Home Diocesi ne' Monti Don Paul: “Come possiamo vivere la regalità di Cristo nella nostra vita?”

Don Paul: “Come possiamo vivere la regalità di Cristo nella nostra vita?”

80
0

Domenica 24 novembre 2019
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo (C)
(2 Sam 5,1-3; Sal 121, 1-2.4-6; Col 1,12-20; Lc 23,35-43)
“”.

don Paul Poku

Con la festa di oggi, la solennità di Cristo Re, siamo giunti alla fine di questo anno liturgico. Ma cosa vuol dire che Cristo è re? E come possiamo vivere la regalità di Cristo nella nostra vita?
Nella prima lettura il protagonista è un altro re: assistiamo infatti all’incoronazione di Davide (a cui Gesù sarà in seguito accostato con l’appellativo “figlio di Davide”) da parte degli anziani di Israele. Tuttavia questo è un re secondo la prospettiva umana: è infatti stato scelto dai capi del popolo e per un motivo preciso, quello di guidare Israele come un buon pastore deve guidare le proprie pecore. Tuttavia il senso teologico di re è molto diverso da quello umano. Esso è spiegato nel primo paragrafo della seconda lettura, dove Paolo afferma che il regno di Dio consiste nel passaggio dalle tenebre del peccato alla luce dell’amore, della redenzione, del perdono dei nostri peccati; la seconda parte del brano elenca tutti quegli attributi che appartengono a Gesù in quanto Re dell’universo, vertice della creazione e capo della Chiesa.
Quando noi pensiamo alla figura di un re ce lo immaginiamo seduto su un trono, vestito di abiti preziosi, con la corona, attorniato dai suoi dignitari, protetto dalla guardia reale e amato da tutti i suoi sudditi. Ci aspetteremmo che anche Gesù, in quanto Re del creato, sia circondato di gloria e di potenza in questo modo; invece la sua corte, descritta da Luca nel brano del vangelo odierno, è ben diversa. Gesù è al centro, non seduto sul trono ma inchiodato sulla croce; non vestito di tessuti preziosi, ma dei pochi stracci che gli sono stati lasciati; non incoronato da oro e gemme, ma da rovi spinosi. Intorno non ha un popolo ossequioso o festoso, ma un popolo che «stava a vedere». I capi del popolo non gli porgono omaggio, ma lo deridono, così come anche i soldati che non sono affatto lì per proteggere la sua persona. Infine, al suo fianco non ha due consiglieri, ma due malfattori che subiscono la sua stessa triste sorte.
Ci sono alcuni elementi degni di nota all’interno del brano. Innanzitutto la frase «Se tu sei il Cristo, salva te stesso» ripetuta pur con qualche differenza per ben tre volte in momenti distinti. A ben vedere questa formula ha la stessa forma delle tentazioni che il diavolo ha presentato a Gesù nel deserto (“Se tu sei il figlio di Dio…”); in effetti questa è l’ultima e la più estrema forma di tentazione a cui Cristo è stato sottoposto, proprio in tale momento di estrema sofferenza e fragilità. Un altro dettaglio consiste nei soldati che porgono a Gesù aceto da bere. In senso biblico l’aceto rappresenta la degenerazione del vino: se questo è il simbolo della gioia e dell’amore, quello è il simbolo della cattiveria e dell’odio. Quel Gesù che aveva trasformato l’acqua in vino alle nozze di Cana (segno del suo amore rinnovato e donato a noi), ora riceve dagli uomini aceto invece che un po’ d’acqua per placare la sua sete.
Ma i personaggi più interessanti sono senza dubbio i due ladroni che accompagnano Gesù nella sua lenta agonia; essi rispecchiano infatti due atteggiamenti opposti con cui l’uomo può porsi di fronte all’amore di Dio. Il primo dei due cerca di ottenere la salvezza dalla sua situazione di morte; ma si tratta di una salvezza superficiale, che si esaurisce nel scendere dalla croce insieme a questo sedicente figlio di Dio (deriso per la sua impotenza). Il secondo parte invece da tutt’altra prospettiva. Egli è infatti perfettamente consapevole del crimine commesso e delle sue conseguenze, e non cerca di ottenere da Gesù facili scappatoie per sfuggire al suo destino; ma riconoscendo il Cristo in questa vittima innocente, gli chiede solo di essere ricordato quando sarà nel suo regno. Ed è qui, nella risposta di Gesù a tale sincera richiesta, che la grazia del perdono citata da san Paolo esplode in tutta la sua azione redentrice: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Si nota subito lo scarto tra il verbo futuro scelto dal buon ladrone (“entrerai”) e il tempo presente della risposta (“oggi”), quasi che la grazia di Dio abbia immediatamente corrisposto la sete d’amore di quest’uomo. Ma soprattutto colpisce il rimando al paradiso, il luogo della gioia, l’Eden dell’inizio dell’umanità. Non è un caso: la storia della salvezza, iniziata nel paradiso terrestre, termina lì, sotto la croce di Cristo; ed è lì, dove l’amore Dio raggiunge il culmine, che comincia il regno del Re dell’universo.
Buona domenica