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“Il Mondiale più bello e difficile, anche perché è l’ultimo”

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Il Mondiale più difficile. Forse il più bello, anche perché è l’ultimo della sua onoratissima e strabiliante carriera.

Per Davide Guiducci, villamizzese doc, quello appena terminata in Macedonia, è stata l’ultima rassegna iridata della carriera. Lo annuncia a Redacon, in un’intervista che trasuda di passione per uno sport, il deltaplano, che oggi non sta trovando un necessario ricambio generazionale.

“Diciamo che siamo arrivati a questo appuntamento poco preparati, perché le condizioni meteo di casa nonstra non sono state troppo favorevoli dal punto di vista ‘volistico’. Magari sono risultate piacevoli e apprezzabili in termini generali, ma per chi doveva volare non è stato così”

Può spiegarci perché?

“Per volare in un certo modo, occorrono svariati ingredienti. Certo, una giornata di sole è una condizione necessaria, ma non sufficiente per poterlo fare. Occorre un certo tipo di vento che negli ultimi mesi in Appennino non è stato spesso favorevole al volo. La gente, ma è normale, valuta le condizioni meteo in termini di pioggia o sole, ma per uno che pratica il mio sport, le valutazioni devono essere molto più approfondite”.

Quindi, una preparazione a singhiozzo e un arrivo in Macedonia dove, anche lì, le condizioni non erano il massimo. E’ così?

Davide Guiducci sul gradino più alto del podio ai Mondiali in Macedonia con i suoi compagni di Nazionale

“Sì, anche lì abbiamo trovato una situazione particolare. Con condizioni atmosferiche imprevedibili che hanno reso estremamente impegnativa la preparazione e pure le gare.”

Però, nonostante tutto, l’Italia ha sbaragliato il campo agli avversari…

“Abbiamo trovato tanto affiatamento tra di noi. Ci siamo trovati bene. Abbiamo avuto due o tre fenomeni in squadra che ci hanno trascinato quando era il momento, e alla fine abbiamo ottenuto un altro risultato di valore assoluto”.

Il settimo sigillo iridato consecutivo…

“I Mondiali di deltaplano si disputano ogni due anni, dal 2009, quando abbiamo vinto il primo in Francia, fino ad adesso, con l’unica eccezione del 2019 quando la rassegna non si è disputata causa Covid (e quella in Macedonia è, in pratica, il recupero di quella non disputata, ndr), l’abbiamo sempre vinta noi. Quindi facendo un calcolo, sono sette consecutive in effetti”.

Una soddisfazione unica, è vero?

“Assolutamente, soprattutto se pensiamo che stiamo parlando di uno sport in crisi…”

Perché?

“Non c’è ricambio. Non ci sono giovani che vogliano raccogliere la nostra eredità. In Nazionale la maggior parte siamo gente di oltre 50 anni. Inizia ad essere un impegno pesante, mentale e fisico. Diciamo che le nuove generazioni sono più attratte dal parapendio. Meno complicato dal punto di vista della preparazione, forse anche meno dispendioso economicamente. Fatto sta che il deltaplano è uno sport bellissimo ma con un futuro incerto per gli aspetti che ho sottolineato poc’anzi”.

Davide Guiducci in volo sulla... medaglia d'oro in Macedonia

Quando ha iniziato ad accostarsi al deltaplano?

“Avevo diciassette anni, ero giovanissimo. Sui nostri monti, un giorno, ho visto due deltaplani volare e mi sono incuriosito. Ho approcciato questo mezzo, con paura, curiosità e tanta incoscienza. Ho iniziato nel 1983, 1984, con alcuni amici. E, mi lasci dire, siamo dei veri miracolati…”

Perché?

“Perché eravamo del tutto autodidatti. Abbiamo iniziato senza alcuna base nozionistica, senza una conoscenza tecnica. E’ come mettersi a guidare senza una patente o senza nemmeno una lezione per farlo, né teorica, né pratica”.

In uno sport dove, par di capire, l’apprendimento, lo studio continuo è determinante…

“E’ fondamentale. Le condizioni meteo, l’aria, i venti, sono il ‘terreno’ su cui un deltaplanista si muove. Per fare un paragone sciistico, è come capire che neve troverai mentre vai a sciare, se morbida o ghiacciata. Con l’unica, importante differenza, che la neve la vedi, l’aria no. Le giornate sembrano tutte uguali, mentre in realtà non lo sono. Non hai idea di che correnti vi siano in cielo, e come ‘girino’. Devi studiare il meteo nei minimi dettagli, e capire dove e come si incontreranno le difficoltà. La preparazione il giorno prima è fondamentale. Più ci si aggiorna, fino al momento del volo, e più si riesce a mettere in conto tutte le variabili. Che poi magari si modificano in corso d’opera e lì bisogna essere sempre pronti ad adattarsi. Ma senza lo studio precedente, non si è in grado farlo successivamente”.

Il suo legame con Villa Minozzo?

“E’ il mio paese. Dove sono nato e vissuto e dove continuerò a vivere. Siamo una piccola comunità, ci conosciamo tutti e il tifo dei miei compaesani mi ha spinto tantissimo in tutti i Mondiali che ho disputato, ovviamente anche quest’ultimo in Macedonia. Villa è il mio posto, e mi sento parte integrante di questa comunità. E poi, va detto, è un luogo che si presta perfettamente al volo. Con venti particolarmente difficili e tecnicamente sfidanti. In conclusione, la prego, mi lasci dire una cosa…”

Prego

“Quello in Macedonia è stato il mio ultimo Mondiale. Ormai a 58 anni sta diventando dura sostenere dal punto di vista fisico e mentale un impegno di questo tipo. Mi dispiace perché 4 dei sei membri della nazionale, sono anche amici di vecchia data. E’ stato bellissimo vincere con loro, e affrontare tutte queste sfide assieme. Si era creato un gran affiatamento. Una Nazionale, quella italiana, che tutti ci invidiano. Lo spirito di squadra è stata una delle ragioni, forse la ragione, dei nostri successi”.

Per finire, ha già pensato anche a un ‘dopo’ il deltaplano?

“No. Non ancora. Semplicemente farò gare meno impegnative. In un Mondiale o in un Europeo ogni giorno sei a volare. E’ un bello stress fisico e psicologico. Continuerò a sfidare le correnti atmosferiche, in Italia e all’estero, ma con una richiesta di impegno inferiore”.

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