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Elda rimembri ancora … (II puntata)

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Continua il periodo natalizio col suo coprifuoco e le maschere e io ne approfitto per rivolgermi ai miei piccoli amici.

A qualcuno questo non piacerà, pazienza, ci sono tante cose che vengono pubblicate e non piacciono a tutti.

Io questi li chiamo ricordi, ma c’è anche chi osa chiamarla cultura.

Certo che questa è la storia del nostro paese, questi erano i vostri nonni e bisnonni. I personaggi illustri che ci sono stati li conoscerete sui banchi di scuola, ma quel che vi racconto io non ci sarà. Non ci sarà la povera gente che con grandi sacrifici e un pizzico di fortuna ha contribuito a far fiorire il nostro bel paese quando ancora si chiamava “Castelnuovo ne’ Monti”, poi a qualcuno questo nome sembrava troppo lungo, allora lo ha accorciato, togliendo quella u e quel ne’ che gli dava un certo tono di signorilità. Ora voi con l’arrivo del telefonino, scrivete solo sigle incomprensibili, perciò vi basterà soltanto “C. M” o forse troverete qualche locuzione inglese, che oggi fa molto “scic”, ma senza che ce ne accorgiamo la nostra bella lingua italiana se ne sta andando a “ramengo”.

Ora però torniamo ai piccoli, i tanti bambini intelligenti e curiosi che mi chiedono e vogliono sapere come si viveva una volta:

“Ma voi avevate il riscaldamento?”

Anche questa è una vostra domanda, alla quale voglio rispondere con calma, così capirete meglio.

Quando io ero piccola, cioè prima e anche dopo che nelle nostre montagne arrivasse la guerra, in tutte le case ci si scaldava col fuoco a legna, o nel camino, o con le cucine economiche, o quelle stufette di ghisa basse e piccole che emanavano un gran calore e dentro ci stava anche un pezzo di tronco d’albero intero. Forse qualche ricco poteva averne più di una di stufe, magari le famose “Becchi” di terracotta rossa, a più piani, che esistevano anche nelle scuole, in ogni aula ce n’era una. Queste stufe oltre a scaldarci servivano per cucinare, il gas non c’era ancora e solo in pochi sapevano che nelle grandi città già esisteva, da noi è arrivato molto più tardi chiuso dentro a quelle famose bombole nere.

La legna ognuno se la procurava nei boschi, specialmente sulle pendici della nostra generosa Pietra. Se uno era   proprietario di un pezzo di terreno là sotto, tutto bene, altrimenti verso sera andava a tagliarsene un fascio con la speranza di non essere colto in flagrante dal padrone, che lo avrebbe denunciato alle Guardie Forestali.

Sui fianchi della Pietra andava tutta la povera gente di Castelnovo, Passava con un sacco sotto al braccio e un pennato attaccato alla cintola che penzolava sul lato B.

Facevano la fila sembravano formiche, entravano nel bosco in   silenzio, tagliavano rami a sufficienza per farne un bel fascio, poi si mettevano il sacco in testa a mo’ di cappuccio per ripararsi dalle   spine e dalle foglie secche, si caricavano il fascio in spalla e lo portavano a casa. Piano, piano un po’ alla volta, cercavano di ammucchiare legna a sufficienza per sbarcare l’inverno scaldandosi in quel modo.

Mio padre chiedeva al proprietario se poteva dargli un pezzo di bosco da ripulire, solitamente era la parte più impervia e scomoda che avesse, ma intanto poteva lavorare col permesso di farlo, poi lui ripuliva gli “scassi”, scavava e toglieva dalla terra le grosse radici degli alberi che erano stati abbattuti per far posto al grano o all’erba medica e per fare questo lavoro si aiutava con le “mine” di polvere da sparo. Questo lavoro lo faceva d’inverno, quando aveva più tempo libero, cominciava con lo spalare la neve così scopriva bene il mozzicone di tronco che era rimasto poi col piccone scavava fin che non aveva liberato le grosse radici dalla terra, poi   con una “trivella” faceva un lungo foro lo riempiva di povere da sparo inserendo una lunga miccia l’accendeva e…Bhumm!… La radice saltava in aria tutta a pezzi. Allora noi bambini che avevamo assistito al riparo di una “masera” un mucchio di sassi, ci avvicinavamo con la “panera” una grande cesta, per raccogliere le “tapòlle” i pezzi di legna piccola sparsi un po’ dappertutto, poi il papà caricava “l’ilsa” una specie di slitta col cassone, molto simile alla “treggia” che si usava a Sologno, ma molto più piccola, si metteva a tracolla la fune attaccata davanti e cominciava a tirare facendola scorrere sulla neve gelata e noi tutti, dietro a spingere, per portare il bottino a casa.

Un gran lavoraccio, ma la legna ci serviva per scaldarci e per cucinare.

Le nostre camere si trovavano al secondo piano erano fredde coi vetri ghiacciati e qualche luccichino di brina attaccato agli angoli del soffitto le finestre erano senza scuri, ma noi da sotto le coperte con solo il naso fuori, ci divertivamo a scoprire sui vetri delle figure fantastiche, paesaggi da favola, uccelli argentati, visi che apparivano qua e là e chi aveva più fantasia più ne trovava e il papà ci diceva che delle tende così belle in tutto Castelnovo non le aveva neanche il più ricco del paese.

Poi la sera ognuno di noi si prendeva sotto il braccio un bel mattone, pulito e lucido per il grande uso, che la mamma aveva messo a scaldare sulla stufa e ce lo portavamo a letto avvolto in una pezzuola bianca, lo mettevamo vicino ai piedi e quel calduccio ci aiutava a prendere sonno, ci si addormentava quasi subito anche se erano appena le sette di sera.

In casa non c’era la luce elettrica, in cucina avevamo una lampada a petrolio con un serbatoio in ceramica che conteneva il liquido e vi s’immergeva lo stoppino che era imprigionato nel “coperchio” si accendeva con un fiammifero, poi vi si infilava il lungo tubo di vetro e lì dentro la fiamma sprigionava la luce (poca vi dirò). Per andare a letto usavamo la candela infilata dentro alla “bugia”, ci spogliavamo in fretta e ci infilavamo sotto le coperte, poi uno allungava il collo e soffiava sulla candela per spegnerla. Nelle serate di luna piena, lei si affacciava dietro i vetri gelati e ci guardava bonariamente, illuminando un po’ la stanza.

Non esisteva la televisione, ma c’erano le belle fole che ci raccontava il papà, che naturalmente erano a puntate e noi ogni sera aspettavamo il seguito. Altro che telenovela!

Arrivederci e buon anno a tutti.

Elda Zannini

 

 

 

 

 

9 COMMENTS

  1. I suoi racconti così veri risvegliano i ricordi più profondi in coloro che ancora possono permettersi di averne ed aiutano le giovani generazioni a comprendere come la magia di cui lei sa circondare quelle esperienze,non è la stessa-irreale-delle favole.
    La vita vissuta fra tanti sacrifici,con intelligenza, determinazione e creatività nell’adattarsi a risolvere i problemi di ogni giorno,era una vita vera,con le sue difficoltà ma anche con tanti valori di riferimento.
    Che meraviglia un papà che sa incantare i propri bimbi aiutandoli ad essere felici per i ricami di ghiaccio sulla finestra! Mi fa ricordare “La vita è bella” di Benigni.
    Grazie cara signora Elda e buon anno! Mariolina Cagnoli

    • Firma - Mariolina Cagnoli
  2. Flashback

    Una draga al largo si intravedeva appena, un’altra, a meno di un miglio dalla costa, si dondolava piena di mille luci in un mare mosso sotto ad un pioggia quasi violenta. Mi ricordò l’albero di natale che da bambino vedevo sui giardini della piazza al di là di quei vetri appannati muoversi nel vento. Eravamo lì a costruire un porto dove pezzo di deserto finiva in mare. L’ Ikmet, il piccolo rimorchiatore rosso che mi avrebbe portato su quella draga, stava accostando. Quanta vita era trascorsa tra quell’albero di natale e quella nave. Era la notte di Natale del ’81.

    Giovanni Annigoni

  3. Elda,
    quest anno il Natale è molto ma molto triste.
    Ci vuole fede, ma tanta, per apprezzare queste giornate di festa. Da noi a Costabona tante case hanno gli scuri serrati e pochi camini fumano…
    Si legge e si scrive, ma il “magone” è sempre lì, pronto a ricordarci quello che stiamo vivendo.
    Poi apri Redacon, trovi uno scritto dell’Elda e per un attimo chiudi gli occhi e ti distrai da questo oggi che vorremmo fosse già passato.
    Grazie

    • Firma - Luca Fioroni
  4. Complimenti Sig.a Elda,
    leggerla è sempre un piacere, i suoi racconti arrivano dritti al cuore e donano emozioni forti.
    In attesa del suo prossimo racconto; con l’augurio che il 2021 Le porti tanta serenità e salute.

    Edna Ganapini Pignedoli