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L’intervento di Bussi: “Aziende agricole sempre più grandi, ma…”

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Tutti gli esperti in ogni sede affermano che rispetto alle altre montagne l’Appennino reggiano riesce a rallentare lo spopolamento grazie a chi continua a coltivare campi e alleva nelle 300 stalle rimanenti per conferire latte ai 19 caseifici, in particolare alle latterie sociali dove completa un processo produttivo lungo due anni.

Loro con altri che raccolgono, allevano o coltivano il bosco per raccogliere energia sono la fonte che sostiene con flussi di denaro e qualità umane tutti gli altri attori legati a commercio-credito-servizi-artigianato-industria.

Però questa capacità di tenuta incontra due problemi. La storica carenza della cultura cittadina italiana non riconosce l’importanza fondamentale della presenza contadina per ogni società avanzata. Il settore primario ha perduto di recente un punto di riferimento locale, sicchè abbiamo cinque reparti bolognesi separati per agricoltura-animali-alimenti-ambiente-area montana col risultato di far crescere apparati di controllo e l’incapacità di seguire gli sviluppi con interventi adeguati. Il pregiudizio manifestato nel dibattito su Redacon conferma l’insipienza diffusa, c’è chi non s’accorge che ogni zona dove l’ultimo contadino chiude sprofonda in modo irrimediabile e per tutti dovrebbe essere chiaro che nessun individuo allevato cittadino è in grado di inventarsi contadino con la stalla.

Questa risorsa non sostituibile è affidata all’azienda agricola famigliare che prepara a vivere con risorse naturali, ad assumere ogni responsabilità senza guardare a ferie, ponti e fine settimana, a trasmettere ai figli competenze e mezzi sempre più rilevanti per confrontarsi col grande mercato degli strumenti e dei prodotti. Questa popolazione è una piccola minoranza fondamentale in ogni società moderna e ogni Paese avanzato evita la sua emarginazione fornendo apposite istituzioni pubbliche governate dai contadini per gestire ricerca, innovazione, formazione, uso corretto del suolo e funzionamento di servizi veri.

Tutto questo in Italia non esiste, il contadino sempre più raro e prezioso deve subire le favole della maggioranza cittadina che s’immagina un ambiente naturale non coltivato e custodito, che guarda al paesaggio ma non ai paesani e ignora chi ha dimostrato di essere capace di cambiare in ogni fase storica. Negli anni recenti la nostra regia urbana poco illuminata ha spinto l’azienda agricola verso una crescita esasperata delle dimensioni per rifornire il supermercato urbano che pretende prodotti a basso prezzo. Ora, di fronte al cambiamento epocale e al costo moltiplicato dell’energia, c’è chi afferma che ciascun contadino deve arrangiarsi per conto suo. E’ diffusa la convinzione che i numerosi apparati cittadini hanno diritto di stare aggrappati alle tutele vecchie e nuove, mentre l’ultimo capace di produrre in mezzo alla campagna ha il compito di correre di più senza l’organizzazione necessaria.

L’UE sostiene gli investimenti in agricoltura in modo uguale in tutti i Paesi membri e ogni Paese cura con propri mezzi il fattore umano. Solo l’Italia non ha dotato questa indispensabile minoranza con una istituzione pubblica amministrata da chi sa fare pur avendola promessa dopo la prima e la seconda guerra maledetta. Adesso l’Appennino reggiano può allestire la Green Community e non deve perdere questa occasione storica.

Enrico Bussi

3 COMMENTS

  1. Buongiorno, non è del tutto vero che in Italia non esista un modello organizzativo/amministrativo e legale che valorizzi l’economia agricola e socialità dell’agricoltura della montagna. Se vogliamo considerare Italia anche l’alto Adige, esiste da circa 300 anni la realtà del “Maso chiuso” e mi sembra che funzioni abbastanza bene anche in integrazione con il turismo e agriturismo. Poi le infrastrutture sopratutto quelle viarie e i servizi sociali chiudono il cerchio. Basta avere degli amministratori capaci, anche delle associazioni di categoria, che sappiano dirigere un territorio che deve crescere. Cordialità

    Conte da Palude

    • Firma - Conte da Palude
  2. Mi trovo d’accordo col pensare che le 300 stalle rimanenti sul nostro Appennino diano un forte contributo nel sostenere “con flussi di denaro e qualità umane tutti gli altri attori legati a commercio-credito-servizi-artigianato-industria”, e spero che abbiano a continuarsi e che possa rapidamente cambiare, e financo invertirsi, la storica carenza della cultura cittadina italiana nel non riconoscere l’importanza fondamentale della presenza contadina per ogni società avanzata, fino a non accorgersi che ogni zona dove l’ultimo contadino chiude sprofonda in modo irrimediabile (sempre mutuando le parole del dr. Enrico Bussi).

    Certo è che le tantissime aziende agricole, con rispettive stalle di piccola e media dimensione, diffuse sulla montagna reggiana fino a pochi decenni orsono, formavano anche un collaudato tessuto sociale – fattore a mio avviso di primaria importanza per un territorio – oltre ad essere fonte e motore di economia, con un ragguardevole indotto. Una “realtà” andata via via “affievolendosi” per una pluralità di ragioni, e fors’anche perché non siamo stati in grado di fornire alla stessa il “contorno”, e l’attenzione, che altre parti del Belpaese sono invece riuscite ad assicurare (vedi il commento del Conte da Palude)

    L’avvenuto “cambiamento epocale”, insieme ad eventuali altri che dovessero intervenire, potrebbe semmai indurre più d’uno ad entrare in agricoltura ma – oltre ai costi d’impianto di un’azienda agricola – non so quanto sia oggi recuperabile della cultura contadina di allora, che “faceva sistema” nonostante la sottovalutazione di chi ne era fuori, e vale forse l’amara conclusione di “Ex agricoltore”. Visto poi che qui si richiama il secondo conflitto mondiale, nel primo dopoguerra anche i “cittadini” avvertivano l’importanza dell’agricoltura, ma tale percezione si è andata via via sbiadendo (forse per la nostra memoria corta ?).

    P.B. 28.08.2022

    P.B.

    • Firma - P.B.