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In ricordo di Padre Paolo Costantini: due sacerdoti in odore di santità ne furono la guida. Anche da Nismozza

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Nella foto: seminaristi liceali di Reggio in «camminata» a Cavazzoli a casa di Italo Iotti (in prima fila, quinto da destra, accanto al papà) in partenza per il noviziato dei Padri Bianchi; stessa fila, terzo da destra è Paolo Costantini, che lo seguirà due anni dopo. Nel riquadro: un’immagine recente di padre Paolo Costantini.

Padre Paolo Costantini – il missionario dei Padri Bianchi deceduto il 12 aprile scorso – nasce a Castellarano in piena seconda guerra mondiale e il papà è lontano, soldato. Lo battezza il curato di Castellarano, don Sperindio Bolognesi. Ma il parroco – quel don Giuseppe Reverberi morto in concetto di santità – compie per la mamma, Carmen Medici Costantini, un gesto di affetto tanto più caldo sapendo che il papà del bimbo è lontano, in guerra: le porta due bottiglie di buon vino, in chiesa, appena terminato il battesimo; un dono allora solito per le puerpere perché si rimettessero in forze.

Però, di punto in bianco, le dice, così: “Prega tanto perché tuo figlio diventerà un missionario”. Don Sperindio segue da vicino il bimbo che, nei suoi primi mesi di vita, ha problemi di salute e lo aiuta a fare la conoscenza del papà che, ritornato a casa dal servizio militare, è per lui uno sconosciuto. Paolo è un bimbo che gli sta molto a cuore. Ricordava ancora la signora Carmen come, ammalatosi il bimbo, don Sperindio se ne preoccupasse con saggi consigli e con una benedizione.

Poi don Sperindio viene trasferito a Nismozza, ma il rapporto con la famiglia Costantini si interrompe soltanto quando don Sperindio, il 25 ottobre 1944, incappa in quella bomba partigiana che lo uccide per dissanguamento, offrendo la sua vita per la parrocchia che, moribondo, benedice dall’alto con le sue ultime forze. Don Sperindio, insieme a don Giuseppe Reverberi, rimane così una presenza discreta, ma significativa nella famiglia Costantini.

Il 24 ottobre 2004 la signora Carmen vorrà essere presente a Nismozza quando la parrocchia ricorderà il suo giovane generoso parroco. L’entrata in seminario è per Paolo la logica scelta di un’educazione familiare profondamente centrata sulla fede in Gesù, ma una scelta nella quale la mamma non poteva non vedere le presenze di santità dei due preti. Chi gli è stato compagno di camerata o di classe ricorda la sua affabile tranquillità e l’impegno nello studio: non secchione e men che meno arrivista, ma comportamento normale di chi sa, nel “capitalizzare” il sapere della scuola, di compiere un dovere che orienterà il suo domani.

Molto forte è il legame tra la sua famiglia e il seminario, soprattutto attraverso don Giulio Giglioli, animatore vocazionale ed efficace raccoglitore di offerte per i seminaristi. Il papà, falegname, non mancherà di fare tanti lavori per il seminario. È soprattutto negli anni del liceo che Paolo lascia segni della chiamata alle missioni, aiutato peraltro da un clima che, nel seminario di Reggio, già dagli anni ‘30, soprattutto dal vicerettorato di don Sergio Pignedoli, vede nella missione ad gentes la forma più compiuta della vocazione sacerdotale. C’è un circolo missionario e Paolo ne è tra i soci più attivi; c’è un giornalino missionario, manoscritto o al massimo dattiloscritto (Lanciafiamme), redatto dagli stessi seminaristi e Paolo ne è uno dei più informati redattori; ci sono le visite periodiche dei missionari e Paolo è tra i più attenti uditori. Si vogliono aiutare anche economicamente missioni e missionari e Paolo dedica le sue ricreazioni ad impiantare e gestire una piccola tipografia, con una “pedalina” che, negli scantinati del nuovo seminario di viale Timavo, stampa “santini”, buste e lettere intestate e tanti altri piccoli stampati il cui ricavato va tutto alle missioni.

Non contento, impianta anche un laboratorio di sviluppo e stampa delle fotografie che lavora – per quei tempi – a livello professionale e arricchisce il gruzzolo da consegnare ai missionari di passaggio. Non è perciò una sorpresa che Paolo, giunto nel 1962 alla prima teologia, scelga di entrare tra i “Padri Bianchi”. Come noto, in questa particolare scelta segue il compagno di camerata Italo Iotti e precede Tiziano Guglielmi. Quel suo nuovo abito di lana bianca, che sa d’Africa e di mondo arabo, più che ammirazione, suscita pensieri e riflessioni nei suoi compagni di classe e di camerata.

 

(Giuseppe Giovanelli, La Libertà)