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Sergio Tamagnini pubblica un altro libro sulla storia della scuola a Castelnovo ne’ Monti

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Sergio Tamagnini, "storico" Direttore delle scuole primarie a Castelnovo ne' Monti, continua le ricerche di storia locale mettendo a buon frutto gli anni della pensione. 

Dopo "Un Direttore, una Scuola, un Territorio. Storia della scuola popolare, materna ed elementare a Castelnovo ne’ Monti dal 1945 al 2010" del 2014, ora sta uscendo "Storia della scuola elementare dal fascismo alla democrazia" sempre per i tipi della Nuova Tipolito di Felina, che copre il periodo dal 1922 al 1945.

Il libro (320 pagine per 15 euro) sarà disponibile a giorni presso le librerie e le edicole di Castelnovo ne' Monti e Felina e a Reggio Emilia presso le librerie Bizzocchi e la Libreria dei Teatri.

Con questa nuova fatica il dottor Tamagnini si è misurato, più che con le memorie personali ed esperienziali alla base del libro precedente, con i documenti di archivio della scuola e del Comune. Un lavoro da storico con lo scopo di documentare la funzione e il ruolo della scuola in anni in cui ad essa era attribuita una funzione decisiva per il successo della dittatura.

Pubblichiamo di seguito la "premessa" dell'autore e la  introduzione di Clementina Santi per invogliare alla lettura.

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La premessa di Sergio Tamagnini

Nel mio precedente lavoro ho raccontato la mia esperienza di Direttore Didattico a Castelnovo ne’ Monti, per la precisione dal 1979 al 2010, inserita nella storia e nel contesto della scuola elementare dei primi anni della Repubblica fino al mio pensionamento. È stato, per me, un racconto molto impegnativo ma interessante, narrato, in buona parte, in modo diretto, dal vivo, dal campo di lavoro.
Terminato quel lungo e impegnativo lavoro, il mio interesse e la mia curiosità per la Scuola, per la sua organizzazione, come istituzione fondamentale per lo sviluppo civile e morale della Società, non si sono spenti. Di qui, la motivazione, lo stimolo per questo nuovo impegno di ricerca e di riflessione sulla Scuola Elementare durante il ventennio del Fascismo.
Con una grossa differenza rispetto a quello precedente: là, come prima detto, ho raccontato, per buona parte, in diretta dalla mia esperienza professionale, qui, ho dovuto svolgere un lungo e minuzioso lavoro di ricerca e di consultazione dell’Archivio della Scuola, durante oltre il trentennio della mia carriera di Direttore-Dirigente scolastico.
Una ricca e copiosa raccolta di materiale da ordinare, organizzare e commentare: dati statistici, Direttive e Ordini ministeriali, relazioni deiRegi Dirigenti scolastici, Cronache e relazioni degli Insegnanti riportate sui Registri scolastici.
Un’altra fonte di notizie e informazioni, non solo scolastiche, ma anche amministrative e politiche, è stato l’Archivio Comunale messomi a disposizione dagli Uffici competenti e con la collaborazione del personale addetto al servizio. Un Archivio, quello comunale, ben tenuto e curato, ricco di dati relativi all’attività amministrativa del Comune.
Il presente lavoro riguarda, come detto, la storia della Scuola Elementare di un particolare periodo storico: il ventennio nero del Regime Fascista (1922/1943) con l’estensione al biennio successivo come momento di passaggio, molto difficile, alla conquista della Democrazia e alla nascita della Repubblica, cioè, al punto di avvio del mio precedente lavoro. Ho chiamato ‘nero’ quel periodo perché così è stato battezzato a Milano, nel 1919, con la fondazione delle Brigate Nere: un colore storico, indelebile.
Tengo a precisare che questa ricerca ha un carattere storico non politico anche se la peculiarità dei principi, dei valori e degli ideali del Fascismo, che hanno plasmato la cultura e la società, rendono l’opera naturalmente politica.
La Riforma Gentile, con le sue varianti e i “ritocchi”dei Ministri succedutisi nel ventennio, ha segnato, profondamente, i contenuti dell’educazione e dell’insegnamento della Scuola italiana. In particolare, ciò è avvenuto nella Scuola elementare, nei suoi aspetti fondamentali: il difficile ruolo degli insegnanti, i protagonisti dell’educazione e dell’istruzione degli allievi anche adulti, la presenza dei Direttori Didattici e degli Ispettori Scolastici, veri funzionari del Regime, i compiti e le responsabilità del Comune svolti dai vari Podestà o Commissari prefettizi (locali
scolastici, arredi, materiale didattico, mensa, ecc.); la presenza capillare, nella società e nella scuola, dell’Opera Nazionale Balilla, prima, e della Gioventù Italiana del Littorio, dopo.
Se l’impronta politica era inevitabile, data la natura totalitaria del Regime, ho cercato, tuttavia, di trattare la complessa materia con obiettività attenendomi ai vari atti e documenti scolastici e politici ufficiali e alle interessanti testimonianze raccolte da ex scolari del ventennio: alcuni novantenni e qualcuno quasi centenario!
L’incontro con questi testimoni speciali è stato un momento di grande emozione e soddisfazione, non solo per me ma anche per loro.
Spero che ciò avvenga anche a chi vorrà leggere questo libro, con la possibilità di esprimere, liberamente, considerazioni, valutazioni e critiche.

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Gli annali della scuola fascista in Appennino
Clementina Santi
Gli osservatòri editoriali dicono che quando un potenziale lettore prende in mano un libro, dopo essere attratto dall’immagine di copertina (che spesso è fuorviante o solo ammiccante al contenuto), e dopo aver cercato la sinossi (quando c’è) in quarta di copertina, va a leggere l’indice. Pare che questo valga principalmente per i saggi. E dato che il libro di Sergio Tamagnini si presenta come un saggio a tutti gli effetti, anch’io ho fatto così.
La copertina, con la bella foto d’epoca che rappresenta la visita del Principe ereditario a Castetelnovo ne’ Monti, nell’ottobre 1927, anno V dell’Era Fascista, risulta assolutamente coerente col titolo (Castelnovomonti) e con il sottotitolo (Storia della scuola elementare dal Fascismo alla Democrazia): in quella occasione la scuola ha fatto la sua parte.
Ma per chi si accosta a questo libro l’elemento di forza è senza dubbio l’indice (in questo caso sarebbe meglio dire il sommario). L’indice è già il primo racconto, per quello che dice e per come lo dice: lungo sette pagine, una successione di 23 capitoli perché 23 sono gli anni dall’avvento del Fascismo alla democrazia: dal 1922-1923 fino al 1944-1945. Anno dopo anno, e all’interno di ogni anno, come fossero altrettanti paragrafi, l’elenco degli atti, proclami, indicazioni, regolamenti, circolari, eventi, provvedimenti, gesti. Tutto questo presentato con quel linguaggio perentorio, lapidario, assoluto di chi vuole rinominare a sua immagine il mondo e ridefinire a sua misura il tempo, anche quello del calendario scolastico. E non poteva che essere così in una trattazione che si fonda sui documenti; i documenti parlano sempre il linguaggio di chi li redige. Così questo libro a sessanta anni di distanza diventa a sua volta un pezzo di storia.
Un saggio - dicevo - con tutto quello che attiene a questo genere letterario, ma un saggio di storia locale con i limiti e i pregi che questo comporta: se il limite nasce dal fatto che l’ambito di indagine è circoscritto all’Appennino Reggiano, anzi ad una porzione di Appennino, (il lavoro tuttavia si pone come un contributo alla storia nazionale, o alla storia tout court), la ricerca possiede il grande valore aggiunto che le viene dal fatto che il suo autore appartiene a questi luoghi, li conosce, li ha conosciuti nel tempo; in questi luoghi ha vissuto e continua a viverci.
Le pagine del libro sono nate dai documenti, ma in molti casi sono passate anche attraverso il cuore e per questo arrivano direttamente al nostro.
Sono registri di classe, circolari di Regi Ispettori scolastici, pagelle e valutazioni, direttive di Regi Provveditori, cronache di momenti importanti di vita pubblica che riportano i nomi dei Parroci e dei Podestà; annotazioni di profitto e non solo, verbali di convegni e di consigli di classe, elenchi di nomi di alunni, di dirigenti che allora si chiamavano Regi Direttori, ma anche di maestri e maestre che hanno insegnato ai nostri genitori o ai nostri nonni nelle tante “scuolette” dei nostri paesi.
Mentre scorrono sotto gli occhi pagina dopo pagina, si compone davanti a noi una storia di vita appenninica e una geografia di luoghi che sono gli stessi di oggi: Roncroffio, Tavernelle, Garfagnolo, Gatta, Bondolo, Regnola, Villaberza...
A noi abituati ai libri di storia, un po’ addetti ai lavori, questo libro servirà per una lettura critica, una ulteriore conferma di cosa abbia significato il fascismo – nel bene e nel male – per la politica scolastica italiana, ma per i ragazzi può rappresentare qualcosa di più utile e più bello: può riempire di cose vicine e di nomi famigliari le pagine del manuale di storia, può raccontare dal vivo e dal basso quello che loro oggi studiano riguardo al ventennio fascista. Può servire più semplicemente a raccontare “la scuola com’era”, come era la scuola dei loro nonni alla loro età. E allora si aprirà un mondo: quando la classe era “pluriclasse”, con scolari di età molto diversa tra loro, quando c’era la “sesta” per i più bravi, quando c’erano le “Scuole Rurali” (destinate ai meno abbienti, per i quali imparare non era poi così necessario) che spesso anzi venivano declassate o soppresse e invano difese dagli abitanti; quando alla fine dell’anno scolastico c’erano lunghi elenchi di rimandati e bocciati e spesso accanto ai loro nomi c’erano annotate lunghe file di assenze perché erano cominciati i lavori nei campi. Sarà facile allora far capire che la scuola era “selettiva” perché per molti di loro, ad essere selettiva era stata prima di tutto la vita. E sarà giusto leggere tutto: che sul registro di classe la maestra doveva annotare accanto al nome di ogni allievo il numero della tessera dell’ONB, che tra i quaderni c’era il “Quaderno Balilla”, che il programma prevedeva “la battaglia del grano” e “la campagna antitubercolare” e si celebravano gli Agonali (gare culturali e sportive) e anche nei piccoli plessi… ; e fra i temi da svolgere ce n’era sempre uno sulla guerra o sulla patria. E se oggi loro hanno il libro di testo, i loro coetanei di allora avevano il Libro di Stato.
È stato bello per me, e credo lo sarà per molti, ritrovare nomi e figure di maestri e maestre che hanno lasciato un segno nella storia dellenostre famiglie e delle nostre case: il maestro Romei con la sua proverbiale severità, il maestro Malvolti dolcissimo e paterno, la maestra Itala Manfredi, - “signora Itala” per me, bambina di cinque anni, che l’haconosciuta già ammalata e che ha imparato a scrivere le lettere dell’alfabeto sul tavolino della sua camera - ; la signorina Ferrari che ha lasciato ai suoi alunni i suoi libri; la signora Tazzioli, modello di professionalità e di competenza. Non si dirà mai abbastanza di quanto bene abbiano fatto le maestre in quegli anni, di quanto il “genio femminile”, direbbe Papa Francesco, abbia contribuito all’educazione soprattutto nelle campagne, nei paesi e i nei luoghi come i nostri, mediando e rimediando, con il loro lavoro, alle scelte di una politica scolastica non sempre illuminata. Mi piace ricordare a questo proposito che Reggio Emilia, credo unica città in Italia, ha dedicato un monumento “alla maestrina” per la volontà della Società Dante Alighieri e della sua presidente Mea Guidetti.
Eppure non voglio tacere una nota dolente, che per me è la pagina più triste del libro: è la testimonianza di una bimba di sette anni che nel 1939 frequenta la terza elementare e riceve dalla maestra una sberla inaspettata che le fa battere il viso sul banco e le fa sanguinare il naso. Suo padre non denuncia l’accaduto ma da quel giorno non la manda più a scuola. Frequenterà l’anno successivo altrove. La cosa che più rattrista è che quella bambina ha vissuto tutta la vita nella convinzione che quel gesto fosse dovuto al fatto che suo padre era un partigiano. Quella bambina ci ha lasciato da pochi mesi, all’età di 94 anni; l’ho conosciuta e le dovevo anch’io questa testimonianza.

P.S. Mentre consegno queste note, si sta svolgendo a Roma la Fiera internazionale del Libro che ha scelto di chiamarsi “Più libri più liberi” in omaggio alla radice comune delle due parole. Era una frase molto cara a Raffaele Crovi. C’è un legame stretto, originario, etimologico, continuotra i libri e la libertà. Anche il più umile dei libri ci consegna un po’ di verità e quindi di libertà in più. Diciamo grazie a Sergio Tamagnini per questo “nuovo” libro.