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Avvenne a Collagna nel 1896 il miracolo fulcro di uno dei racconti appena pubblicati dall’architetto Francesco Lenzini

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All’incrocio tra la strada che va verso Vallisnera e quella che porta al campo sportivo di Collagna sorge oggi una maestà. Fu eretta dal padre di Cristina Pulsoni: una bambina che proprio li fu miracolata a fine Ottocento. Le vicende di questo episodio prodigioso, realmente avvenuto, trovano spazio nel racconto dal titolo “Una storia del mio paese” scritto dall’architetto Francesco Lenzini. La novella fa parte della raccolta “L’uomo della profezia” dato alle stampe da “The dot company” poche settimane fa e ora disponibile nelle librerie e sul sito www.thedotcompany.it.

Le vicende che compongono la raccolta sembrano sospese in un tempo indefinito. Grazie ad opportuni e misurati artifici narrativi i racconti traggono spunto da eventi del passato ma hanno una forte connessione anche con il presente. Il ritmo incalzante ed armonico trasporta tra emozioni e ricordi in un susseguirsi di variazioni temporali che tengono l’attenzione alta e creano scompiglio nel cuore. La narrazione, che gode di  una scrittura limpida e diretta, fa percepire un’accurata meticolosità nella ricerca dei termini utilizzati che la vanno ad impreziosire. Pennellate descrittive forniscono le immagini dei quadri ambientali –naturali e cittadini- nei quali si svolgono le scene lasciando si spazio all’immaginazione del lettore ma definendone i contorni in modo abbastanza inequivocabile.

Tra amori -a volte anche solo immaginari- che si alimentano di parole non dette e forti riferimenti a vicende che capitano a tutti, la lettura scorre veloce grazie alla brevità dei singoli capitoli che lascia con l’acquolina in bocca.

Non sono stati di certo usati litri di inchiostro ma ciò che l’autore vuole comunicare si percepisce con nitidezza. La raccolta appare come un concentrato da sorbire tutto d’un fiato che arricchisce di perle di sapere nel tempo di solo qualche battito di ciglia.

L’autore, le cui origini affondano le radici proprio a Collagna, si è reso disponibile per rispondere alle domande che seguono.

 Cosa vuoi svelare del brano relativo a Collagna?

Collagna è un luogo a cui sono molto legato. Mia nonna era orgogliosamente una Caccialupi e anche mia madre ha sempre considerato il paese come il luogo miliare della sua identità affettiva. Al contempo per me non è sempre stato naturale vivere il paese ed essere considerato come uno del luogo. Avevo voglia di raccontare una bellissima vicenda realmente accaduta che mia nonna mi raccontava sempre da bambino. Una storia del paese, o meglio una storia del mio paese. È una testimonianza di affetto e appartenenza a questo luogo d’Appennino sebbene abbia scelto di mettermi nei panni di un personaggio letterario che vive ai margini della vita comunitaria.

Come è nata l’idea di scrivere racconti?

In verità questi racconti sono stati scritti nell’arco di un tempo molto lungo. I primi risalgono addirittura ai miei anni universitari. In questo ultimo anno, dopo aver sperimentato con un certo successo la vena autoriale attraverso i miei monologhi teatrali, ho deciso di sperimentare anche questa formula narrativa. Ho così scritto altri racconti per completare questa raccolta che da ragazzo sognavo di dare alle stampe.

Quando scrivi?

In realtà ho una vita piuttosto frenetica e non pianifico con anticipo i momenti dedicati alla scrittura. I primi li ho scritti sul treno tornando da Venezia con il mio primo computer portatile. Ora cerco di ritagliare momenti un po' più strutturati ma in realtà scrivo quando mi sento ispirato o quando sento l’urgenza di mettere sulla carta un ricordo o un’intuizione prima che mi sfuggano di mente e di mano.

Quanto tempo hai impiegato per ultimare il volume?

Come ti dicevo è stato un processo molto lungo. Un primo blocco di racconti risale a circa vent’anni fa mentre gli ultimi li ho scritti nel corso dell’ultimo anno. Ho dovuto anche rivederli insieme per equilibrarli e vagliare con un occhio più maturo quelli che avevo scritto molti anni prima. Potrei dirti che per questo lavoro ho impiegato circa un anno ma in realtà lo meditavo da lungo tempo e dunque non saprei quantificare l’effettivo impegno profuso. Di certo è stato un percorso molto meditato.

Da dove trai ispirazione?

Spesso i miei racconti nascono dal bisogno di mettere mano ad un ricordo per rielaborarlo. Momenti tristi e momenti felici della mia vita, frammenti che condivido per paura che possano andare dimenticati e perduti. Altre volte manipolo una trama per immaginare un finale alternativo a momenti legati al mio vissuto personale che mi hanno segnato. Scrivere per me è come guardarsi allo specchio per vedere l’uomo che sono diventato e al contempo immaginarmi l’uomo che avrei potuto essere.

Quali altri passaggi ritieni focali nel volume e perché? Quanto c’è di autobiografico?

Questa raccolta è in realtà una sorta di autobiografia romantica e vagamente surreale. Ciascun racconto racchiude un frammento di vita legato ad un amore, una speranza, un timore che ho voluto ammantare dietro una veste narrativa. Questi racconti sono come un paravento dietro il quale spogliarmi per mettere a nudo la mia parte più autentica. Talvolta naturalmente ricorro ad espedienti narrativi che attingono a una dimensione di pura invenzione ma in realtà sono rari: l’operazione che faccio più spesso è quella di mettere insieme ricordi accomunati dalle stesse emozioni e fonderli in un personaggio che mi rassomiglia molto da vicino.

Chi è, se esiste davvero Lorenzo Moro, lo strumento che hai utilizzato per descrivere la tua amata Venezia?

Il Professor Moro è stato il mio amatissimo Maestro ai tempi dell’Università. Io mi sono laureato in Architettura a Venezia e lui mi ha preso a ben volere e mi ha iniziato alla carriera accademica come suo assistente. Era un uomo di grandissima cultura, sensibile e anche un po' pigro. Ma soprattutto era veneziano dalla testa ai piedi: conosceva Venezia in ogni suo angolo e mi ha insegnato a guardarla con i suoi occhi. Mi ha voluto bene come a un figlio e l’affetto era assolutamente ricambiato: un incontro che ha lasciato in me un segno indelebile. Purtroppo è mancato prematuramente per un male incurabile e così ho deciso di rendergli omaggio con un racconto in cui lui e la sua amata città diventano un tutt’uno.

Qual è il tuo pubblico di riferimento?

Ecco una domanda veramente difficile. Direi che mi rivolgo a un pubblico di sognatori che sanno vedere gli aspetti straordinari che si celano nelle nostre vite quotidiane. Il mio pubblico adattando la celebre frase di Marcel Proust è composto da coloro che per compiere il viaggio di scoperta non cercano nuove terre ma occhi nuovi. Credo, proprio per questo, possa essere un testo adatto ad un pubblico molto eterogeneo, non necessariamente composto da letterati o addetti ai lavori ma persone curiose di lasciarsi trasportare nelle comuni esperienze di vita attraverso gli occhi dei miei personaggi autobiografici.

Due ragioni per leggere il libro?

Credo sia un libro piacevole e scorrevole da leggere, anche perché composto da racconti brevi che non pretendono una grande dedizione di tempo e risorse mentali. Sono delle piccole pennellate che necessitano solo di qualche istante per concedersi una breve evasione. A questo aggiungerei che i miei personaggi sono maschere nelle quali è facile ritrovarsi ed immedesimarsi: vincono, perdono, amano e vivono in una dimensione di umanità che ci accomuna. Per questo credo sia interessante mettersi nei loro panni e accompagnarli fino all’epilogo del racconto.

Hai già altri lavori in corso?

In questo momento sono concentrato su alcuni nuovi testi per il teatro ma sto raccogliendo le forze per altri racconti. In verità ci sarebbe anche un romanzo dal taglio autobiografico al quale sto pensando da diversi anni ma non so se mi sento ancora pronto per questa dimensione narrativa. Posso tuttavia confessare di aver già scelto un titolo nella mia testa e mi ritrovo sempre più spesso a fantasticarci sopra.

Francesco Lenzini (Reggio Emilia 1978). Dopo il diploma di maturità classica conseguita presso il Liceo Classico Ariosto, si laurea in Architettura presso lo IUAV di Venezia e successivamente consegue il Master internazionale di II livello in Progettazione presso la facoltà Roma 3. Dopo una breve parentesi formativa e didattica in Canada presso la Waterloo School of Architecture, ottiene il dottorato in Interni e Allestimento con borsa di studio presso il Politecnico di Milano dove oggi è docente. E’ autore di saggi e monografie in ambito scientifico ed è progettista di numerosi interventi di rifunzionalizzazione su edifici vincolati e in ambito museale e allestitivo. Dal 2013 è anche docente di Storia dell’Arte presso il liceo linguistico scientifico IESS di Reggio Emilia.  Dal 2019 porta in scena monologhi di divulgazione sulla vita di grandi artisti da lui scritti e interpretati. L’uomo della profezia appena pubblicato costituisce il suo esordio in campo narrativo.