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Elda racconta: Ottobre

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ELDA RACCONTA: Ottobre

Questo è un mese dove nei miei ricordi, non si affacciano grandi ricorrenze religiose, mi sovviene San Francesco il 4 ottobre, soltanto perché era l’onomastico di mio cugino Cesco, però non ho dimenticato questi gran campi arati che venivano ripassati, sempre coi buoi che tiravano “al rebgun” un erpice coi lunghi denti che frantumavano le grosse zolle e i vecchi con la zappa che cercavano di appianare il terreno il più possibile. Poi passava il seminatore che portava al braccio un largo secchio o un “cavagn dàla smenta” che poi era un cesto molto fitto col fondo di legno pieno di grano, lui seguiva linee ben precise e con andata e ritorno, spargeva sul terreno manciate di chicchi, mentre i buoi ripassavano con l’erpice più piccolo a denti corti che ricoprivano il tutto.

Nelle aie si spaccava la legna da bruciare durante l’inverno e si accatastava sotto al portico, che serviva anche da ricovero per i vari attrezzi da lavoro.

Le donne non dovevano più andare nei campi, allora preparavano la casa per accogliere l’inverno nel dovuto modo, lenzuola pulite e bucato con la cenere, ci volevano ben due giorni, di pentoloni di acqua bollente che filtrava piano piano in mezzo ai panni e l’occhio sempre attento ai bimbi, quanti di questi portavano sulla pelle cicatrici fatte da scottature e tanti non sopravvivevano se cadevano dentro a uno di quei pentoloni. Poi tiravano fuori dai cassoni la coperta imbottita, ne avevano una sola matrimoniale fatta con la lana delle loro pecore, i bambini di solito avevano letti dove dormivano ammucchiati e si scaldavano fra loro. Ricordo mio padre quando raccontava che loro in un letto matrimoniale addossato al muro, dormivano in sei, il primo a coricarsi passava la notte tranquillo, ma per l’ultimo era una lotta continua per avere un lembo di coperta e non scivolare giù dal letto. Torniamo alle donne, che in quel periodo lavavano anche i vetri per avere più luce in casa, questa era un’operazione che si faceva solo due volte all’anno, a Pasqua quando il prete passava a benedire la casa e in autunno. Non esisteva tutta quella mania di pulizia che c’è il giorno d’oggi, non ne avevano neanche il tempo materiale. Il lavoro nei campi al servizio del marito, nella stalla a mungere le mucche o le pecore, fare il formaggio, cucinare per una tavolata di persone giornalmente e crescere una nidiata di figli, noi quando ero piccola eravamo in cinque fratelli e per un lungo periodo abbiamo ospitato un cugino, Renato che era rimasto orfano, dove potevano trovare il tempo per le pulizie?

Le anziane che ho conosciuto in passato, mi raccontavano, che avevano conosciuto donne che avevano partorito da sole, in campagna mentre pascolavano, proprio come facevano le loro bestie e tornavano a casa col piccolo avvolto nel grembiule. Mi veniva la pelle d’oca quando lo sentivo raccontare e voi ragazze d’oggi che vi lamentate per aver scoperto un piccolo brufolo sulla fronte, cosa ne pensate?

Si avete ragione ora i tempi sono cambiati, ma ricordatevi che questo lo dovete a noi, donne d’altri tempi che abbiamo avuto la forza di alzare la testa.

Torniamo a ottobre, il primo giorno del mese si riaprivano le scuole, non so se ve ne ho mai parlato, ma io la prima elementare non l’ho fatta. Finita la guerra da poco mi accompagnarono a sostenere un esamino, che si teneva in una stanza del teatro, dove una commissione composta da quattro insegnanti mi interrogava, e mi faceva scrivere e far di conto sulla lavagna, mi chiesero come si chiamava il nostro stato e la nostra provincia, poi recitai una lunga poesia, e alla fine mi rilasciarono una pagella con l’intestazione “Comitato Nazionale di Liberazione zona Montana” che con quattro “Buono” mi ammetteva alla seconda elementare.   Se ho dato quest’esame, lo devo a mio fratello Nello che durante il conflitto con tanta pazienza, fece da maestro a noi due piccoli. Vi dirò che in questa pagella non c’è nessuna data solo le firme degli insegnanti, ma penso che fosse il 1945. Così non persi un anno come tante mie coetanee, ma che fretta poi hanno avuto, tanto dovevo arrivare fino alla quinta.

Andare a scuola per me fu un grande evento, aspettavo quel giorno con trepidazione, la mamma mi aveva cucito un grembiule nero, dovete sapere che lei non sapeva solo vangare e zappare, ma aveva due mani da fata, sapeva cucire e ricamare, anche ai maschi della famiglia confezionava pantaloni e camice da lavoro.

Questo grembiule nero mi stava molto bene, il corpetto e la gonna tutta arricciata erano di una bella stoffa che assomigliava alla seta, ma purtroppo mancava la stoffa per le maniche, perciò aveva usato un pezzo di tela di cotone, opaca e non leggera come il resto. Quelle maniche mi pesavano molto, me ne vergognavo, cercavo sempre di tenere le braccia dietro la schiena per non farle notare.

I miei primi tre anni di scuola furono bellissimi con una grande insegnante “Iolanda Lusenti” sempre calma sorridente che ci insegnava storia come fosse una favola, non avevamo bisogno di stare delle ore sui libri, mentre lei spiegava ti immergevi nelle sue parole e conoscevi Achille, Elena, Polifemo, Ulisse, i sette re di Roma… Poi c’era il tema che a me piaceva tanto, perché potevo dar sfogo alla mia fantasia, un po’ meno l’aritmetica e le tabelline.

Come dicevo i primi tre anni sono volati, ma arrivata in quinta non trovai la mia adorata maestra, ce n’era un’altra che urlava e sbraitava, non riusciva a farsi ubbidire dalle ripetenti che abbiamo trovato in quell’ultimo anno, erano negli ultimi banchi, perché più alte di statura, certe superavano in altezza la maestra. In classe c’era sempre un gran brusìo, mi impegnavo quando c’era il tema, volevo farmi notare da lei, ma lei lo leggeva poi mi scrutava coi suoi occhi di ghiaccio e io orgogliosa non abbassavo i miei, forse per questo mi puniva chiamando la figlia di qualche signorotto:

“Vieni cara porta questo alla maestra dell’altra classe che lo legge ai suoi scolari”.

Poi quando incontrava mia madre, le diceva che doveva farmi continuare a studiare, ma con quali soldi? Già c’era mio fratello in seminario a Marola che prosciugava il portafogli, io questo lo sapevo perciò non chiedevo niente. Infine loro decisero che dovevo diventare una sartina, come era stata mia sorella, un lavoro che ho portato avanti tutta la vita, per me era un dovere, ma mai fatto con amore.

Ora lasciamo perdere questa storia personale e torniamo a ottobre che è già arrivato, un mese che mi piace, mi dà un senso di pace di tranquillità, con questo sole che illumina senza cuocere le persone, il cielo di un azzurro intenso, che mi ricorda tanto gli occhi di mio padre, solcato da strisce bianche lasciate dagli aerei e io e mia cognata sedute alla “spulicia” davanti a casa, che poi è un posto riparato e baciato da questo sole autunnale, li contiamo e li guardiamo sognando di volare con loro. I colori del bosco che cambiano, adesso lo chiamano “foliage”, ma non c’era una definizione in italiano? Sta mania di parlare straniero! Comunque il bosco lungo i pendii della mia amata Pietra tutti i pomeriggi, illuminato dal sole, diventa magico, prendendo queste gradazioni che vanno dal verde scuro al verde chiaro, al marrone, poi al rosso, al rossiccio e al giallo è un tempo di attesa, ma anche lui scorrerà via in un baleno, chissà perché, ma quando si è vecchi il tempo vola. Arrivederci a novembre!

(Elda Zannini)

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