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Monte Cusna mon amour, racconto di Alberto Bottazzi

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Nel sospirato momento in cui si vede stagliarsi all’orizzonte il monte Cusna, ci si sente profondamente bene, come ravvisando la presenza di uno spirito benevolo che veglia su di noi. Campeggia tra terra e cielo la figura del gigante buono, vestendo camicia di raso bianco satinato sotto i tiepidi raggi del sole d’inverno. Le rughe del tempo non hanno deturpato il suo profilo d’eterno giovanotto e chi ha la fortuna di contemplarlo dalle finestre ringrazia il Creatore per essere stato concepito suo vicino di casa. Nell’aprire lo scrigno prezioso dei ricordi c’è sempre il suo volto a rammentare il mio cammino, le mie radici, sia che indossi il manto nevoso  o il grigioverde delle pietre, nel rombo del tuono e nella luce del lampo, nel cicaleccio ferragostano o nel crepuscolo della sera.

Ho scalato la sua vetta, sono arrivato fino alla cima e in un momento di abbattimento per stanchezza la sua anima mi ha preso per mano e accompagnato generosa al suo cospetto, come fa una mamma con il suo bambino tentennante che barcolla ai primi passi. Senza il conforto del suo spirito non sarei mai riuscito ad appagare il mio desiderio di abbracciare la sua croce.