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Elda racconta: L’immondizia

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Sono arrivati con un furgone carico di bidoni e bidoncini nuovi. Ecco ci risiamo si cambia ancora e noi vecchi facciamo fatica a doverci riabituare alle nuove usanze.

Vi dirò, per me non cambia un gran che, già plastica, carta, e vetro è da un bel po’ che la portiamo nei bidoni appositi laggiù vicino al cimitero, poi praticamente abito in campagna e il posto per tenere i nuovi bidoni ce l’abbiamo, prima ne avevamo uno solo grande che serviva per quattro famiglie ora ne abbiamo otto tutti là in fila come tanti soldatini sull’attenti, che aspettano di essere svuotati.

Adesso prendiamo a caso un vecchio che vive da solo in un mini appartamento al secondo o terzo piano e senza balconcino, come se la caverà? Già i bidoni sono grossi non ci stanno sotto al lavandino, io ci ho provato, ma proprio non si riesce ad aprirlo. Quello dell’indifferenziata, che a noi vecchi sarà molto comodo per eliminare uno spazzolino o una biro, ma purtroppo tanti di noi usano mutande “usa e getta”, oppure salva slip o “pisun” come li chiamo io, tanto per intenderci meglio e non ridete, perché prima o poi ci arriverete anche voi e io ve lo auguro di cuore di invecchiare.

Torniamo a queste persone che la sera del giorno stabilito dovranno scendere le scale col bidone bello pigiato. Se sono soli, chi glielo farà? Chi glieli porterà in fondo alla scala? I figli che magari abitano a qualche chilometro, dovranno addossarsi anche questo?

I bidoni sono già pesanti vuoti immaginatevi se sti vecchi saranno capaci di portarli fuori quando saranno pieni e ben calcati, l’indifferenziata non viene ritirata spesso, se poi per caso mi sbaglio, correggetemi pure, non è mai troppo tardi per imparare.

Torno con la mente ai tempi passati, quando a Castelnovo non c’erano gli abitanti che ci sono ora e chi si occupava dell’immondizia era Nino Viappiani detto Paciarra cioè “pacere”. Aveva una mula che si chiamava Gina, l’attaccava al carretto dell’immondizia con le sponde alte e chiuso sopra da due lunghi sportelli che lui apriva durante il carico e lo scarico. Ogni mattina faceva il giro del paese, a ogni fermata prestabilita suonava la trombetta che portava al collo e a quel segnale tutte le massaie uscivano di casa col loro secchio e lo vuotavano nel carretto, poi ripartiva:

“ Dai!...Gina ch’iandema!” Dai Gina che andiamo.

Così fino alla fermata successiva e per tutta la mattinata.

Quando aveva finito il giro andava a scaricarlo all’ammasso, dove ora sorge Piazzale Mateotti, vi dirò che lì sotto l’asfalto, c’è tutta l’immondizia portata lì per anni da questo spazzino, ci finivano anche i rifiuti dell’ospedale, sì anche quelli li raccoglieva lui una volta la settimana, apriva lo sportello di quel grosso camino là dietro in via della Pieve e con la pala caricava tutto sul carretto. Sì allora si faceva così e forse questo non andava proprio bene. Come vedete in tutte le cose c’è sempre il pro e il contro.

Poi vi racconto anche che la mattina della vigilia di Natale, la signora Emma “di Maranghìn” invitava tutti gli spazzini del paese in casa sua e offriva a tutti la famosa “brusca” e la spongata fatta da lei, perché non c’era solo il carretto che girava, ma anche quelli che spazzavano tutte le vie e i marciapiedi del paese, ma perché poi noi non siamo stati capaci di portare avanti la bella usanza di questa signora? Forse ci siamo lasciati prendere da questa fretta che ci sta attanagliando sempre più.

Dal momento che siamo arrivati dietro l’ospedale voglio ricordare che lì dietro c’era anche la lavanderia di questo, le lavandaie pulivano tutto a mano, senza guanti, poi in grossi pentoloni facevano il bucato con la cenere usando poca varechina, quest’ultima costava la cenere no. Lavavano lenzuola, traverse e camici in questo modo, donne che sono invecchiate su quei lavatoi, come la Felicita, mamma di Marinello Cosmi, la Primina, mamma del “Nigher” e della Luisa Tamagnini, la Domenica nonna e Lea mamma dei fratelli Bedeschi e molte altre, perciò non lamentatevi donne se lavorate, lo hanno fatto anche le vostre nonne e le vostre mamme e alle volte erano lavori usuranti, che voi non accettereste mai.

Torniamo all’immondizia, allora se ne faceva poca, non esistevano le confezioni incellofanate di adesso, la pasta, il riso, la farina, e anche il sale si vendevano sfusi, ognuno da casa si portava il suo sacchettino di stoffa che si usava come contenitore, solo lo zucchero veniva avvolto nella famosa “carta da zucchero blu” che poi era ottima da mettere scaldata e unta di burro, sul petto dei bambini quando erano febbricitanti e pieni di catarro. Oppure quella gialla che veniva usata per avvolgerci la pasta, era molto comoda per sfregare la superfice della stufa, poi veniva bruciata. Anche per l’olio, l’aceto o la varechina, portavi da casa la bottiglia di vetro, nel negozio poi usavano il misurino da un litro o mezzo litro e ti davano quel che ti serviva.

Non esisteva questa plastica che ormai ci sta soffocando, ma vetro, solo vetro lavato e rilavato e usato mille volte e guai a rompere una bottiglia o un fiasco, ricordo anche i bei sacchetti di stoffa di cotone bianco con ricamato su la parola “pane” e la sporta di paglia per la frutta e la verdura sfusa.

I pannolini “assorbenti” erano di lino o cotone, quando ti sposavi dovevi averne un numero tot, perché dovevano bastare fino alla vecchiaia. In famiglia ridiamo ancora di cuore quando torniamo coi ricordi a quel giorno che aspettavo gente e i miei bambini mi aiutavano apparecchiando il tavolo e uno di loro li aveva trovati belli stirati nell’armadio e li aveva messi come tovaglioli, con sopra ben allineate le posate, ho appena fatto in tempo ad accorgermene.

Come c’erano quelli, era così anche per i pannoloni dei bambini piccoli, triangolini e “ciripà” anche loro lavati e rilavati all’infinito, tramandati dal primogenito all’ultimogenito, io i miei tre figli li ho allevati così, forse non erano molto comodi, ma almeno non si inquinava niente.

Poi ci siamo lasciati tutti prendere da queste comodità, le donne lavorano tutte fuori casa, perciò hanno poco tempo e questo “usa e getta” è diventato una moda e gli stipendi non bastano mai.

Finiamola qui, mi sto accorgendo che il mio racconto, sta diventando una paternale.

Elda Zannini

2 COMMENTS

  1. Grazie Elda della sua testimonianza; dovremmo ricordarcelo più spesso di quanto le donne un tempo hanno faticato. Mi ha profondamente colpito il lavoro delle lavandaie dell’ospedale…se penso che ora si ha paura di tutti i microbi. Un caro saluto.

    Rosaria

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