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“Ecco come ho conquistato la vetta dello Spantik”

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Un’impresa…. Alta come un 7mila metri.

E’ quella di Emanuele Anceschi, 41 anni di Castelnovo ne' Monti, appassionato di viaggi e già autore di due libri  che, poco meno di una settimana fa è riuscito a raggiungere la vetta del Spantik, monte che fa parte del complesso del Karakorum in Pakistan, la cui 'punta' è a 7.027 metri sul livello del mare. Quella del Karakorum è una sub-catena montuosa, poco distante (ovviamente in base alle distanze della zona in questione) da quella dell’Himalaya diviso da questa dalla fossa del fiume Indo.

La catena del Karakorum è nella regione del Baltistan.

Emanuele Anceschi sulla vetta dello Spantik

E’ lo stesso Anceschi che racconta un viaggio e una scalata non nata sotto i migliori auspici a causa di una fastidiosa dissenteria che l’aveva colpito nei primi quattro giorni di questa bellissima e tutt'altro che facile avventura

“Innanzitutto non mi considero un alpinista, quanto un viaggiatore, e quando faccio questi viaggi mi appoggio sempre ad un'agenzia locale. Sono arrivato in aereo a Islamabad (capitale del Pakistan, ndr) e successivamente, sempre in aereo siamo sbarcati a Skardu. Da lì, il primo passaggio è l’arrivo ad Arandu, in piccolo villaggio di pastori e portatori – spiega il diretto interessato -. Che abbiamo raggiunto dopo cinque ore di viaggio in jeep. Per altro, un trasferimento tutt’altro che semplice, visto che abbiamo dovuto percorrere delle stradine sterrate e tutte a strapiombo”.

Da quel momento, l’avventura si fa interessante: “Arrivati a Arandu comincia il trekking di 3 giorni che porta al campo base dello Spantik – prosegue Anceschi -. Si raggiungono piccolissimi insediamenti estivi di pastori, e poi si attraverso il ghiacciaio Chogo Lungma. Ogni tappa ha una durata dalle 5 alle 6 ore di camminata giornaliera”.

Il campo base è situato a 4.200 metri d’altezza, un giorno per acclimatarsi ad un’altezza che inizia ad essere proibitiva, e poi, successivamente si raggiungono altri tre campi base, situati ad altezze differenti: “Il Campo 1 sui 5100mts, il 2 sui 5700 metri e il campo 3 sui 6300mts. Si va su e poi si torna a dormire in quello più basso per favorire l'acclimatamento. Diciamo che l'obiettivo è quello di stressare l'organismo spostandone il limite gradualmente. Perché a quelle altezze, più che la mancanza di ossigeno è la pressione che va tenuta d'occhio”.

Da un punto di vista tecnico non è una scalata difficile – prosegue Anceschi -. Lo Spantik, che significa piccolo giardino per via del suo campo base che ha sempre fiori ed è sempre verde, non presenta difficoltà tecniche particolari. Ma, in compenso, ha un altro grande problema: quello della neve. Alta e profonda. Ed essendo un 7.000 richiede spesso la corda fissa, cioè la necessità di utilizzare funi speciali per superare i tratti più ripidi e pericolosi”.

Anceschi con gli altri tre compagni d'avventura che hanno raggiunto quota 7.000 metri

Una scalata estenuante: “Per la distanza tra i vari campi e la lunghezza dei vari spostamenti. Il giorno della vetta abbiamo camminato per 16 ore (partiti a mezzanotte e arrivati alle 18 a campo 3). Il giorno dopo da campo 3 a campo base altre 12 ore”.

Con un intoppo in più: “Ho avuto un problema di dissenteria i primi 4 giorni ed ero vicino a mollare tutto. Non mangiavo e non bevevo. Poi il mio compagno di scalata (un dottore pakistano) mi ha fatto degli antibiotici che mi hanno fatto riprendere rapidamente. Ma arrivare in cima ripaga di ogni sofferenza, e nelle giornate di cielo limpido, dalla cima dello Spantik si può scorgere il K2”.

“La comitiva? Facevo parte di un team di 6 pakistani e io. 3 eravamo gli scalatori (io, un dottore pakistano e un suo connazionale) più i nostri 3 portatori di alta quota sempre pakistani. Ero quindi l'unico italiano e straniero del gruppo”.

In generale: “E’ sembrata una spedizione di altri tempi – conclude Anceschi -. Siamo partiti con 35 portatori (che sono coloro i quali si caricano tutto ciò che serve per allestire un accampamento e soggiornarvi), 4 asini e 10 galline. Al campo base vi era una cucina con cuoco e un aiuto cuoco. Alla fine, venerdì 18 alle 11.45 siamo riusciti a raggiungere la vetta”.

Non tutti, però, ce l’hanno fatta: “Vuoi per scarsa acclimatazione, vuoi per troppa fatica. Soprattutto perché le camminate, come detto, erano lunghissime, e spesso con neve alta fin sopra il ginocchio”.

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