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“Osanna, osanna” di don Paul Poku

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don Paul Poku

Il nostro cammino verso la Pasqua ci ha finalmente condotti alla Domenica delle Palme, dove ricordiamo l’ingresso di Gesù in Gerusalemme accompagnato dalla folla festante. Questo episodio rievoca la festa ebraica del Sukkot che ricorda i 40 anni trascorsi dal popolo d’Israele nel deserto, durante la quale gli Ebrei salivano al Tempio festanti agitando rami di palma.
Trovatosi «vicino a Bètfage e a Betània» (luoghi che rimandano alla risurrezione e all’ascensione), Gesù manda alcuni discepoli a cercargli un puledro da utilizzare come mezzo di trasporto. La scelta di cavalcare un puledro non è casuale. Si tratta infatti di un animale adatto al lavoro, che nell’immaginario biblico viene spesso contrapposto al cavallo, animale forte e adatto alla guerra: come questo era la cavalcatura degna di un Messia combattente e vincitore dei nemici d’Israele, così quello era invece adatto a un Messia umile e pacifico (cfr. Zc 9, 9).
L’alta valenza simbolica di questa scena è ancora più marcata se notiamo che Gesù manda i discepoli a cercare il puledro «nel villaggio di fronte». Il villaggio nel linguaggio biblico è il luogo di un popolo che difende le proprie tradizioni, che vuole restare chiuso nelle sue idee, che preserva ciò che ha ricevuto senza aprirsi alla novità (e infatti si oppone chiedendo: «Perché slegate il puledro?»). I discepoli inviati nel villaggio sono quindi chiamati a insegnarci ad abbandonare la vecchia idea di Messia come leader politico e guerriero per affrontare il cambiamento verso il Messia servo del Padre. Anche noi, come i discepoli, dobbiamo slegare questo puledro che è presente dentro di noi, dobbiamo cioè slegare la mitezza e l’umiltà racchiusa nel cuore degli uomini, per condurre tutti verso il Cristo.
Dopo aver eseguito il comando ricevuto, i discepoli, «gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù». Nella Bibbia i vestiti, e i mantelli in particolare, simboleggiano la vita del loro proprietario; mettendoli sul dorso degli animali, i discepoli sembrano avere capito la regalità di Gesù e perciò decidono di non risparmiare nulla per consegnare tutta la loro vita al Regno di Gesù. Inoltre, «mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada»; questo gesto di omaggio esprime sottomissione a una personalità potente, un re la cui importanza è tale da stare sopra la nostra stessa vita. La gioia dell’intera folla dei discepoli è infine testimoniata dalle parole di giubilo che pronunciavano: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!» (parole probabilmente ispirate a Sal 118, 24-27).
Chi non approva questa scena è un gruppo di farisei, che invitano Gesù a riprendere i discepoli festanti. Il verbo “rimproverare” si può intendere nel senso di “sgridare” e ricorda un’espressione usata all’epoca per esorcizzare i demoni; in altre parole, i farisei considerano questa folla urlante come indemoniata. Ma Gesù risponde a tono a questa loro richiesta: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre». Il senso di queste parole è più chiaro se consideriamo che Gesù stava probabilmente passando per la valle di Giosafat, dove erano presenti le pietre tombali dei morti sepolti in quel luogo: se taceranno i discepoli vivi, allora gli ebrei morti, che hanno atteso per tutta la loro vita il Messia, alzeranno le loro voci per proclamare la divinità di Gesù.
Cosa ci insegna questo brano? Che seppure Gesù sia il Signore, egli viene con umiltà nella nostra vita per servirci e condurci alla gioia della salvezza; prepariamoci quindi a festeggiarlo nel ricordo della sua Pasqua stendendo i mantelli sul suo puledro, affidando a lui le nostre vite e mettendoci alla sua sequela nel servizio e nella carità verso tutti gli uomini.

Osanna! Osanna! Buona domenica