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Riconoscere il merito e soddisfare i bisogni

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Riceviamo e pubblichiamo

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Riconoscere il merito e soddisfare i bisogni

Negli anni Ottanta, prese corpo in casa socialista un concetto molto scarno e succinto, ma altrettanto esplicito ed indicativo, che rimarcava inoltre il primato della politica, ossia quello di  riconoscere i meriti e  soddisfare i bisogni, un’idea rimasta poi incompiuta (causa le note vicende che portarono alla immeritata fine del PSI)  salvo vederla oggi riemergere dopo quattro decenni, e dopo che i portavoce ed assertori  delle politiche sociali hanno nel frattempo guardato soprattutto ai bisogni, “trascurando” per così dire la fascia dei meriti.

Un riaffiorare a dire il vero ancora un po’ “tiepido”, anche per l’alzata di scudi subito levatasi, ma sta forse maturando una crescente consapevolezza di dover rapidamente  frenare, e possibilmente recuperare, la cosiddetta  “fuga di cervelli”, fenomeno in atto ormai da parecchio tempo e che ha incrinato le potenzialità del Belpaese, e lo si può fare,  o quantomeno  tentare, premiando il merito, e altrettanto può valere in qualsivoglia settore per gratificare quanti svolgono il proprio lavoro con competenza, dedizione, ecc ..

Non di rado l’essere abbiente o benestante è frutto di impegno, costanza, talento  ….

Nel contempo pare notarsi pure un qualche ripensamento verso la “ricchezza” - rispetto a quando c’era chi avrebbe voluto “farla piangere” - perché fors’anche tra i suoi vecchi ed accesi critici ci si è resi forse conto che non di rado l’essere abbiente o benestante è frutto di impegno, costanza, talento, spirito d’iniziativa e imprenditorialità, ecc ..., doti abbastanza tipiche delle attività autonome,  e che nel giovare economicamente all’interessato possono  recar altresì beneficio  a diversi  altri,  col generare  occupazione e relativo reddito.

Va da sé che una inversione di marcia di questa natura, o anche un solo cambio di passo, non può avvenire “in quattro e quattr’otto”, ma richiede la necessaria gradualità, onde evitare innaturali accelerazioni che a loro volta possono provocare  indesiderabili scompensi, o indurre a passi falsi, e un tale insieme di  gradualismo e progressività si sarebbe probabilmente realizzato se quarant’anni fa non si fosse forzatamente interrotto quel percorso virtuoso di cui dicevo, e che ora andrebbe riavviato con un giusto incedere.

Posso sbagliarmi vista la complessità della materia, ma seppur con aree di resistenza pare farsi strada la convinzione che il doveroso aiuto ai bisognosi e meno fortunati richiede le necessarie risorse da mettere sull’altro piatto della bilancia, per non “squilibrare” il Paese, e non si dovrebbe quindi “imbrigliare” la “produttività” di chi ne è capace e versato, comprimendola con un eccesso di imposizioni e carichi fiscali (come avvio basterebbe che chi sta guidando il Paese desse intanto segni di voler andare in questa direzione).

P.B.