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I momenti bendati dell’anima

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L'abito bianco originale, unico sopravvissuto, di Emily Dickinson

Il 16 aprile 1862 a Worcester, in Massachusetts, il critico letterario Thomas Wentworth Higginson ricevette una lettera, inviata il giorno precedente,  da Emily Dickinson. Alla lettera erano allegate quattro poesie e la richiesta di poter sapere se i suoi versi erano “vivi” e “respiravano”, visto che non aveva nessun altro a cui chiedere consiglio. Ma nella sua vita reclusa, nella sua solitudine, la poetessa aveva creato una varietà così diversa ed unica di scrittura che il critico si trovò probabilmente confuso: intuiva che c’era qualcosa di geniale in quei versi insoliti, pieni di lettere maiuscole e lineette a marcare quasi ritmicamente il testo, ma non riusciva a capire con che strumenti valutarli, o, come ebbe a dire Thomas H.Johnson, curatore della prima edizione completa delle poesie di Dickinson nel 1955, “cercava di misurare un cubo con le regole della geometria piana”. 

Il fatto che la poetessa si fosse rivolta ad un critico suggerisce che stesse contemplando l’idea di pubblicare i suoi lavori; ma la reazione di Higginson, in una corrispondenza che continuerà sino al mese della morte di Dickinson nel 1886, che trovava i versi probabilmente criptici, dovette farla desistere. Nonostante ciò, la poetessa non pensò mai che le sue opere non avessero una dignità che meritava un decoroso metodo di esistenza sulla carta: alla sua morte, quando solo una decina di poesie era stata pubblicata, la sorella Lavinia trovò una scatola contenente fogli sparsi, ma anche ben quaranta fascicoletti, fatti di pagine piegate e legate con spago passato attraverso buchi fatti con precisione. In totale, la sua eredità consiste in quasi milleottocento poesie.

Ricostruzione del salotto nella casa museo di Emily Dickinson ad Amherst

Il periodo dal 1858 al 1864 fu il momento di maggiore produttività, ma furono anche anni di guerra civile, iniziata nel 1861 con l’attacco a Fort Sumter nella Carolina del sud, ed è  così che troviamo una poesia, senza titolo come tutte, che usa un linguaggio di guerra, di soldati feriti (bandaged, bendati, burst, scoppiare, bomb, bomba, escape, fuga, dungeoned, imprigionato) che metaforicamente riflette il dolore di un’anima prigioniera dell’Angoscia, di una Paura tanto più totale quanto misteriosa nella sua origine:

 

 

 

The Soul has Bandaged moments, 1862

L’Anima ha momenti Bendati

 

The Soul has Bandaged moments -

L’Anima ha momenti Bendati -

When too appalled to stir -

Quando troppo sconvolta per muoversi -

She feels some ghastly Fright come up

Sente un Terrore spaventoso arrivare

And stop to look at her -

E fermarsi a guardarla -

 

Salute her, with long fingers -

Salutarla, con lunghe dita -

Caress her freezing hair -

Carezzare i suoi capelli raggelati -

Sip, Goblin, from the very lips

Sorseggiare, Gnomo Malefico, dalle stesse labbra

The Lover - hovered - o'er -

Su cui - si chinò - l’Amante -

Unworthy, that a thought so mean

Indegno, che un pensiero così meschino

Accost a Theme - so - fair -

Si avvicini a un Tema - così - dolce

 

The soul has moments of escape -

L’anima ha momenti di fuga -

When bursting all the doors -

Quando squarcia tutte le porte -

She dances like a Bomb, abroad,

Danza come una Bomba, all’aperto.

And swings opon the Hours,

E si dondola sulle Ore,

 

As do the Bee - delirious borne -

Come fa l’Ape - portata dall’euforia -

Long Dungeoned from his Rose -

A lungo Imprigionata lontana dalla sua Rosa -

Touch Liberty - then know no more -

Quando tocca la Libertà - poi non sa altro -

But Noon, and Paradise

Se non il Mezzogiorno, e il Paradiso

 

The Soul's retaken moments -

L’Anima ha momenti in cui è catturata di nuovo -

When, Felon led along,

Quando, condotta come un Criminale,

With shackles on the plumed feet,

Coi piedi piumati in ceppi,

And staples, in the song,

E suture metalliche, nel canto,

 

The Horror welcomes her, again,

L’Orrore l’accoglie, di nuovo,

These, are not brayed of Tongue -

Questi, non sono fragori di Lingua -

 

I versi raccontano l’altalenare delle sensazioni nell’anima: le prime due strofe vedono arrivare il Terrore, la Paura, nei momenti in cui l’anima è fragile, avvolta dalle bende che tentano di curarne le ferite, quando il Timore è tale da impedirle di muoversi. Lo Sgomento la guarda, la saluta, perché l’anima è una donna spaventata, accarezza i suoi capelli, che sono raggelati nell’Angoscia, con lunghe dita, che pare possano arrivare ovunque, nei luoghi più nascosti e intimi dell’anima stessa, e, come una creatura magica e malvagia, sorseggia e aleggia su quelle stesse labbra che l’amante ha toccato. Indegno è anche solo il pensiero di accostare il gesto dolce della persona amata con la visione dell’Orrore che si china verso la donna terrorizzata, ma forse che anche la Paura abbia un suo fascino?

Ci sono poi momenti in cui l’anima riesce a fuggire, a liberarsi dei lacci dell’Ansia, a spalancare le porte della prigione del Terrore, a danzare una danza esplosiva, senza limiti, all’aperto, fuori dalle costrizioni, con le ore del tempo che le fanno da altalena gioiosa.  L’anima diventa allora come l’ape, quando, dopo esserne stata a lungo lontana, ritrova la sua rosa, e con essa la libertà, e così non le serve più sapere altro, se non che conoscere la gioia della luce del mezzogiorno e sentirsi in paradiso. 

Ma poi l’anima è catturata di nuovo, trascinata in catene come un criminale, i suoi piedi solitamente leggeri come piume, perché l’anima è cosa fragile e delicata e deve poter volare libera, immobilizzati nei ceppi, mentre anche la sua voce, il suo canto, è reso muto da cuciture metalliche che ne impediscono il fluire. Allora l’Orrore l’abbraccia di nuovo, un Orrore tale che non si riesce ad esprimere, per cui la lingua, le parole non riescono a

La stanza di Emily Dickinson nella casa museo di Amherst.

trovare nemmeno suoni, ragli sguaiati che l’annuncino al mondo. Così la poesia si conclude quasi non concludendosi, con una lineetta, di quelle tipiche di Dickinson, che sembrerebbe insinuare che c’è altro, che non c’è un punto definitivo, e, in effetti, c’è altro: l’altro è il vuoto, l’abisso della Paura, uno spazio aperto di Angoscia senza confini, o un’altalena crudele di gioia e dolore.

L’ape industriosa, così presente nelle poesie di Dickinson, è immagine della libertà dell’anima, quando le nostre sensazioni possono volare, quando godiamo della bellezza dei fiori, del sole, del mezzogiorno in modo completo e assoluto, e soprattutto, appunto come l’ape, questa libertà significa agire, costruire, creare. 

Invece la Paura, l’Angoscia ci imprigiona, ci mette in catene, ci raggela nell’immobilità, ci prospetta solo un sentire vuoto di abisso che inghiotte. L’Ansia toglie le ali, ci chiude il respiro, non mostra altro che desolazione, il tempo si ferma in un presente senza speranza e il passato e il futuro sono deformati dalla visione di un  mondo percepito attraverso gli occhi della Paura di vivere. 

E tuttavia questa paura è quasi come un amante, che si china su di noi e sorseggia dalle nostre labbra in un bacio possessivo. Forse Dickinson, in questa apparente morbosa fascinazione, aveva intuito che per liberarsi davvero dall’Angoscia il modo migliore è abbracciarla, quest’Angoscia, accoglierla per comprenderla, non vederla solo come un nemico, ma farla diventare un innamorato che è parte di noi, per capire da dove è nata. Così i momenti bendati dell’anima ci saranno benvenuti come la danza gioiosa dell’ape, in un equilibrio che accoglie felicità e dolore senza che ne siamo sopraffatti.