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Blanco e Mina

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Inizia Blanco, in fil di voce, quasi in farsetto, per anticipare la possente voce di Mina, grave, ingombrante. Un gatto porta lo sguardo entro una villa patrizia, con tanto di colonnato dorico.
La canzone ambienta la prima strofa in una strada di città in cui il ragazzo è cresciuto, giocando a pallone, sulla strada sterrata mentre lei, la diva, indugia su un cielo bordeaux dove Dio crea distese di niente. L’ambientazione è ricercata, un bianco e nero in cui Blanco indossa un soprabito e porta i capelli indietro in gelatina, fuma elegante, come in altri tempi, al rallentatore. Il gatto si intrufola in villa e la canzone di apre.
Quando all’alternanza delle due voci segue il ritornello cantato insieme, la pelle non può far altro che alzarsi come le oche, non si resiste alla melancolia, ogni cosa deborda e ci si immerge in qualcosa di artistico. L’arte non ha nome né patria e per questo è bandita dal lusso e dagli onori ma scuote le fondamenta dell’esistenza, così, ad un battito di ciglia.
Si va in cerca della diva che compare a sprazzi, furtiva, felina mentre Blanco intona le strofe affacciato ad una finestra ad oblò. Quando ad un primo boccone ti si chiude lo stomaco, allora ci sei dentro fino al collo. È amore, è arte. Difficile distinguerli dalla follia, vestono gli stessi passi fruscianti. Ma per fortuna ci si trova, anche se un po’ stropicciati, ognuno lo sa, sotto un chiaro di luna e i capelli diventano una matita per farne poesia, per un briciolo di allegria.
Mina in fondo al corridoio appare di sfuggita, vestita come un samurai oscuro dalla lunga treccia annodata. Ora tocca a lei la strofa. La voce si alza e sommerge il giovane Blanco. Estensione vocale ancora prodigiosa per l’età. Mentre il ragazzo si mette a cantare più sommesso, riflettendo quanto sia difficile distinguere l’amore dalla follia: l’artista vive sempre in bilico fra la realtà e l’illusione, pericolosamente attratto dal precipizio.
Se l’amore è vero, muori dentro, scompare e annega il tuo io per fondersi con l’altro, senza barriere protettive, un salto nel vuoto, senza rete, senza lucciole. Ma per fortuna torna di nuovo il chiaro di luna e anche l’amore si fa sopportabile, con tutto il suo ingombro di verità svelate. Torna il sorriso del ragazzotto mentre la diva è uscita in giardino. L’amore che vive dentro noi non invecchia, non sbiadisce mai, proprio come una polaroid. Le rinnovate speranze del giovane e le spente illusioni della donna matura.
Lei, al fine, sommerge di nuovo la propria voce, lasciando lo spazio di un’illusione che dura poco, per sopravanzare in uno strimpello di un fine gorgheggio con la sua maestria. Per tornare alla mente, l’amore ha bisogno di una memoria condivisa. Alla fine il gatto fugge. Innamorati, folli e poeti: che altro! L’arte se ne va così come l’amore. Un solo briciolo di allegria.
Ra-pa-pa-pa-pa-pa.
(Maria Chiara Baldini)