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Elda racconta: Quando i bambini giocavano

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Giorni fa mi sono recata a casa di un’amica e facendo l’ultimo tratto di strada a piedi, sono passata vicino a un quartiere con tutte case nuove ben distanziate fra loro e contornate da bei pratini verdi impeccabili, eppure sembrava un quartiere triste, senza vita.

Ma dov’erano i bambini? Sono loro che portano la vita, forse si trovavano sparpagliati nelle varie palestre, con scarpette e tute firmate, oppure davanti ai televisori con quelle diaboliche macchinette in mano? Per questo tutti quei cortili erano spenti, non una voce, non un grido di vittoria o un mugugno di sconfitta.

Una volta i bambini giocavano, appena uscivano da scuola si fermavano in gruppetti per divertirsi (cun al bucini) le palline di creta colorate, ogni maschietto ne aveva una manciata in tasca e facevano partite appassionanti come se fossero bocce da competizione. Non avevano nessuna fretta di rientrare a casa,
nessuna minestra si raffreddava, trovavano la casa vuota e solo un pezzo di pane (cun quel) con un po’ di companatico, lasciato lì per lui, i genitori si trovavano già nei campi e lui non aveva
nessuna fretta di raggiungerli.

In paese poi, in qualsiasi ora del giorno trovavi frotte di bambini che si rincorrevano, i passanti si scostavano, qualcuno brontolando, ma molti sorridevano a queste scorribande gioiose. Oppure si mettevano seduti in fila su un muretto e giocavano al telefono senza fili, i più coraggiosi facevano i Tarzan attaccati alle travi di ferro della fontana pubblica, oppure ne trovavi un gruppo che inseguiva calciandola una palla di pezza o una lattina vuota e ammaccata, per le vie del paese.

In quel paese c’era vita, le bimbe più piccole con qualche scatoletta di latta vuota allestivano la loro cucina su un gradino e giocavano “alla mamma” coccolando la loro bambolina, mentre le più grandi facevano le “signore” o si univano ai maschi per giocare a nascondino. Anche noi che abitavamo in campagna in case sparse sotto la Pietra giocavamo mentre pascolavamo le nostre poche pecore e qualche capra. I maschi si costruivano fucili con due bastoncini di nocciolo sovrapposti e tenuti fermi da due chiodini che sparavano piccoli elastici, o fionde ricavate ritagliando una vecchia camera d’aria di una bicicletta, oppure cerbottane costruite svuotando con pazienza un ramo di salice dove inserivi una pallottola di stoppa, queste le preparavi in anticipo arrotolandole e pressandole bene con le dita poi le imbevevi di saliva
masticandole in bocca, così soffiandole con forza dentro al tubo, la sparavi contro al nemico. Allora si giocava ancora alla guerra divisi in due squadre (partigiani e tedeschi) poi più tardi con l’arrivo dei giornaletti i vari Tex Willer l’Intrepido, eccetera, passarono a (Indiani e cowboy).

In quel periodo e anche più tardi esisteva ancora la chiamata “alla leva” e i maschi sapevano che da grandi avrebbero fatto il soldato come i loro zii e i loro fratelli più grandi, forse per questo sentivano questo richiamo e il gioco della guerra li attirava. Le bimbe poi si divertivano a vestirsi fantasiosamente con la vitalba (al gusedre) o a intrecciare ghirlande di margherite formando prestigiose collane e braccialetti.

Giocavamo dando sfogo alla nostra fantasia e alla nostra manualità e nel frattempo socializzavamo, giocare era anche questo. Ma ditemi, adesso cosa fanno questi bimbi? Solo esercizi studiati così alla fine tutti avranno un fisico perfetto, qualche gara competitiva, che dopo la prima delusione non faranno più, perché non si divertiranno per niente e faranno solo fatica. In questo modo non faranno mai funzionare la loro fantasia personale e non useranno le loro capacità. Si lo so che li mandate a giocare all’asilo o all’oratorio, ma sono sempre controllati da un adulto, non in perfetta libertà come facevamo noi, quando non esisteva ancora l’orologio e solo quando il sole tramontava ti accorgevi che era ora di rientrare o sentivi la Celide che chiamava a gran voce i figli: “Adrianooo!…Francooo!!…

Quando poi col brutto tempo restavamo in casa, costruivamo cappelli da alpino coi giornali, ornati da una penna di gallina, che andavi a cercare nel pollaio, meglio se era nera, oppure barchette che galleggiavano dentro a un catino pieno d’acqua e areoplanini. Questi ultimi poi volavano anche in classe, quando la maestra aveva lo sguardo abbassato su un quaderno, anche quello era un modo di giocare anche nei momenti più seri. Comunque il bambino di una volta usava molto la sua fantasia e imparava la manualità costruendo questi giocattoli da solo.

Con tutto questo non voglio prendere il posto delle migliaia di pedagogisti che hanno studiato e continuano a farlo per il bene dei bambini, vi dico semplicemente da nonna, lasciate giocare i vostri figli, lasciateli scendere in cortile, naturalmente non sto parlando delle città, ma della nostra montagna dove c’è ancora qualcosa di buono, cerchiamo di mantenercelo. Naturalmente nel cortile incontreranno gli altri, voi mamme controllateli pure dal momento, che come dite voi non sono più i tempi di una volta, ma sappiate che “l’orco” esisteva anche allora ed erano i più grandi a insegnare ai piccoli di non ascoltare e scappare da certe persone.

Come dicevo controllate, ma non fate le chiocce quando il bambino correrà da voi puntando il dito verso qualche coetaneo, minimizzate l’accaduto e sorridete all’altro, i bambini non sanno cosa sia l’odio se voi non glielo insegnate. Altrimenti cosa farete quando sarà più grande e punterà il dito verso un professore? Lasciateli sporcare e sporcarsi, non insegnate loro come devono fare, lasciateli usare la loro fantasia. Così impareranno a loro spese anche la manualità, dal momento che nei giovani d’oggi non ce né molta, le ragazze sanno truccarsi, ma non sanno infilare un ago e attaccare un bottone, e i maschi sanno smontare il motore dello scuter, ma non sanno rimontarlo nel modo giusto e non sanno che un martello serve per piantare chiodi sul legno per poter ricavarne cose piacevoli e fantasiose.

Forse ho esagerato un po’, ma se aprite gli occhi vedrete che non mi sono sbagliata di tanto.

Elda Zannini

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