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La lettera di PB: “Area Mab è prioritaria la salvaguardia dell’esistente”

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Riceviamo e pubblichiamo.

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Da come l’ho inteso, trovo ineccepibile, nonché meritevole di  condivisione, il principio ispiratore del programma Mab,  teso  a  promuovere un rapporto equilibrato tra le comunità umane e l’ambiente in cui esse si trovano a vivere, mediante la tutela della biodiversità e l’appoggio a buone pratiche di sviluppo sostenibile (e altre azioni ancora).

Tale lodevole “obiettivo” induce tuttavia a chiedersi perché mai sia nato il bisogno di applicare o estendere detto “percorso” anche ai nostri luoghi, dove nel passato vigeva un sostanziale “bilanciamento” tra le attività dell’uomo e natura circostante, in atto da tempo immemorabile,  e in modo spontaneo, ossia senza dover ricorrere ad alcuna progettualità

Pure le tradizioni e consuetudini, in una con  l’insieme della “cultura popolare”,  non necessitavano di alcuna “sensibilizzazione” per essere preservate, custodite e tramandate, perché si autoalimentavano nella quotidianità, affidandosi molto spesso al dialetto, che ne esaltava la genuina autenticità, e ogni generazione passava il testimone alla successiva.

Nel “mondo” di allora la biodiversità era  usuale, così come l’avvicendarsi delle coltivazioni, il periodico taglio del bosco, la cura dei castagneti, la regimazione delle acque piovane, la disponibilità di alimenti a “chilometro zero” che rifornivano una cucina tipica, il tutto in un ciclo che si  perpetuava senza discontinuità, e senza danno e “consumo” dell’ambiente.

 

SOMMATORIA  DEI  “PREGI”  MONTANARI

La stagione che  seguì al secondo dopoguerra  vide anche una prospera fase di crescita economica  e di benessere, che compensava le  precedenti sperequazioni sociali,  mentre inedite opportunità occupazionali si accompagnarono a nuovi servizi, tanto da rendere  il sistema montagna una realtà dove si poteva “star bene”, e in armonia con l’ambiente.

Ambiente che nel frattempo non era  rimasto inalterato, ma conservando nondimeno la propria integrità,  bellezza e seduzione, ancorché fosse andato via via perdendo alcune delle sue specificità, vedi la suggestiva  presenza di tante greggi sui pascoli estivi, spesso condivisi  con mandrie di vacche che a sera si “incolonnavano” per  far ritorno alla stalla.

Questa sommatoria di “pregi” montanari  -  come l’aria buona, il bel paesaggio, la buona tavola, una confacente rete di servizi ed attività -  che dava al nostro territorio una sorta di autosufficienza, anche perché allora non mancavano i posti di lavoro, non riuscì però a trattenere lo spopolamento già  iniziatosi allorché il “contesto” locale era meno favorevole.

Le ragioni dell’esodo, peraltro comuni a svariati ambiti montani,  sono state molteplici e  non sempre “decifrabili”, e  soprattutto  tra i più giovani hanno probabilmente giocato aspirazioni che non potevano trovare risposta all’interno di un “mercato” abbastanza chiuso, come si configurava quello montano, specie dopo l’avvio della globalizzazione.

 

SI  E’  PERLOMENO  GIUNTI  AD  UN  “PUNTO FERMO”

Intanto, pur nella miriade di supposizioni e di interrogativi in merito, si è almeno giunti ad un “punto fermo”, ovvero la diffusa consapevolezza che l’abbandono della montagna può avere indesiderabili  ricadute sui comprensori  a valle, e ci si sta dunque mobilitando per porvi in qualche modo rimedio (anche se permangono scetticismi e diversità di vedute).

Questa approssimativa “escursione” nel passato mi è parsa indicata, ed anche utile,  per meglio comprendere l’oggi della nostra montagna, e intuirne altresì l’eventuale domani, atteso  che i giudizi in proposito  sono piuttosto dissimili, sia riguardo a  cosa  poteva essere fatto, sia riguardo alle strade da seguire  per ottenere  il suo auspicabile  “rilancio”.

C’è infatti chi addebita all’inerzia della politica il “regresso” cui la montagna è andata incontro in questi anni, e chi invece chiama piuttosto in causa una rinunciataria  perdita di  slancio dei sui abitanti, fino alla mentalità fatalistica di chi ritiene ineluttabile l’inurbamento, perché in città o nei centri maggiori aumenta lo spazio per nuove opportunità professionali

E nel contempo ci si divide anche sul “da farsi” di qui in avanti, tra chi punterebbe sulle infrastrutture, vedi viabilità di fondovalle,  diga di Vetto, ferrovia, quali opere che già per loro stesse dovrebbero  ridare fiato alla montagna, e il resto verrebbe poi da sé, o chi auspicherebbe forti investimenti nella difesa idrogeologica, o una generale detassazione.

 

SCELTE  “MATERIALI”  E  “IMMATERIALI”

Sono linee di intervento tra loro differenti, ancorché possano diventare complementari finanze permettendo, ma nondimeno accumunate dall’idea di convergere le risorse verso alcune e ben precise scelte o “finalità”, che potremmo definire “materiali”, visto che sono ben identificabili vuoi nei rispettivi costi vuoi nella loro fisicità (se si parla di infrastrutture).

Abbiamo parimenti in campo un’impostazione di tutt’altro segno - dai tratti più “immateriali” o “intellettuali” - e traducibile in funzioni promozionali, nonché di raccordo e  valorizzazione delle eccellenze  montanare, volta anche a poter smuovere, attrarre e “cantierare”  risorse pubbliche e private, e semmai stimolare attività innovative (o meno convenzionali).

Da quanto posso capirne, mi sembra procedere lungo quest’ultima rotta anche il programma Mab Unesco per l’Appennino Tosco Emiliano, comprensivo  di ben settanta progetti, afferenti ad un “piano di azione” e distribuiti  su  otto filoni:  educazione, ricerca e sviluppo, beni culturali, ambiente, ruralità, turismo, comunicazione, coinvolgimento.

Va senz’altro riconosciuto  lo sforzo compiuto per concepire ed elaborare un tale ventaglio di opzioni, anche se resto personalmente  dell’avviso che, almeno in questa fase, andrebbe innanzitutto salvaguardato l’esistente, attraverso strumenti semplici e trasversali, vedi  una detassazione generalizzata, senza passare per graduatorie, griglie o “selezioni”.

 

SALVAGUARDIA  DELL’ESISTENTE

A me sembra prioritaria la salvaguardia dell’esistente, posto che ha fini qui “presidiato” il territorio preservando l’anima montanara e le sue radici col passato, e dando posti di lavoro, senza peraltro  “scompigliare” il quadro ambientale, e mi chiedo se tale risultato possa riuscire tramite una parcellizzazione degli interventi, vedi i settanta progetti Mab.

Salvo che i progetti Mab non si pongano come alternativa agli interventi più “concentrati” del tipo che dicevo, ma possano divenirne una integrazione, nel qual caso aiuterebbero a rinverdire l’atmosfera “rurale” di un tempo (specie taluni progetti, tra cui quelli che paiono rinnovare i rapporti con l’altro versante appenninico, mentre altri mi convincono  meno).

Fatico infine a “districarmi” tra Mab Unesco, Riserve della Biosfera, Strategie per le Aree Interne, Accordi di Partenariato, né so come si colleghino tra loro, e se vi sia una eventuale “regia” per sincronizzarli in modo che non restino qualcosa di “scoordinato”, ma il non averlo compreso  potrebbe essere semplicemente un limite tutto  mio.

Del resto oggi abbiamo a che fare con concetti quali  Previsione Esplorativa, Costruzione di Scenari, e similari,  che a me appaiono semmai un po’ astratti e “incorporei”, mentre altri potranno invece trovarli attrattivi e coinvolgenti, e confido pertanto che vadano a buon fine, fornendo ulteriori elementi e informazioni per “dar man forte” a questa splendida montagna.

 

(P.B.   12.02.2020)

5 COMMENTS

  1. Egr. Sig. Giovanni,
    anche Lei ha inaugurato qualcosa di nuovo, ossia la categoria dei lettori che sono perfino “infastiditi” dai miei commenti – oltre a quelli che non li condividono – categoria forse già esistente ma che Lei ha il merito di aver evidenziato.

    Avevo naturalmente messo in conto che i miei commenti potessero risultare per qualcuno irrilevanti, banali, scontati, insignificanti, ecc…., ma non pensavo francamente che potessero rivelarsi sinanco fastidiosi e seccanti.

    Ne prendo atto e “me ne farò una ragione”, mutuando il lessico di una certa parte politica, e Lei può tranquillamente evitare di leggerli, a meno che non la irriti il solo vedere P.B., nel qual caso potrebbe chiedere alla Redazione di contingentarmi i commenti.

    P.B. 17.02.2020

    P.B.

    • Firma - P.B.
  2. Egregio dottor Paolo ¹,

    Non c’è nulla di ‘irrilevante, banale, scontato, insignificante, e/o di fastidioso e seccante’, in ciò che Lei scrive, c’è solo un’enorme distanza tra due vissuti,- almeno -, è così che leggo i Suoi commenti, ed è così che li continuerò a leggere.

    ¹ – da un commento pubblicato su questo giornale.

    Giovanni Annigoni

  3. Egr. Sig. Giovanni,

    non vedo nulla di male nel pensarla in maniera “enormemente” diversa – e nel confrontare su queste pagine le nostre differenti posizioni e convinzioni – dal momento che le opinioni di ciascuno di noi riflettono i rispettivi vissuti, come Lei dice (così come mi sembrerebbe abbastanza monotono il pensarla sempre in modo univoco, facendo semmai a gara nel darci reciprocamente ragione).

    P.B. 18.02.2020

    P.B.

    • Firma - P.B.
  4. Chiedo spazio alla Redazione per questo ultimo commento a chiusura di questo noioso ping-pong.

    Qui non si tratta di “ pensarla in maniera “enormemente” diversa “, qui si tratta di evidenziare due posizioni nella costruzione di un dialogo.

    Quando Lei scrive:” Avevo naturalmente messo in conto che i miei commenti potessero risultare per qualcuno irrilevanti, banali, scontati, insignificanti, ecc….” attribuisce in ogni aggettivo un giudizio su di Lei. Lei ha come riferimento solo se stesso e, un siffatto atteggiamento, esclude l’interlocutore.

    In uno dei Suoi recenti interventi parlava di maleducazione e di volgarità, bene, trovo maleducato e volgare la confidenza che usa nel chiamare per nome il lettore, che va tirare per la giacca, perché ascolti La sua opinione. La esprima, senza pretendere un’attenzione.

    Giovanni Annigoni.