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Vivere l’Appennino: la storia di Simona e Simone

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Agcult.it è agenzia di comunicazione fra le più importanti in Italia nel campo delle politiche culturali. La sua collana “Coltivare Comunità” nella sezione 'Letture Lente' diretta da Catterina Seia e coordinata da Flavia Barca si interessa di sviluppo territoriale. Ha raccolto e pubblicato in ottobre il racconto di Simona Magliani e della sua famiglia, giovani abitanti a Cerreto Alpi.

Cerreto Alpi, Di Fuoco Fatuo, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=116496079

Simona Magliani e Simone Capelli sono abitanti dell’Appennino Tosco-Emiliano. Abbiamo già percorso i loro territori con Coltivare Comunità incontrando per primi, non più paradossalmente ormai, giovani di nuovo arrivo (Julia con Antonio e Daria con Francesco) che ci hanno raccontato intenzioni e progetti trasformativi precipitati nei rispettivi paesi adottivi da consapevolezze e culture globali. Simona e Simone esprimono la stessa determinazione da nativi di permanenza (lui) e ritornanza (lei) e il progetto è esplicitamente ricostruttivo delle biografie innate che più comunemente sentiamo perse fra le montagne italiane. La loro conoscenza ne rivelerà però la stessa innovatività e una certa maggiore sovversività. Il viaggio e la controintuività dei figli propri non appaiono in Appennino più brevi e meno profondi di quelli necessari a figli d’altri per lo stesso sogno di un luogo dove crescersi. Il racconto di Simona confonde le rappresentazioni comuni di ciò che è diritto e desiderio, vicenda individuale e collettiva, sempre legato a una quotidianità necessariamente straordinaria. Si presenta anche drammaticamente realista nella smentita, alla prova dei fatti, dell’immagine di una montagna impossibile per la vita oppure, al suo contrario, ideale. Nulla è possibile o autentico – sembra indicare la prospettiva del racconto di Simona – se non può contare sul senso generativo che vi ricerchiamo – il valore -, su scelte e fatiche che siamo disposti a sopportare, su una cittadinanza mutualistica e partecipata.

L’incontro con Simona, voce narrante del racconto, parte proprio da qui.

La chiave di volta per la soluzione al dilemma di dove abitare con la nuova famiglia che io e Simone eravamo insieme – ci dice – l’abbiamo trovata guardando oltre a noi – dopo di noi -, alla generatività, al sogno di una nascita e una crescita. Ci siamo chiesti dove avremmo voluto che nostro figlio o nostra figlia crescesse. Il ricordo – quindi il richiamo – dell’Appennino è insorto forte in noi di fronte a questa domanda. Il riconoscimento di una terra di origine profondamente presente dentro di noi, del legame con i nostri genitori sempre vicini, delle relazioni autentiche costruite già dall’infanzia e  parte di noi, del paesaggio che insieme a monti, boschi e valli prevedeva sempre paesi e case abitate, cortili, in mezzo, con la loro vita e i loro animali. Lo zaino in spalla, che preparava a una camminata che già profumava della mortadella appena acquistata, come un rituale, alla bottega del paese. Così gli avversari non possono averla vinta.

Quali avversari Simona?

Per avversari intendo gli standard di vita, carriera e comfort preconfezionati. Il pensiero corrente sulla maggiore opportunità che viene dalla concentrazione metropolitana. Magari sulla costa, ancora collegata, soprattutto dagli appenninici, all’immagine di un clima temperato e di maggiore benessere. Anche la giusta tentazione della scelta di un contesto più prestante per i bisogni di breve termine come servizi di conciliazione familiare e la possibilità di partecipare più facilmente coetaneità, per i figli e anche per noi genitori, giovani adulti. Avversario è il non scegliere, la replica, il flusso incondizionato.

Raccontaci di voi a Cerreto Alpi. Come siete arrivati a scegliere il paese?

Due vite molto diverse la mia e quella di Simone: io in città, a Genova, con una carriera da psicologa di fronte a me e dinamica su tutte le opportunità formative che l’ambiente metropolitano mi metteva a disposizione; Simone stanziale, pacato e silenzioso, da sempre radicato e restante nella sua montagna con una professione, il lavoro forestale e sulle infrastrutture del territorio, che la rappresenta completamente. Conciliare i nostri mondi, da punti di vista e prospettive valorialmente vicine ma così diverse non è stato  facile e la scelta è stata sofferta. Qualcosa si perde o si lascia sempre.

Simona ci fa intuire che una sintesi nel presente ordinario in area interna non è possibile, va coniugata al futuro generativo cercandola nella costruzione di un luogo – una provenienza – e nel sogno – nel loro caso – di un figlio o una figlia, comunque di un orizzonte di continuità sovragenerazionale – una destinazione -. (Possiamo tornare a leggere Massimiliano Monetti a questo proposito in Coltivare Comunità del 5/09/2022). Da Simona la conferma che non esistono luoghi già fatti appositamente per noi, per desiderarlo ognuno deve parteciparne la costruzione. Nel loro caso non esisteva ancora il loro Cerreto Alpi e il sogno generativo non può essere loro se non anche comunitario.

Cerreto Alpi è un paese di crinale fra l’Emilia di Reggio e la Lunigiana sotto al passo che porta il suo stesso nome. 45 abitanti permanenti, 900 metri slm, 70 chilometri e 90 minuti di strada montagnosa dal suo capoluogo di provincia, 27 chilometri e 35 minuti della stessa strada da quello della sua montagna – Castelnovo ne’ Monti – da cui sono accessibili molti dei servizi pubblici essenziali. Tutti tranne alcuni come – vedremo più avanti – l’assistenza al parto.

Quanto è stato difficile oppure favorevole realizzare la vostra scelta di “mettere su famiglia” e attendere un figlio o una figlia a Cerreto Alpi?

Come tutte le grandi scelte anche questa è stata sofferta e soprattutto da parte mia. Rinunciare per un’intenzione positiva ha però permesso di concentrarsi sul valore del nostro obiettivo attivando risorse più profonde e per certi versi imprevedibili. Oggi possiamo dire che proprio da questa consapevolezza abbiamo ripreso il filo innato interrotto in Appennino. Non tanto da noi – generazione indotta – ma dal paese e dalle storie che ci hanno preceduto. Per me significava cominciare proprio là dove tutto era iniziato senza rimuovere le complessità e i limiti del contesto o chiedendone banalmente ad altri la soluzione ma attivandomi insieme a Simone per rendere pragmaticamente possibile il luogo. Da soli sarebbe stato impossibile: è occorso un patto immateriale con se stessi, con l’altro, con la comunità attorno e con le istituzioni collettive. Peraltro, Simone era già impegnato nel progetto/sfida lavorativa di una Cooperativa di Comunità – i Briganti del Cerreto – che ha rappresentato indubbiamente un elemento di supporto alla nostra intenzione assicurando una dimensione di reciprocità e condivisione quotidianamente presente. La cooperativa e la comunità si sono mostrate pronte ad accogliermi per sostenermi nei primi passi di rientro e ci hanno consentito una sorta di famiglia allargata – noi due, i nostri genitori, la cooperativa, la comunità – a testimonianza che tratti e capacità dei meccanismi sociali e dei valori che ricordavamo qui esistono ancora e possono essere alimentati.

Tanto che Mia, vostra figlia, è arrivata.

La nascita di Mia è stata una festa non solo per le nostre famiglie ma per l’intera comunità. Mia ha attivato in paese una gratitudine inedita – oppure dimenticata – ancora prima di venire al mondo. Una nascita in paese a Cerreto Alpi era ormai rara e l’ultimo caso, prima del nostro, di fiocchi rosa o blu di famiglie restanti risale a venti anni fa. Manifestazioni di gratitudine istintive e diffuse quasi a celebrare e preservare un dono sentito come prezioso. Li ritroviamo ancora oggi perché Mia è conosciuta e coccolata da tutti quasi a riconoscere – e qualcuno lo disse allora – che la sua nascita era in fondo anche quella del paese. L’esperienza quotidiana ha confermato costantemente la nostra scelta. Mia ha cinque anni e mezzo, è una bimba solare, curiosa, sorridente ma anche schiva, riservata e osservatrice: tutto sommato ha il carattere del nostro Appennino.

Parlaci della crescita di Mia in rapporto ai suoi diritti di cittadinanza. Come ne usufruisce una bambina che vive a Cerreto Alpi?

Dovrei forse partire dalla nascita. Ho partorito Mia a Reggio Emilia a febbraio del 2018, un mese di nevicate e freddo intenso in quell’anno. Già le ultime visite prima del parto mi avevano costretto a frequenti viaggi da casa alla città e ammetto di aver più volte chiesto di potere programmare un parto cesareo per essere più tranquilla e per evitare partenze frettolose per un viaggio lungo e non necessariamente facile verso l’ospedale Santa Maria di Reggio Emilia (70 chilometri e 90 minuti x 2, senza considerare neve o ghiaccio). Alcuni amici e parenti residenti in città mi avevano offerto ospitalità ma sia prima che dopo il parto la priorità di benessere che ritenevo indispensabile per me e per Mia era lo stare a casa insieme a Simone. Mi è stato negato il parto cesareo perché non presentavo condizioni cliniche che lo giustificassero, fortunatamente però alcuni valori della bambina hanno suggerito di indurne la nascita qualche settimana prima del termine stimato. La discesa in ospedale, suggellata da una bella nevicata, ci ha fatto ringraziare più volte quel valore anomalo come un dono. Dopo le dimissioni abbiamo dovuto continuare a viaggiare in città per controlli relativi all’ittero e già dai primi giorni di vita la piccolina ha dovuto fare i conti con i lunghi viaggi in auto e le temperature polari che li accompagnavano.

Nel 2018 il clima di quei mesi è stato molto rigido  con il termometro abbondantemente sotto lo zero. Simone era sempre in servizio, soprattutto notturno, a causa dell’emergenza neve e nessuno poteva muoversi per venirci a trovarci, neanche le ostetriche territoriali per le visite domiciliari postparto previste per le puerpere. Le prime settimane di vita di Mia sono trascorse in casa, costantemente insieme, giorno e notte. Momenti bellissimi, che hanno consentito la costruzione di un rapporto profondo e complice fra noi, ma anche denso di preoccupazioni e timori. Da qui alle prime uscite in paese al Rifugio della Cooperativa o al Circolo per un caffè e per due chiacchiere con i pochi abitanti del paese sempre pronti a celebrare, come dicevo, l’incontro con Mia.

Il secondo appuntamento con i servizi pubblici è stato nelle visite pediatriche che imponevano la discesa al capoluogo montano (Castelnovo ne’ Monti, 27 chilometri e 37 minuti X 2). Solo grazie a conoscenza e frequentazione diretta il pediatra ha provvidenzialmente accettato Mia fra i propri assistiti, in caso contrario avremmo dovuto fare riferimento (a causa del deficit di medici disponibili localmente) al pediatra del consultorio, non sempre presente e reperibile.

Dalla sanità immagino di poterti chiedere della scuola. Mia ha cinque anni. Qual è stato il suo percorso scolastico?

A 12 mesi Mia ha iniziato a frequentare il nido pubblico nel paese di Busana, che dista 13 chilometri da casa nostra. La accompagnavo io, tutte le mattine, scendendo anch’io per il lavoro, tornando a prenderla alle 13 per l’allattamento, per poi accompagnarla dai nonni o rientrare a casa in smart working. I micronidi (nidi di infanzia ai quali sono consentiti numeri ridotti) nel nostro Appennino sono risorse importantissime, con progetti specifici e molto legati all’ambiente e alle attività esterne. Nel suo primo anno Mia lo ha frequentato insieme ad altri sette bambini e questi numeri hanno favorito attività alla presenza dei genitori. Il secondo anno i bambini sono rimasti in cinque e Mia ha iniziato a frequentare anche il pomeriggio godendo dell’aiuto dei nonni che compensavano i miei orari di lavoro. Fortunatamente Mia ha ancora quattro nonni in salute che riescono ad occuparsi di lei ma sempre imponendo viaggi e percorsi “montagnosi” dai loro paesi di residenza.

Dopo due anni di micronido abbiamo iscritto Mia come anticipataria alla scuola dell’infanzia con sede a Collagna (circa 7 chilometri da casa). Gli iscritti oltre lei erano solo quattro. L’anticipo è stato dettato dall’opportunità del percorso per la bambina ma anche per dare “numeri” alla sopravvivenza della scuola che proprio in quell’anno avrebbe rischiato la chiusura. Al trasporto pubblico abbiamo rinunciato volontariamente perché i costi e l’organizzazione per l’unica bambina da Cerreto Alpi sarebbero stati molto gravosi per l’organizzazione e non ci sembrava equo. L’esperienza alla scuola dell’infanzia di montagna, identificata come scuola di comunità con deroghe e programmazioni differenti perché considerate risorse fondamentali in territori disagiati, è stata assolutamente positiva. I piccoli numeri e le risorse erogate concedono infatti esperienze e relazioni dedicate: dalla cuoca che cura in sede la preparazione dei pasti conoscendo personalmente i bambini ad altri professionisti esterni (psicomotricista, musicoterapeuta, esperti di teatro e movimento all’aria aperta). Un piccolo pulmino sempre disponibile ha reso possibili gite e attività straordinarie di conoscenza del proprio contesto.

Questo è l’anno della scuola primaria. Una scelta ancora condizionata dalle condizioni ambientali della montagna. Avendo anticipato la scuola dell’infanzia ha prevalso in noi la necessità di non isolarla dal gruppo di amici costruito in questi anni in un contesto dove il mantenimento e la cura delle relazioni esistenti è particolarmente importante per non trovarsi ciclicamente soli.

La scuola di montagna esige grande attenzione ai numeri e conoscenza diretta della demografia locale: quanti ne escono quest’anno, quanti ne entrano, previsioni a lungo termine, quante donne in stato interessante, quante famiglie in arrivo? Tutti devono conoscere tutto e parteciparlo direttamente. Una condizione che favorisce chiaramente anche il confronto, la partecipazione diretta alla vita della scuola come istituzione comunitaria, l’arricchimento del percorso scolastico sia per i genitori che per bambini e bambine ma che, per contro, rende ordinaria qualche apprensione sulla certezza del servizio. Oggi non possiamo essere certi che Mia terminerà la scuola primaria nella stessa sede e nello stesso paese così come sappiamo di dovere attendere giorni nei quali sarà in aula da sola e il programma della giornata dovrà essere organizzato estemporaneamente.

Andiamo oltre la scuola. Avete pensato a Mia adolescente?

Ci stiamo pensando e abbiamo già attività extrascolastiche da programmare e sostenere. Creatività, capacità organizzative e spirito di adattamento sono fondamentali e in effetti dobbiamo considerare al riguardo anche le attività culturali, sportive e di relazione. Mia frequenta già un corso di nuoto. È a Castelnovo ne’ Monti e per renderlo possibile abbiamo optato per l’offerta del sabato, dalle 18 alle 19, non solo perché trova me e Simone con maggiore disponibilità per accompagnarla ma anche perché ci consente di agganciare cene ed eventi insieme ad altre famiglie con bambine e bambini che conosciamo.  Un film in prima visione può essere alla stessa distanza ma più frequentemente a Reggio Emilia. Gli incontri di festa e gioco con gli amici e le amiche vogliono pari spostamenti. Grazie alle esperienze scolastiche Mia ha potuto conoscere la realtà delle biblioteche: una a fianco della scuola, che frequenta sporadicamente con le insegnanti e una a Castelnovo né Monti, meta di una gita scolastica durante la quale a ogni partecipante è stata donata la tessera e consegnato un primo libro per iniziare alla fruizione dei servizi.

Oggi che Mia è ancora piccola riusciamo a fare fronte a tutte le richieste e le esigenze tipiche della sua età. Guardando al futuro dobbiamo prepararci a maggiori difficoltà nel consentire o fronteggiare richieste certamente più complesse. Per i giovani, nei tempi extrascolastici, il trasporto pubblico è carente e le famiglie, al vedere quelle che ci hanno preceduto nello stesso territorio, sono obbligate a organizzazioni improbe per assicurare ai figli adolescenti e oltre la mobilità che richiedono. Io e Simone siamo soddisfatti della nostra scelta e crediamo che Mia abbia un complesso di opportunità originali, efficaci e non inferiori a quelle di coetanee di altri territori ma tutto è possibile per il patto familiare, parentale, amicale e comunitario di cui dicevo sopra che è parte indispensabile a questo obiettivo. Tutto, inoltre, può cambiare molto velocemente al cambiare delle condizioni collettive assicurate alle nostre quote e distanze. La crescita delle opportunità tecnologiche di comunicazione e accesso ai servizi è una condizione indispensabile al nostro progetto.

Veniamo a te e Simone. Parlavi di rinunce che portano a creatività e soluzioni alternative per realizzarvi individualmente e insieme.

Oggi la mia professione o, meglio, le mie professioni mi portano a trascorrere fuori casa buona parte della giornata e una certa imprevedibilità. Ad oggi ho un contratto a tempo pieno e indeterminato presso una cooperativa sociale con sede a Castelnovo ne’ Monti per la quale mi occupo di coordinamento e progettazione di attività per persone fragili o disabili presso un laboratorio socio-occupazionale e un appartamento protetto e di altre progettazioni relative all’area appenninica. Nello stesso paese, ormai da alcuni anni, svolgo la mia attività come psicoterapeuta in libera professione avendo un piccolo studio privato nel centro storico che solitamente mi occupa il sabato mattina e le ore tardo pomeridiane della giornata.

Sono poi socia della cooperativa di comunità presso la quale lavora Simone. Con questa collaboro per attività di welfare rivolte alla popolazione anziana del territorio e altre collegate invece al ramo ricettivo-turistico e di promozione del territorio. Negli ultimi anni le mie attività si sono intensificate con il conseguimento del patentino GAE (guida ambientale escursionistica) che mi ha permesso di conoscere ancora più in profondità i luoghi dell’Appennino e di avvicinarmi alla disciplina della terapia forestale. Sono volontaria da alcuni anni all’interno di associazioni nel mondo della psicologia dell’emergenza. La somma di queste attività porta a circa centro chilometri percorsi quotidianamente ai quali, grazie alla tecnologia complice buona della nostra permanenza in montagna, posso non aggiungere quelli per la formazione che posso garantirmi on line.

La professione sviluppata in cooperativa per le abilità innate da “ragazzo di montagna” e le passioni legate al territorio (la caccia e le attività outdoor) consentono a Simone giornate più quadrate ma sempre necessariamente multifunzionali ed eclettiche. È abilitato per la guida di diversi mezzi di lavoro, è molto abile nei lavori in muratura, forestali e di manutenzione boschiva. A casa è naturalmente atelierista per Mia e curatore di ogni parte della casa che voglia cura e attenzione. Trovarlo e accompagnarlo fra i soci fondatori della cooperativa di comunità, venti anni fa, ne ha mostrato la visione moderna e innovatrice dello stare in montagna ed è stato per noi e il nostro progetto un valore aggiunto importante come lo è, quotidianamente, la fusione fra tradizione e modernità nella quale crediamo. Mi sento completamente donna di Appennino con Mia quando sviluppo da qui, per scelta di valore, nuove professionalità così come quando, con lei, recupero il rapporto con la terra, con il cortile e i suoi animali, con il bosco, con la cucina e la trasformazione dei prodotti seguendo e tramandando insegnamenti di nonne e bisnonne.

Come sta il paese intorno a voi? Cosa vedete attorno?

Sono contenta di concludere la nostra conversazione da dove siamo partiti, dal paese e la comunità attorno. Qui vediamo certamente l’infrastruttura più necessaria e più fragile. Cerreto Alpi conta meno di 50 residenti stabili, un ristorante aperto solo i fine settimana, un circolo/bar con bottega alimentare aperto solo qualche ora al giorno nei mesi invernali. Non ci sono sportelli bancari e postali, né farmacie, né un medico di base che riceva in ambulatorio, neanche coetanei che Mia possa incontrare per strada o al parco giochi. Un mezzo di trasporto che non sia una bicicletta e che per sei mesi all’anno difficilmente può essere uno scooter è necessario a ogni spostamento.

Difficile dirlo ancora paese e dirlo sufficiente per nascerci senza l’eco-sistema familiare e cooperativo dei quali ho detto. Ancora più difficile crescerci senza attrarre altri con la stessa intenzione e un sistema di servizi e opportunità che ne faccia un’intenzione collettiva e politica.

1 COMMENT

  1. Sull’inizio di queste righe trovo una locuzione che a me sembra render bene l’idea, ed è laddove leggo “nativi di permanenza (lui) e ritornanza (lei)”, il che, sempre a mio modesto vedere, sta a confermare la potenzialità espressiva della nostra bella lingua, non di rado sacrificata a favore di terminologie estere, ritenute più sintetiche ed essenziali.

    In un mondo che si va viepiù internazionalizzando è sicuramente molto importante l’impiego di un lessico o repertorio dalla più ampia comprensibilità, .ma credo che ciò possa avvenire senza rinunciare alla nostra “italianità”, e ne ho avuto comprova pochi giorni fa trovandomi casualmente a sostare in una frazione della Bassa reggiana.

    Ho piacevolmente constatato che lì sopravvivono alcuni “negozi di vicinato” – con buona presenza di avventori da quanto ho potuto osservare – e sul frontale di uno degli stessi spicca un’insegna con doppia scritta, l’una in italiano e l’altra nella lingua del Paese dell’eurozona cui si ispira lo stile del negozio (mi è parso un buon compromesso).

    Altre volte, invece, ho visto impiegati solo vocaboli stranieri, vedi concierge oppure conciergerie, senza alcun accenno a “portineria”, il che mi è parso un eccessivo spogliarsi della nostra identità, alla cui difesa contribuisce pure, e non poco – io perlomeno lo credo – il vivere in Appennino, coltivando e perpetuando le tradizioni che ancora ne sono parte.

    P.B. 19.10.2023

    • Firma - P.B.