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“La diga di Vetto? E’ un progetto da considerarsi superato”

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“Lo diciamo subito a scanso di equivoci: noi siamo contrari al grande invaso per quanto riguarda il fiume Enza”.

Attacca così Duilio Cangiari di Europa Verde, per suggellare la presentazione, avvenuta ieri mattina ai Chiostri della Ghiara, a Reggio, del ‘Manifesto per la salvaguardia del torrente Enza’, sottoscritto da tutte le più importanti associazioni ambientaliste, locali, e regionali, tra cui anche il WWF Emilia Centrale, Legambiente Emilia Romagna, l’Università Verde di Reggio Emilia, l’Associazione Terre di Canossa, La Federazione Nazionale e la sezione Val d’Enza di Pro Natura, e, infine, la Lipu. Al tavolo dei relatori, oltre allo stesso Cangiari, erano presenti Valterio Ferrari, consigliere comunale a Bibbiano nonché presidente di ‘Salviamo il Paesaggio’, Bakar Diop, presidente di Legambiente Reggio Emilia, Daniele Bigi del WWF Emilia Centrale, e Luciano Gobbi di Università Verde.

I protagonisti della conferenza stampa ai Chiostri della Ghiara

“Con questo manifesto (un documento di nove pagine estremamente dettagliato, ndr) vogliamo dare un contributo fattivo, concreto, costruttivo, su un tema, quello delle risorse idriche, che oggi è intriso di ideologia,  valutazioni strumentali e interessi di parte” spiega Cangiari.

“E’ necessaria un’operazione verità, in cui ai cittadini si deve spiegare in modo trasparente che c’è una via più sostenibile e meno costosa di sviluppare l’utilizzo delle risorse idriche del nostro territorio – prosegue -. La diga di Vetto, non è una risposta soddisfacente dal nostro punto di vista, con un impatto molto forte sul piano ambientale, con una progettualità molto dilatata nei tempi, mentre alcuni interventi si potrebbero fare già adesso, ad alto valore aggiunto, e, infine, con costi enormi a carico della popolazione: basti pensare che il 2% dei costi contenuti nel progetto vanno alle spese di manutenzione. Insomma, il nostro messaggio è quello che c’è un modo nuovo e moderno per poter affrontare il tema delle risorse idriche sul territorio”.

Si parla di ricarica delle falde acquifere, dell’utilizzo delle cave come luoghi per ‘conservare’ risorse idriche – “Come ha fatto il comune di Casalgrande, mentre altrove si usano le cave come luoghi per costruire impianti per il fotovoltaico”, sottolinea Valterio Ferrari  -, l’ottimizzazione di laghetti aziendali e l’utilizzo delle casse di espansione per fini irrigui. “Tutti interventi che potrebbero essere fatti immediatamente con costi tutt’altro che spropositati. Vi do un parametro: un progetto dell’Università di Siena per la ‘ricarica’ assistita delle falde in Toscana per 2 milioni di metri cubi d’acqua, costerebbe 509 mila euro; mentre la riqualificazione della traversa di Cerezzola, un’opera improcastinabile, per 100 mila metri cubi d’acqua il costo previsto è di 16 milioni di euro. Direi che la tematica è tutta qui”.

Fiume Enza

Con, sullo sfondo anche il famoso ‘contratto di fiume’: “Che riteniamo sia uno strumento molto valido perché ‘mette a sedere’ e confrontarsi tutti i portatori d’interesse sulle tematiche idriche – conclude Cangiari -. Diventa importante nel momento in assume il ruolo di uno strumento libero e trasparente, non legato o imbrigliato in schemi precostituiti. In quel caso, anche un’iniziativa lodevole, rischierebbe di trasformarsi un boomerang”.

“L’importante valore naturalistico dell’alto Enza”.

Per Daniele Bigi del WWF Emilia Centrale: “L’approccio del grande invaso è vecchio, e a mio avviso, superato. Oggi come oggi, soprattutto per quanto riguarda l’irrigazione di terreni agricoli, vi sono tutta una serie di tecniche che forniscono risultati eccellenti, in modo fortemente sostenibile e con un’importante ottimizzazione dei costi”.

“Non solo, credo sia giusto anche parlare dell’utilizzo dell’Enza per scopi industriali. Mi riferisco alla produzione del Parmigiano Reggiano – affonda Bigi – che, nonostante la crisi idrica, è aumentata del 10%. Di fatto, diventando un prodotto industriale. Di altissimo pregio, ma sempre industriale è. Sarebbe giusto iniziare ad intavolare una discussione sulla necessità di porre un limite anche a questa produzione, visto l’utilizzo che necessita di acqua e la conseguenza di riversarvi dentro nitrati ed altri prodotti chimici”.

“Infine, va detto che la parte alta del fiume è di alto valore naturalistico – conclude Bigi -. Ha pochi insediamenti vicini e questo ha contribuito a preservare una natura rigogliosa e naturale. Elementi su cui un grande invaso influirebbe negativamente. Per altro, trattandosi di una zona vincolata”.

“Tempo di fare fronte comune”

Bokar Diop, di Legambiente Reggio Emilia, parla della necessità di “Fare fronte comune per sensibilizzare tutte le istituzioni verso un modo virtuoso di utilizzare la risorsa idrica. Questo manifesto ne è un primo, ma credo, importante passo per andare in quella direzione e spingere tutti coloro che hanno un potere decisionale ad assumersi le proprie responsabilità e a compiere politiche sostenibili ed il più possibile virtuose”

Infine, Gobbi, ha puntato l’attenzione sull’utilizzo delle casse di espansione per uso irriguo: “Come quella di Roncocesi a cui arrivano tutte le acque reflue dell’Enza e che dovrebbe essere valorizzato con investimenti importanti”

 

17 COMMENTS

    • Vede signora M. Cristina, l’equazione è molto molto semplice.
      Più aumenta la produzione, più acqua si consuma e più nitrati riversiamo nella terra e nelle acque.
      La cosa non è molto sostenibile. Anche mio figlio di 7 anni capisce la semplicità dell’equazione.
      Se poi ci diciamo che per l’interesse di pochi ci deve rimettere la collettività allora siamo a posto.

      Alessandro

      • Firma - Alessandro
      • Suo figlio di sette anni capisce l’equazione perchè, appunto, è troppo semplice, anzi direi semplicistica.
        “L’interesse di pochi” sarebbe la difesa del prodotto di punta della nostra zona, noto in tutto il mondo, copiato (male) da tutti, che genere un indotto notevole e un giro d’affari invidiabile? Questo per lei sarebbe “interesse di pochi”?
        A pensar male si fa peccato, dicono, ma a me verrebbe da pensare che chi non è disposto a difendere una tale eccellenza, che tutto il mondo ci invidia, ma anzi vorrebbe vederla sacrificata in nome della “sostenibilità” (ove però quanto sia davvero “non sostenibile” andrebbe esattamente quantificato, in cifre, non solo citato a mo’ di slogan) non ama davvero la nostra montagna, ma al contrario si fa portavoce di interessi esterni, molto esterni, quelli che stanno cercando di distruggere le eccellenze agroalimentari italiane (e non solo) a vantaggio di oligarchie economiche sovranazionali.
        Lei ha perfettamente ragione: la collettività (nostra) non ci deve rimettere per l’interesse di pochi.

        M.Cristina

        • Firma - M.Cristina
  1. Senza polemica , in quanti tra questi signori hanno un titolo certificato nel settore ? In quanti hanno esperienza di costruzione in grandi opere idriche o di grande volumetria ? Tra le tante scritte , come fa a soffrire la parte alta del fiume se l’invaso è a valle ?

    giubba

    • Firma - giubba
  2. L’articolo prodotto dal gruppo variegato dei cosiddetti ambientalisti in lotta permanente è una accozzaglia di proposte vecchie asdolutamente irrealizzabili nella maggior parte dei casi come l’utilizzo delle cave dismesse come invasi per la raccolta dell’acqua, che dimostrano una assoluta ignoranza in materia. Partendo dal fatto che le cave dismesse nella maggior parte dei casi non sono assolutamente idonee e tanto meno sicure per questo scopo, senza contare il fatto che un invaso non si riempie per il solo fatto che esiste. Servono le condizioni affinché l’acqua vi confluisca ed in modo sufficiente da giustificarne la convenienza. Le altre proposte non sono nemmeno commentabili. Penso invece che anziché queste battaglie di facciata sarebbe opportuno che i rappresentanti di partiti che fanno della sostenibilità ambientale la loro ragione d’essere avessero un livello di preparazione e valutazione ben diverso.

    Ivana Grassi

    • Firma - IvanaGrassi
  3. Io plauderei al ritrovarmi in mezzo alle tante stalle di un tempo, la cui presenza, unitamente all’indotto inteso nella sua interezza, alimentava non poco anche il nostro tessuto sociale, oltre a costituire un importantissimo fattore economico, insieme ai numerosi Caseifici dell’epoca, che hanno visto figure di Presidenti a tutt’oggi ancora impressi nella memoria, ma quel “mondo” è venuto progressivamente meno per una pluralità di ragioni, di svariata natura, trovandosi via via sostituito da un altro modello, il quale – che piaccia o meno – ha comunque mantenuto in vita questa nostra pregiata eccellenza agro-alimentare, il cui livello quantitativo mi sembra seguito e regolato da Organi interni di autotutela, che terranno verosimilmente conto della “legge domanda-offerta”, e non vedo pertanto il motivo di “iniziare ad intavolare una discussione sulla necessità di porre un limite anche a questa produzione”.

    Circa il problema acqua – che riguarda peraltro molteplici settori – non credo possa essere affrontato con una sorta di “decrescita felice”, ma cercando piuttosto di mettere in atto tutti quegli strumenti che possono ottimizzare l’impiego della preziosa risorsa idrica, ivi compreso il suo stoccaggio nei momenti di “abbondanza”, ossia nella stagione in cui dai corsi d’acqua può essere convogliata nelle casse d’espansione, e in cave dismesse, o incanalata per ricaricare la falda del sottosuolo, in ordine al qual obiettivo mi risulta che in altra regione del Nord, limitrofa alla nostra, si agisca anche tramite le AFI (Aree Forestali di Infiltrazione), ossia un complesso di opere che potevano essere realizzate da tempo, anche per verificare se erano adeguate al bisogno senza ricorrere ad invasi maggiori (lo direi soprattutto a quanti, legittimamente, esprimono contrarietà alla Diga vettese, ma che sembrano aver fin qui sottovalutato la “questione idrica”).

    P.B.

    • Firma - P.B.
  4. Certo, tutti i cittadini delle due provincie sono interessati dalla decisione, e se i residenti in città e pianura decidono che la diga non si deve fare, la partita è finita. Ma non si pretenda di avere l’approvazione obbligatoria anche di chi risiede in montagna.

    Riguardo alle soluzioni tecniche riportate nell’articolo, la stazione di ricarica per infiltrazione della falda del fiume Cornia (provincia di Livorno, progetto LIFE REWAT) incrementa la ricarica naturale annua già operata dal fiumenche passa da 1.825.000 Metri Cubi a 2.000.000 Metri Cubi, un incremento attorno al 9%. Naturalmente la ricarica rimpingua le falde e poi andrà ripompata a valle per uso irriguo. I limiti di questa soluzione sono – penso – evidenti.

    Lo stesso comunicato della Regione Toscana che comunica e valorizza la ricarica della Val Cornia recita:
    “La Toscana – ha detto stamani Monni Monni inaugurando la nuova ricarica di falda – ha una elevata capacità di resilienza, dovuta principalmente agli invasi di Bilancino e Montedoglio. Ne servirà almeno un altro e stiamo sviluppando i necessari studi di fattibilità.”

    Per intenderci, il lago di Bilancino, progettato dopo l’alluvione di Firenze sull’alta Val d’Arno, ha una capacità di 84 Milioni di Metri Cubi e mette a disposizione una portata tra 600 Litri/sec (minima) e 8 Metri Cubi/sec per integraziobe delle acque dell’Arno, garantendo anche il deflusso minimo.

    Il lago di Montedoglio, in alta Val Tiberina, ha una capacità di 150 Milioni di Metri Cubi, potendo restituire al fiume fino a 100 Milioni di Metri Cubi, con una portata restituita di 14 Metri Cubi/sec. Rende disponibili per agricoltura ed uso idropotabile circa 100 Milioni di Metri Cubi / anno.

    Concludo segnalando che queste informazioni sono tratte in parte da siti di associazioni ambientaliste della Toscana, che elogiano gli aspetti naturalistici riguardo a flora e fauna generati dal lago.

  5. ma davvero abbiamo ancora questi personaggi? oltre al NO a tutto, in modo particolare a opere fondamentale come la diga di Vetto, hanno qualcosa di concreto da proporre? pensano di risolvere il problema riempiendo le casse di espansione? o riempiendo delle cave? hanno una vaga idea delle conseguenze di riempire d’acqua una cava? magari all’interno di una montagna?
    e come pensano di produrre energia elettrica dall’acqua riversata nelle casse di espansione che sono ovviamente già in pianura?
    e poi ancora: l’acqua che serve per irrigare a monte delle casse, la pompiamo con le pompe come si fa oggi?
    e le piene dell’Enza? i danni che fanno le alluvioni? Lentigione lo abbiamo già dimenticato? quanto ci è costato?
    senza contare il turismo che si può promuovere in riva al lago, i posti di lavoro che nascerebbero (pochi, ma comunque non 0)
    ridicolo e assurdo continuare ad ascoltare queste persone!

    Andrea

    • Firma - Andrea
  6. Ci vorrebbe la possibilità di trattenere l’acqua in montagna, quando poi in pianura rimangono senza e la richiedono gli possiamo sempre rispondere, con le loro stesse parole, di risparmiarla o di trovare metodi alternativi.

    Maxgiber

    • Firma - Maxgiber
  7. Ho provato a scrivere un commento a favore della diga di Vetto da oltre 100 milioni di m cubi anzi ci vorrebbe quella da 150 più laminazione (30 milioni) per usi plurimi, uso potabile più di 90 milioni tra Parma e Reggio evitando di prelevarla dal sottosuolo, industria, agricoltura , turismo, idroelettrico, deflusso costate nel torrente tutto l’anno ecc.ecc. ma mi viene cancellato all’ultimo.
    Più di 6000 firme sono a favore.
    Non capisco perché non si debba tenerne conto

    Luciano Catellani

    • Firma - Luciano Catellani