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Suor Antonella saluta i montanari e la montagna con un “kabary” montanaro. La festa all’oratorio Don Bosco

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UN “KABARY” MONTANARO

 Come in ogni passaggio della vita, sono tanti i pensieri, i ricordi, i desideri e i sentimenti che in queste ore si affacciano al mio cuore.

In Madagascar usa congedarsi dalla comunità con un lungo discorso condito dai proverbi popolari: è il famoso “kabàry” che può durare anche delle ore… tranquilli, non sarà questo il nostro caso! Mi piace però onorare la cultura malgascia, a cui la nostra Casa è legata da un parto gemellare: l’11 febbraio 1969 è la stessa data di nascita per noi e per la prima Casa del Madagascar, quella di Tongarivo. Vorrei quindi concedermi tutto il tempo necessario per dirvi quello che sento importante. Devo però trovare le parole giuste… ne scelgo quattro.

La prima parola è senz’altro GRAZIE.

A Dio per il dono della vita e della chiamata a diventare “tutta sua” (cioè consacrata), chiamata di cui proprio quest’anno per me ricorre il 25° anniversario.

A tutte le persone che dal mio arrivo a Cagnola (giugno 2013) mi hanno voluto bene, tanto da scusare le mie carenze e incoraggiare il mio desiderio di mettermi a disposizione, di imparare cose nuove e di migliorarmi.

Ringrazio una per una le sorelle che si sono avvicendate (Lorenza, Francesca, Florence, Francine, Michela, M. Paola, Stefania, Gianna, M. Cristina e Rosaria), i tanti volontari e le volontarie (di ieri e di oggi), le dipendenti, gli amici e infine i sacerdoti che abbiamo avuto in dono come padri, fratelli e nonni.

Insieme abbiamo lavorato, pregato, giocato, ci siamo arrabbiati, abbiamo riso e abbiamo pianto, condiviso la vita e la morte, come in ogni vera famiglia.

Ringrazio i medici, gli infermieri e tutto il personale sanitario che in questi anni ci hanno supportato con professionalità e umanità, favorendo -nei limiti del possibile- la cura dei nostri malati a domicilio.

Spero che l’Ospedale S. Anna possa continuare ad essere all’altezza del suo fondatore Pasquale Marconi, ovvero luogo che custodisce la sacralità della vita, in ogni sua stagione.

Ringrazio anche il sindaco di Castelnovo Enrico Bini e i suoi collaboratori, per la stima e il sostegno vicendevoli. Assicuro la mia preghiera a favore dell’impegno di tutti coloro che sognano una montagna più popolata e più tutelata.

Ringrazio l’Associazione “Al Bayt” e tutti gli “Amici del Mondo” arrivati da lontano che hanno allargato i miei orizzonti e quelli della nostra comunità. Ci hanno preparato all’emergenza che oggi ci chiede di accogliere i profughi della guerra in Ucraina.

Infine, ringrazio tutti gli Ospiti, passati e presenti. Verso di voi ho un debito di gratitudine infinita innanzitutto per la vostra pazienza. Siete stati per me uno strumento con cui Dio mi ha rivoltata come una zolla di terra per seminare la sua Parola più in profondità. Mi ha attirata a se’, custodita e formata attraverso il sorriso di Alfio, la testardaggine di Settimo, le trappole di Edda, l’insistenza di Isa, l’irrazionalità di Anna, le commedie della Patty, i silenzi di Angela, la generosità di Lorena, l’ironia di Maria… e così via.

Voi siete diventati mediatori inconsapevoli della mia salvezza, con la vostra vita ma ancor di più con la morte, che grazie alla Liturgia ci ha spalancato una finestra su quella gioiosa comunione dei risorti che tutti desideriamo. Ho avuto il privilegio di vivere insieme a voi quasi 9 anni, nei quali abbiamo visto partire per il Cielo: Fatima, Veronica, Dora, Marisa, don Aldo, Graziella, la Minghina, sr Lorenza, Settimo e l’Edda, a cui aggiungo i miei genitori, Maria e Nino, che ho perso nel giro di un anno proprio mentre ero a Cagnola. Tutti questi lutti, portati insieme a voi, hanno rinforzato il mio sentirmi parte di una famiglia che Dio mi ha donato perché diventasse la MIA famiglia.

Posso dire che è vero quanto dice Gesù nel Vangelo:

“Non c’è nessuno che abbia lasciato case o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi…” (Mc 10,28-31).

La seconda parola è STUPORE.

Per come il mondo in questi anni è cambiato, e tutti noi con lui! Il clima, le stagioni, i ritmi di vita delle famiglie, la condizione giovanile, il mondo del lavoro, la scuola, le comunicazioni, l’assistenza sanitaria…

Quando abbiamo preparato insieme il 50° della Casa di Cagnola (2019) abbiamo ripercorso la nostra storia e ci siamo resi conto di quanto anche per noi (dentro la casa) la vita sia cambiata! Bastano 3 ricordi del mio primo anno qua, lasciando a voi il confronto con l’oggi:

  • noi suore non avevamo uno smartphone, né sapevamo cosa fosse Watsapp o un account;
  • il dottore passava ogni lunedì, pronto ad ascoltare con calma e ad annotarsi tutto sui suoi fogliettini volanti;
  • il parroco di Cagnola abitava accanto a noi ed era l’unico sacerdote a presiedere l’Eucaristia in casa.

Papa Francesco qualche anno fa ce l’ha detto chiaramente:

«Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un'epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca». E se non bastava lui a farcelo capire, sono arrivate la pandemia e la guerra in Europa.

Io penso che debba cambiare anche la Chiesa e con lei le Case della Carità. Cosa voglio dire? Provo a spiegarmi.

La nostra Casa, in 53 anni, ha incrociato i percorsi di tantissime famiglie della montagna (e non solo), ha raccolto e seminato il Bene intorno a se’, ha accolto nel suo grembo persone fragili, per accompagnarle fino alla morte o per rimetterle in grado di continuare altrove il proprio cammino.

La Chiesa ci ha chiesto di fare tutto questo per annunciare un Dio che ama ogni essere umano in quanto tale e che per raggiungere ogni cuore ha mandato suo Figlio a condividere la nostra debolezza, per mostrarci che niente può impedirci di amare ed essere amati, né povertà, né malattia, né l’aver commesso sbagli, peccati o reati. Perché nel cuore di Dio c’è posto per tutti.

Ma la Casa della Carità non può assolvere questa sua missione di annuncio se lasciata alle forze o all’inventiva di un prete o della suora di turno. Ci vuole un “gioco di squadra”, in cui lo Spirito Santo è l’allenatore (il coach!), ma ha bisogno di affidare i vari ruoli a diversi giocatori. Per questo 3 anni fa abbiamo provato a creare un Consiglio di Famiglia, cioè una squadra di volontari di diverse parrocchie, che condivida i pesi e si faccia tramite con gli altri volontari e con il territorio. Sono stati anni di rodaggio, si può senz’altro migliorare, ma intanto siamo partiti con una nuova modalità di gestione, più collegiale, che ormai è necessaria.

 La terza parola è FIDUCIA.

Fiducia in Dio che non ci abbandona, se non lo abbandoniamo noi. E questo vale per me che parto e per voi che restate.

Fiducia nel bene che insieme abbiamo seminato perché a suo tempo porterà frutto.

Fiducia che, se qualcuno dovesse essersi allontanato per causa mia, mi perdonerà e possa riavvicinarsi.

Fiducia che i volontari uomini dimentichino le mie noiose istruzioni da suocera rompiballe e trattengano solo ciò che mi premeva trasmettere loro nel curare un ospite non-autosufficiente: ci sono indumenti estivi e ci sono quelli invernali, ci sono maglie della notte diverse da quelle del giorno, e così via…

La quarta parola è MEMORIA.

Voglio custodire nella memoria del cuore quello che voi, popolo della montagna, mi avete fatto incontrare e gustare:

  • l’incanto della Natura (i suoi colori, le sue voci e i suoi profumi... la fierezza della Pietra!),
  • l’attaccamento alla terra e ai suoi prodotti,
  • le coccole dell’arte culinaria,
  • la creatività dell’artigianato,
  • il fascino della musica e del teatro,
  • la tenacia della lotta per una società più equa e una cultura inclusiva,
  • la fedeltà di chi ama ad oltranza, oltre i limiti imposti dalla malattia.

Concludo, affidandovi la “Stazione Spaziale Internazionale Nostra Signora di Lourdes”. Raccontarvi le nostre giornate attraverso la metafora del viaggio interstellare durante e dopo il lockdown non solo è stato divertente, ma ci ha permesso di sorvolare con leggerezza il male che ha infestato tutto il mondo. Non so se il nostro comandante Ruozi la farà ancora decollare... io comunque scendo, sapendo di lasciare l’equipaggio in buone mani. È stato bello volare insieme e scoprire ogni giorno che il nostro vivere e viaggiare è sempre un intreccio misterioso di Cielo e di terra.

Vi raccomando sr. Elena: non lasciatela sola in questa fase delicata di conoscenza e non abbiate pretese: non è Wonder Woman.

Grazie della pazienza, buona continuazione del cammino quaresimale, non stanchiamoci di pregare per la pace e, come dice il Papa, non dimenticatevi di pregare per me.

Castelnovo Monti, 27 marzo 2022