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Al centro della riflessione domenicale di don Paul Poku ci sono gli effetti del Cristo Risorto tra gli apostoli

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don Paul Poku

La prima lettura di questa domenica, tratta dagli Atti degli apostoli, ci mostra i frutti della resurrezione di Gesù nella comunità dei primi cristiani. Grazie alla loro testimonianza, gli apostoli sono in grado di sanare le malattie del popolo (immagine della malattia spirituale che la fede in Cristo riesce a purificare). Ma questa testimonianza da cosa trae origine e vigore? La risposta a questa domanda ci viene fornita nel Vangelo.
All’inizio del brano di Giovanni troviamo quasi tutti gli apostoli riuniti a porte chiuse, per paura di incappare nelle ritorsioni degli ebrei che non avevano accettato il messaggio di Gesù. I discepoli, pur avendo conosciuto Cristo, pur avendo assistito alla sua evangelizzazione, all’ultima cena e alla sua Passione, hanno paura di professarsi cristiani; per questo chiudono le porte, rinunciando ad aprirsi al mondo. Non importa infatti quanto a lungo si sia camminato nella fede, per l’uomo è sempre possibile rifiutare la proposta cristiana. Non è un caso che nell’intera Sacra Scrittura l’espressione «Non temete» sia ripetuta per ben 365 volte, quasi come a dire che ogni giorno dell’anno dobbiamo confidare senza paura nell’amore del Signore.
Ecco che Gesù appare ai discepoli, all’interno della loro fragilità, dicendogli: «Pace a voi!». La pace che Gesù intende non è la semplice assenza di guerra, come noi siamo comunemente portati a pensare, ma piuttosto la serenità dell’anima, la sintonia con Dio e con gli altri: senza questa pace non possiamo essere evangelizzatori efficaci. Oltre a questo Gesù dona ai presenti lo Spirito Santo, così che siano in grado di testimoniare con le opere il loro annuncio di salvezza; infine concede loro la facoltà della remissione dei peccati, il dono che più rispecchia la volontà di perdono di Dio Padre.
Tuttavia il primo tentativo di evangelizzazione degli apostoli sembra andare a vuoto: Tommaso infatti non era con loro al momento della venuta di Gesù e si rifiuta di credere alle parole dei suoi fratelli. Ma perché non era con loro? Egli si sentiva forse abbastanza coraggioso da poter rischiare di andare fuori, nel mondo; probabilmente questa sua temerarietà lo faceva sentire più degno di conoscere per primo Cristo risorto. Ma attenzione: se era sbagliata la chiusura dei discepoli all’inizio del brano, altrettanto sbagliata è l’uscita di Tommaso; non è infatti frutto di una sincera chiamata all’annuncio, ma piuttosto di un atteggiamento troppo egoistico, evidente anche dalle sue parole («se non vedo [..] se io non metto […]»). Se Cristo apparve agli altri prima che a lui, è perché la Chiesa, benché più debole, è più importante del coraggio del singolo. Questo dobbiamo tenerlo a mente anche nella nostra vita quotidiana. Tommaso era chiamato Dìdimo, ovvero “gemello”: ma chi è il suo gemello? Siamo noi, ogniqualvolta non lasciamo abbastanza spazio allo Spirito Santo per agire nella nostra vita.
Quello che finalmente scioglie Tommaso è la visione delle ferite sul corpo di Gesù. Ma perché? Forse si è fatto impressionare? Forse era una prova scientifica? No, ma perché erano i segni visibili della sua Passione di Cristo, dell’amore che Gesù ha provato per lui e che lo ha portato a salvarlo. È solo grazie a questo, solo capendo di essere stato amato in un modo così grande, che Tommaso ha potuto convertire il suo atteggiamento da uno sterile egoismo a un’autentica fede nella Resurrezione di Gesù. Impariamo quindi a riconoscere i segni dell’amore di Cristo per noi, per avere la forza di annunciarlo a tutti i nostri fratelli.
Buona domenica.