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La lettera della professoressa Cinzia Ruspaggiari in ricordo della madre nell’anniversario della nascita

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Riceviamo e pubblichiamo la lettera della professoressa Cinzia Ruspaggiari in ricordo della madre, ora scomparsa, nel suo 90esimo anniversario di nascita

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La maestra Franca Guidotti

Il 23 marzo di 90 anni fa nasceva a Vetto mia madre Franca Guidotti Ruspaggiari, ora scomparsa da diversi anni. E’ stata una delle tante maestre che hanno insegnato nelle scuole della montagna reggiana e parmigiana a partire dagli anni 50/60, quando esistevano ancora le scuole popolari per gli adulti che dovevano alfabetizzarsi e le pluriclassi per i bambini delle frazioni più piccole, gestite, se andava bene, da due insegnanti, ma talvolta da uno solo.

Per ricordarla vorrei raccontare un episodio degli anni ’60, quando anch’io ero una bambina delle elementari e ogni anno cominciavo le lezioni a Vetto per poi trasferirmi insieme a lei, per tanti anni precaria, nel luogo di assegnazione, visto che mio padre lavorava a Reggio e nessuno poteva accudirmi a casa.

Ci sistemavamo in alloggi di fortuna, spesso a casa di una famiglia che ci affittava una camera, oppure a volte se c’era una stanza non utilizzata negli edifici scolastici, era il Comune ad affittarcela; per il bagno e la cucina ci si arrangiava come si poteva, in condivisione oppure portando da casa il fornello a gas tipo campeggio, il catino per lavarsi e la tinozza per il bagno. Restavamo là per tutta la settimana e il sabato pomeriggio tornavamo a casa per ricongiungerci con mio padre e approfittare di qualche comfort in più della nostra abitazione ben rimodernata. La domenica sera dovevamo comunque ripartire.

La nostra situazione non ottimale era condivisa da molti abitanti dei villaggi più piccoli, in cui era raro trovare case ben ristrutturate e dotate di bagno interno, anche se nelle abitazioni era arrivata almeno l’acqua corrente. Nonostante questo ognuno cercava di fare del suo meglio per mantenersi pulito e dignitoso. Anche per gli abiti non c’erano molte possibilità di acquisto; le fiere e i mercati insieme a qualche ambulante risolvevano le esigenze più immediate, ma era raro recarsi fino ad un centro più grande solo per fare acquisti. C’erano le sarte, questo sì, e tante donne avevano una macchina da cucire con cui confezionavano o riadattavano semplici abiti per sé stesse o per i bambini. Anche mia madre aveva fatto un corso di sartoria dopo il diploma magistrale perché il mestiere di insegnante non era sicuro, doveva aspettare le supplenze ma non era detto che ogni anno ci fossero, quindi nel caso avrebbe avuto il piano B con il cucito. Intanto, anche in trasferta, sfornava vestiti per me utilizzando scampoli di stoffa.

Una mattina, durante la mezz’ora di intervallo in cui di solito giocavamo tutti insieme a palla, ai quattro cantoni, un due tre stella o ruba bandiera, mia madre chiese al collega, che era il mio maestro, se poteva controllare anche i suoi scolari e se io potevo salire con lei nella nostra stanza al piano superiore. Qui tirò fuori la piccola macchina da cucire e mi chiese di aiutarla in una faccenda molto segreta, di cui dovevo promettere di non parlare con nessuno. Aveva una maglietta bianca, tipo canottiera con gli spallini, di una taglia abbastanza piccola e tutta tagliata su un lato. Aprì anche l’altro lato e tagliò gli spallini. Poi, mentre cuciva separatamente i bordi dei due lati con il punto a zig-zag, il cui nome mi piaceva molto, mi assegnò il compito di tagliare da un rocchetto dei pezzi di fettuccia bianca lunghi circa come la mia mano, poi di passarglieli uno alla volta per cucirli sui lati e sugli spallini tipo lacci per unire le due parti.

Bisognava fare in fretta però io ero troppo curiosa, anche se lei non mi spiegava nulla. Finita l’operazione tornai nel cortile, ma la curiosità mi spinse immediatamente a dire al maestro che avevo lasciato il fazzoletto da naso di sopra
e zitta zitta vidi mia mamma mentre stava facendo indossare la maglietta con i lacci ad un suo scolaro, più piccolo di me. A pranzo ci fu la resa dei conti, volevo la verità anche perché di ritorno dai miei compagni ero stata accusata di avere abbandonato il gioco perché mi ero fatta la pipì addosso e questo non potevo sopportarlo. Ci voleva una motivazione più che valida per mantenere il segreto!

Scuotendo la testa mia mamma mi disse che durante la lezione aveva notato che quel bambino si grattava e mostrava fastidio, quindi con la scusa di aiutarla a prendere una carta geografica l’aveva accompagnato fuori dalla classe per controllare in modo discreto se per caso avesse qualche parassita. Scoprì invece che aveva una canottiera talmente stretta che gli lasciava i segni sulle spalle e sotto le ascelle. Il bambino raccontò che non ne aveva un’altra e che da qualche tempo si lavava con la maglietta addosso perché non riusciva a toglierla, così, nella sua logica, si puliva lui ed anche l’indumento. Praticamente ci era cresciuto dentro e l’unico modo per liberarlo era tagliare la stoffa. La sua famiglia si arrangiava come poteva, il papà lavorava lontano, viveva con la mamma e due fratelli più grandi ma nessuno si occupava di lui per queste cose. Nonostante questo non era un bambino più sgradevole o sporco rispetto agli altri. Il primo negozio utile distava diversi chilometri e non era giusto per lui rimanere senza canottiera. Così ecco l’idea dei lacci; in questo modo era tornato a casa con la sua maglietta e con la possibilità di usarla ancora un po’ senza provare fastidio.

Da un lato sentivo una forte ammirazione per mia madre che aveva cercato di ridare un pochino di comodità e di dignità a un piccolino che già si sforzava in ogni modo di essere decoroso; dall’altro lato sapevo che non dovevo parlare e quindi non potevo liberarmi dell’accusa della pipì, e mi misi a piangere.

Per farla breve, il giorno dopo durante la ricreazione mia madre arrivò con un vassoio di biscotti cotti nel forno della stufa per tutti i bambini e dichiarò che io l’avevo aiutata il giorno prima, durante l’intervallo, a preparare l’impasto. Così zittì le calunnie sul mio conto e le fui talmente grata che è la prima volta, dopo più di 50 anni, che racconto questa storia piena delle piccole attenzioni e delle tenerezze con cui, un tempo si cercava di ovviare ai disagi del quotidiano. Altri tempi, altri modi.

Buon compleanno, mamma, ovunque tu sia.

Cinzia Ruspaggiari

10 COMMENTS

  1. Un bellissimo ricordo di tua madre con una grande sensibilità ed una grande considerazione verso i bimbi come ogni maestra/o dovrebbe avere grazie per averla ricordata ed averci messi in condizione di farci ricordare i nostri genitori che seppure in povertà ed a volte anche con pochi mezzi non solo economici ma anche culturali ci hanno insegnato che dignità correttezza onestà e rettitudine erano e sono alla base della convivenza civile.

    Gianni

    • Firma - Gianni
  2. Brava Cinzia, col tuo racconto mi hai fatto fare un tuffo nel passato.
    Ricordo con piacere i tuoi genitori e la tua nonna ostetrica, che mi ha fatto nascere in casa: allora usava così.
    La montagna era piena di punti nascita…

    Ivano Pioppi

    • Firma - Ivano Pioppi
  3. Il commento di Ivano Pioppi, dove il ricordo della Sig.ra Franca richiama figure ed usanze del passato, termina con parole che si sposano abbastanza bene con il dibattito in corso riguardo ai Punti Nascita.

    P.B. 24.03.2021

    P.B.

    • Firma - P.B.
  4. Grazie Cinzia,
    per il ricordo, la condivisione e il talento nel descriverlo.
    Già che ci sono Buon Compleanno alla tua Mamma maestra e a te insegnante, domani, se ben ricordo. Un caro abbraccio, Cecilia

    Maria Cecilia Gianferrari

    • Firma - Maria Cecilia Gianferrari