e molto interessante culturalmente. Per un indiano la religione è imprescindibile, l'importante è credere e se dici che sei ateo si straniscono: per loro non essere religiosi è impensabile. Una volta stati al tempio ricevi un pacchettino fatto con una foglia di banana, dentro un fiore di gelsomino e altri petali, un intruglio profumato di latte, incenso, polvere rossa e nera, con cui ti fai un segno in fronte e tutti vedendoti per strada capiscono che sei appena stato e ti dicono soddisfatti ‘temple, temple’. Per un indiano chiudere gli occhi, stare in silenzio e pregare è la cosa più naturale del mondo. I commercianti quando ricevono soldi li baciano, li sfregano sul viso e sul petto in segno di ringraziamento. Anche quando gli fai un regalo o gli dai una mancia, che si aspettano sempre.

Il cibo
La cucina del Kerala è semplice ma ricca di spezie. È a base di riso, lenticchie, banane, cocco. La frutta tropicale abbonda: papaya, ananas, mango. Mangiano con le mani e il piatto tipico, il Tali (in gergo Sadya), è servito su foglie di banane. Consiste di piccole quantità di intingoli speziati da mischiare col riso. Pescano con le reti, e cuociono il pesce avvolto in foglie di banane. Nonostante l’essenzialità, riescono a comporre vere sinfonie di sapori, spaziando dall'aspro, all'amaro, al dolce, al pungente. La popolazione è soprattutto vegetariana, raramente mangiano pollo, al massimo una volta la settimana. Il pesce è un lusso ed è consumato dalle famiglie più benestanti.  

Il mio momento preferito del giorno era quando le massaggiatrici mi offrivano di nascosto il loro tè, il Chai, nel loro dialetto Ciaia. Lo bevono in bicchieri di acciaio che lo mantiene bollente. E' una miscela di tè nero (c'è una versione anche speziata Masala Chai) latte e zucchero fatto bollire a lungo, qualcuno ci aggiunge qualche seme di cardamomo, una spezia profumata che mettono ovunque. Bevendo il Ciaia, ascoltavo i loro racconti di vita vissuta e chiedevo le ricette semplici a base di Ghi, il burro chiarificato, come fare il Chapati, le loro piadine, o i Dosa, schiacciate di riso e lenticchie fermentati.

Trivandrum, la capitale del Kerala

Appena arrivo in un paese straniero cerco di visitare il mercato locale. Lì c’è la vita vera, il cuore pulsante della città, la gente del posto insomma. Perciò non poteva mancare la visita col taxi a Chalai Market, a Trivandrum la città principale del Kerala, schivando le centinaia di risciò sfreccianti ovunque. Tutti guidano in mezzo alla strada per poi suonare il clacson e spostarsi solo all'ultimo, perciò scendere e attraversare è un’impresa, nel frastuono assordante i semafori sono un optional. Il mercato sprofonda nella pancia della città, botteghe umili, essenziali espongono la merce semplice, ordinata con rispetto, verdura soprattutto, frutta, qualche negozio di camicie occidentali e casalinghi in ottone. Piccole gioiellerie con monili in oro e argento, i clienti sono soprattutto musulmani. Quasi tutte le donne indiane qui indossano orecchini d’oro rosso. Un’esplosione di colori accoglie a ogni angolo, tra cui botteghe con collane di fiori gialli e rossi che sono le offerte votive da portare al tempio. Per fortuna siamo solo noi stranieri e nessuno insiste per venderci nulla. Scatto foto chiedendo il permesso, mi guardano sereni come se non sapessero cosa sia un cellulare. Ci ubriachiamo di colori, rumori e profumi, dentro alle viscere di Trivandrum.

Pothys e Jaya Laksmi sono due grandi magazzini da non perdere, zeppi di stoffe colorate, sari e churidar, i loro vestiti femminili tipici. Gli uomini vestono il longhi, un pezzo di stoffa arrotolato ai fianchi, con una camicia a scacchi. Mentre le donne sono morbide e molto femminili, i ragazzi giovani sono snelli e hanno spalle scolpite. Le donne sposate hanno un segno rosso in fronte, gli uomini hanno quasi tutti i baffi.  

 

 

 

 

 

 

 

La famiglia

Per i keralesi la famiglia è tutto. Il capofamiglia comanda e decide. Mi hanno spiegato che in genere è la famiglia della sposa a pagare una dote a quella del marito. I fratelli, i cognati, si indebitano pur di garantire un 'buon marito' alla ragazza. Le donne gravide possono fare l'ecografia, ma è proibito ai medici comunicare il sesso del nascituro. Questo perché in molti, una volta saputo il sesso, decidevano di abortire se era una bambina. C'è rispetto per l'età delle persone, le donne tra di loro si chiamano Ceci, zia, se hanno meno anni, chi è più giovane viene chiamata "piccolina" (termine che non ho capito come si scrive, impronunciabile per me). Lo stesso gli uomini, chiamano i più anziani An'am. In questa estrema semplicità non mancano affetto e calore, le donne soprattutto incarnano un femminile caldo, profondo, accogliente.

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Mi sento intensamente legata a queste esperienze ripetute, e sono grata alle persone del posto che ho conosciuto. Non me ne vogliano gli italiani rumorosi e ridanciani che erano lì a fare "gruppo vacanza", totalmente ignari del contesto, e che ho rigorosamente evitato. Se faccio un viaggio così lontano preferisco immergermi il più possibile nella cultura locale, e prediligo la compagnia dei nativi, che adoravo ascoltare e da cui avevo tanto da imparare.

Ho potuto restare un mese immersa in questa realtà grazie al mio lavoro che posso svolgere via web da tutto il mondo. Ho sempre lavorato ogni giorno qualche ora, lì la sera non c'è nulla da fare, mentre in Italia era pomeriggio. Un grazie infinito ai miei pazienti on line che mi hanno accompagnato anche in questo viaggio, sorridendomi nel monitor nonostante avessi i capelli intrisi di olio ayurvedico che non va via del tutto nemmeno dopo settimane.

Namastè e nandì India, a rivederci presto.

*Ameya Gabriella Canovi è PhD, docente e psicologa, si occupa di relazioni e dipendenze affettive. Da poco ha terminato un dottorato di ricerca in ambito della psicologia dell’educazione studiando le emozioni in classe. Ha un sito e una pagina Facebook “Di troppo amore”.

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