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Cronache del Coronavirus visto dalla parrocchia. Diario del professor Giovanelli

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Dal bollettino dell'Unità pastorale di Felina, riportiamo questa interessante cronaca.

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Note e riflessioni
dalla grande pandemia

Anno 2020: un anno che resterà davvero nella storia, come il 1348, anno delle peste nera che devastò l'Europa (e non solo); come il 1630, anno della peste bubbonica; o il 1836 anno del colera. Anni caratterizzati da grandi "pandemie" cioè di malattie contagiose che coinvolgono "tutto il popolo".
Quella che ci sta tormentando – il coronavirus denominato Covid-19 perché clandestinamente comparso già sul finire dello scorso anno – è arrivata come malattia nuova, sconosciuta anche alla scienza medica, mortale. Come difendersi? In attesa che la scienza trovi rimedi specifici (il vaccino, in particolare) non sono rimaste e non rimangono che i rimedi preventivi più antichi usati per tutte le pandemie: l'isolamento dei contagiati, il distanziamento fra le persone, le maschere, la "sanificazione" degli oggetti toccati da più persone, la chiusura dei confini grandi e piccoli.
Misure che hanno sempre avuto la loro efficacia, anche se in taluni luoghi (meglio: in talune culture) del passato hanno provocato la morte per fame o per mancanza di cure dei più poveri.

La festa delle famiglie, poi...

Il Covid-19 ha una sua particolare storia che si sta ancora svolgendo e che solo a distanza di tempo (parliamo anche di decenni, se non più) potrà essere compiutamente conosciuta e narrata. Restiamo per ora nella cronaca, dal nostro particolare osservatorio felinese.
A gennaio se ne parla molto perché il virus pare un problema della sola Cina e della città di Wuhan. Ma oggi il mondo è piccolo ed ecco i primi contagi in Europa e in Italia. Verso il 15 febbraio il problema si fa decisamente anche italiano. Il 19 la parrocchia di Felina celebra la festa della famiglia con una messa affollata e un ancor più affollato pranzo al Parco Tegge. Qualche timore, il giorno dopo, c'è. Grazie a Dio, tutto va bene.
Il 24 febbraio le prime norme restrittive anche per le celebrazioni religiose: niente celebrazioni con grande afflusso di persone, niente acqua benedetta nelle acquasantiere, niente stretta di mano per lo scambio della pace; niente Comunione in bocca, ma solo sulle mani. Crescono i timori e, in pochi giorni, si rendono necessarie norme ancor più restrittive.
Celebriamo la messa della prima domenica di Quaresima (4 marzo) dandoci la pace con uno sguardo interrogativo, ma ancora beneaugurante, senza sapere che sarà l'ultima messa prima del grande lockdown (la "serratura sprangata"). Poi, il 4 marzo, la nota dei vescovi dell'Emilia Romagna che sospendono provvisoriamente la celebrazione pubblica della Santa Messa, sia nei giorni festivi che in quelli feriali. Perché una misura così grave quando ancora rimangono aperti altri luoghi di ritrovo (anche se l'orientamento generale mi sembra andare verso una progressiva chiusura)? Lo spiegano i vescovi stessi: «Perché nessuno di noi Pastori del Popolo di Dio, può
assumersi la responsabilità di una possibile diffusione del contagio, pur in presenza di tante precauzioni che abbiamo adottato».

La messa ai piedi del Redentore

Chiusa ad ogni celebrazione pubblica, la chiesa rimane aperta per le visite e la preghiera individuale. Ma solo in via di principio, non di fatto, perché, pochi giorni dopo, giunge il grande lockdown del Governo che proibisce ogni spostamento oltre i 200 metri dalla propria abitazione. «Io resto a casa» diventa la parola d'ordine diffusa capillarmente dalle televisioni e dai mezzi di comunicazione.
Potendosi ancora personalmente spostare fra le sue cinque parrocchie, l'8 marzo don Pietro si reca sul monte Fosola e lassù, ai piedi del monumento al Redentore, celebra una messa che abbraccia spiritualmente e realmente tutti i suoi parrocchiani, tutta la montagna. È una notizia che fa sobbalzare il cuore di quanti ne vengono a conoscenza.

Il tempo della grande tribolazione

Marzo, aprile, maggio. Tanto dura la grande sprangatura. Cambia perfino il paesaggio. Chiuse le scuole, i locali pubblici, la gran parte delle fabbriche. Deserte le piazze attraversate solo da poche persone con il volto racchiuse nelle mascherine sanitarie. Vista dall'alto dei colli felinesi, la strada statale mostra un'immagine irreale: niente traffico di automobili o motociclette, solo radi furgoni che riforniscono i negozi degli alimentari e, con frequenza incredibile, la sirena delle autoambulanze che corrono nel silenzio, nel deserto.
Su ogni canale televisivo immagini di medici, infermieri, barellieri "scafandrati", senza più orario di lavoro, che quando finalmente possono riposare, dopo turni massacranti, mostrano il volto tumefatto dalle mascherine troppo a lungo indossate. E altre immagini di militari che bloccano l'ingresso e l'uscita di interi paesi colpiti dal contagio; di persone che per recapitare un pacco a persone care rimaste dentro devono appoggiarlo sulla linea di confine e allontanarsi prima che il destinatario, dall'altra parte possa a sua volta avvicinarsi e ritirarlo. Allo stesso modo, da lontano, si salutano amici e famigliari.
Si fa la spesa, ma, giunti a casa, ogni contenitore di alimenti, ogni oggetto acquistato, tutto viene accuratamente sanificato. Il coronavirus subdolo, può essere dappertutto. È il nemico invisibile. Lasciano in tutti una ferita che non sembra cicatrizzarsi l'immagine dei convogli militari che, il 17 marzo, trasportano le centinaia di morti di Bergamo fino ai cimiteri di Ferrara, accolti dalle note meste del silenzio fuori ordinanza di un soldato trombettiere e dalla preghiera di un anziano sacerdote che non riesce a trattenere le lacrime.
Unica difesa il distanziamento sociale (arma secolare anti contagio), il lavaggio frequente delle mani, la mascherina chirurgica. Nulla sembra cambiato da secoli quando i paesi colpiti dalla peste venivano chiusi dai "cordoni militari sanitari", le case dei contagiati sanificate col fuoco, i morti seppelliti in fosse comuni senza alcuna celebrazione. Si scopre la fragilità dell'uomo, nonostante i vanti della scienza e della tecnologia. Le quali, comunque, affrontano decisamente anche il coronavirus e, mese dopo mese, fanno passi da gigante verso la preparazione di vaccini e la messa a punto di cure che si mostrano sempre più efficaci nel salvare le vite dei contagiati.

Papa, vescovi e parroci: messe in streaming

Il 19 marzo, via streaming, il Rosario per l'Italia, con il Papa, con il nostro Vescovo, con varie parrocchie. Sempre via TV o social, la messa dalla cappella del Vescovo o, alle sette del mattino, su RAI 1, la messa del Papa dalla cappella di Santa Marta. Una breve omelia, la comunione spirituale, dieci minuti di adorazione e la benedizione con il Santissimo. Per tanti è un modo nuovo di scoprire la fede e di affrontare la tribolazione del giorno.
Viene diffusa la «preghiera nel tempo della fragilità». Da leggere e fare propria:

O Dio onnipotente ed eterno, ristoro nella fatica, sostegno nella debolezza: da Te tutte le creature ricevono energia, esistenza e vita. Veniamo a Te per invocare la tua misericordia poiché oggi conosciamo ancora la fragilità della condizione umana vivendo l’esperienza di una nuova epidemia virale.
Affidiamo a Te gli ammalati e le loro famiglie: porta guarigione al loro corpo, alla loro mente e al loro spirito.
Aiuta tutti i membri della società a svolgere il proprio compito e a rafforzare lo spirito di solidarietà tra di loro.
Sostieni e conforta i medici e gli operatori sanitari in prima linea e tutti i curanti nel compimento del loro servizio. Tu che sei fonte di ogni bene, benedici con abbondanza la famiglia umana, allontana da noi ogni male e dona una fede salda a tutti i cristiani.

Liberaci dall’epidemia che ci sta colpendo affinché possiamo ritornare sereni alle nostre consuete occupazioni e lodarti e ringraziarti con cuore rinnovato.
In Te noi confidiamo e a Te innalziamo la nostra supplica perché Tu, o Padre, sei l’autore della vita, e con il tuo Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, in unità con lo Spirito Santo, vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.
Maria, salute degli infermi, prega per noi!

La preghiera è sì un abbandono – anzi un affidamento – a Dio, ma anche un impegno a far tutto l'umanamente possibile perché la pandemia cessi, ad adottare nella propria quotidianità di vita tutti quei mezzi e quei comportamenti che possano contrastarla. Per sé stessi e per gli altri. Dal contagio sin esce tutti insieme o non si esce.

Pasqua nel silenzio

Anche la Pasqua passa nel silenzio. Le chiese ancora vuote. Sembrano risuonare le bibliche lamentazioni di Isaia: Gerusalemme è desola, la città del suo Santo si è fatta deserta, deserta è la casa della tua santificazione dove i nostri padri ti hanno lodato... E, a confermarle, le notizie dei tanti che muoiono nelle rianimazioni degli ospedali, nei reparti Covid; in pieno isolamento, senza la presenza consolatrice di un famigliare, senza i "conforti" religiosi. Ma giunge anche notizia di medici o infermieri che, pur senza essere ministri straordinari della Santa Comunione, accettano di portare l'Eucaristica ai morenti. Sì, anche il covid-19 sembra aver creato le sue catacombe.
Catacombali, eppure confortatrici e speranzose, le immagini di Papa Francesco che, solo, camminando e zoppicando si reca ad un santuario romano per pregare o che, il 22 aprile, in una Piazza San Pietro deserta, sotto una pioggia insistente, ai piedi di un grande crocifisso, impartisce a Roma e al mondo la propiziatrice benedizione con il Santissimo Sacramento. Benedizione impartita anche dal vescovo di Reggio, nella piazza anch'essa deserta del Duomo di Reggio. Catacombali anche le mancate Cresime e Prime Comunioni.
Mai come in questo periodo viene seguita la messa quotidiana di Papa Francesco; mai tanto ripetute dai media le sue omelie quotidiane. Suppliscono, in un certo senso, ai soppressi corsi di catechismo, alle omelie dei parroci.
La Chiesa è quotidianamente presente attraverso le comunicazioni sociali. Ma, giorno dopo giorno, si avverte sempre più come la Chiesa sia e debba essere incontro e comunione non di immagini o di parole, ma di persone. Per questo il termine "catacombale": non per persecuzione, ma per difesa della vita.

Opere di misericordia corporale e spirituale

La pandemia fa riscoprire con tutta evidenza il significato dell'essere Chiesa e dei relativi comportamenti – improntati a quella necessaria "carità" che altro non è che amore di Dio e del prossimo proposto dal Vangelo – che la Chiesa da sempre ha richiesto ai suoi fedeli e da sempre insegnato nel Catechismo.
Opere di carità spirituali: insegnare agli ignoranti; ammonire i peccatori; consigliare i dubbiosi;
consolare gli afflitti; perdonare le offese; sopportare pazientemente le persone moleste; pregare
Dio per i vivi e per i morti.
Opere di carità corporali: dar da mangiare agli affamati; dar da bere agli assetati; vestire gli
ignudi; alloggiare i pellegrini; visitare gli infermi; visitare i carcerati; seppellire i morti.
Se la loro formulazione è vecchia di secoli, perfettamente attuale – e la pandemia ce lo ricorda – è il loro significato, il loro contenuto. Mai come in questo periodo abbiamo sentito il bisogno della scuola, di farci alunni in ciò che
non sappiamo e docenti nel giusto modo in ciò che sappiamo; di una informazione corretta (senza le fuorvianti fake news) che ci guidi e ci rassicuri nei giorni della prova e del pericolo; di una comunanza e di una fraterna reciproca accettazione di tutti; di un aiuto a migliorare moralmente noi stessi.
E poi, la necessità e la misura del cibo per tutti; l'iniquità dello spreco e della distruzione dell'ambiente fonte di vita; la necessità di assistere direttamente quando possibile o collaborando con gli enti di assistenza che soccorrono alle necessità di chi è senza cibo, senza vestito, senza casa, senza lavoro, senza libertà, senza patria.

Sotto la responsabilità del parroco

Pian piano, tra la fine di aprile e i primi di maggio, i contagi sembrano decrescere, i morti diminuire, farsi impellenti le necessità della sopravvivenza per le tante famiglie che non possono lavorare. Si intravvedono le prime possibilità di allentare la grande "serratura": possibilità di spostamento fino ai 500 metri casa; poi all'interno del comune, della provincia e della regione.
Gradualmente riaprono in gran parte i locali pubblici, le attività commerciali e culturali, ma sempre osservando l'obbligo della mascherina, la distanza tra le persone di almeno un metro, la temperatura corporea al di sotto dei 37.5 gradi. Poi l'arrivo dell'estate e un'apertura ancor più ampia, con possibilità di viaggi per ferie in Italia e all'estero.
Il 13 maggio possono riaprirsi le chiese per la celebrazione delle messe con partecipazione dei fedeli, ma limitata, secondo la disponibilità di spazio delle singole chiese, adottando rigidamente (più di qualunque altro pubblico locale, si può ben dire) le misure di sicurezza quali distanziamento, mascherina, sanificazione mani, banchi, sedie, ecc. Il tutto sotto la responsabilità personale e legale di un rappresentante dell'Ente Parrocchia, cioè, nel nostro caso, di don Pietro.
Ecco perciò, il 24maggio, a Felina, di nuovo la messa. Poi il 13/14 giugno a Gatta, il 28 giugno a Villaberza e Gombio.
A settembre, in contemporanea con l'apertura delle scuole e con le stesse misure di sicurezza, ripartono anche i corsi di catechismo. Ed è a questo punto che si ferma, per il momento, il cronista.