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Le ragioni storiche della questione israelo-palestinese

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Gino Fontana

Israele è in guerra dallo scorso 7 ottobre, quando il gruppo armato palestinese Hamas ha lanciato l’operazione  "Alluvione al- Aqsa”.

Noi proviamo con Gino Fontana, esperto di politica estera e relazioni internazionali, a capire le ragioni della contrapposizione tra Israele e Palestina.

Gino, quali sono le ragioni storiche della questione israelo-palestinese?

È un tema di estrema complessità e quindi cercherò di essere molto cauto. Per capire le ragioni storiche della questione israelo-palestinese dobbiamo addentrarci in un lungo viaggio. Spesso si sente dire che le tensioni tra Israele e mondo arabo sono frutto degli accordi Sykes-Picot del 1916 o della fondazione dello Stato di Israele del 1948, ma non è così, infatti dobbiamo guardare alla seconda metà del 1800. All’epoca si trattava di tensioni che avevano colorature religiose, ma soprattutto socioeconomiche.

A partire dalla fine del XIX secolo e nella prima metà del XX secolo, iniziarono le grandi migrazioni di popolazioni ebraiche, provenienti in particolare dall’impero zarista, verso la Palestina. All’epoca non vi era un progetto politico alle spalle, fuggivano dalla repressione e persecuzione zarista. La Palestina all’epoca faceva parte dell’impero ottomano ed era abitata da arabi. Sempre a partire dalla fine del XIX secolo, nascerà l’idea del sionismo politico promossa da Theodor Herzl, sostenendo che la sicurezza del popolo ebraico dipende dalla capacità di creare uno Stato che ne garantisca la sicurezza. Ma dove creare uno Stato ebraico? All’inizio non c’era ancora una connessione con la Palestina, addirittura si pensava di creare uno Stato ebraico in Uganda.

E la Palestina?

Come dicevamo la Palestina era un territorio dell’impero ottomano. Questo era un impero multietnico che si estendeva dal Marocco, alla Persia, ai Balcani. Erano presenti una moltitudine di etnie, tra cui una delle più numerose appunto gli arabi. L’aumento dell’immigrazione ebraica in Palestina si scontrò quindi con le trasformazioni che il sistema economico locale stava vivendo. L’economia palestinese era integrata nel sistema globale di allora ed era moderna, ma la struttura organizzativa terriera ottomana era ancora fortemente premoderna. Era un’economia di latifondo, dove grandi estensioni di terreni erano in mano a pochi proprietari fondamentalmente assenteisti che facevano lavorare questa terra da un bracciantato.

La domanda che i mercati esteri esprimevano era sufficiente a garantire una buona rendita ai proprietari e buoni salari ai braccianti. Quando le cose cominciarono ad andare meno bene, i proprietari licenziarono i braccianti arabi, creando così una situazione di malessere sociale. Nel momento in cui masse di ebrei incominciano ad arrivare in Palestina, ed iniziano a comprare la terra, i proprietari, sono ben lieti di poter vendere e campare di rendita. Quindi, da una parte abbiamo immigrati ebrei che comprano la terra, e dall’altra una proprietà terriera che della terra se ne vuole sbarazzare per trasformarla in capitale. Inoltre, abbiamo un bracciantato arabo, che era stato espulso dalla terra per esigenze economiche e che con l’arrivo di nuovi immigrati, vede la sua possibilità di tornare a lavorare su quella terra diminuire drasticamente.

Quindi qui nascono le radici della tensione…

Sì. Negli ultimi anni della Palestina ottomana.  In questi anni si sperimentano le prime tensioni fra gruppi etnoreligiosi, ma che hanno alla radice questi problemi di natura socioeconomica.

Facciamo un salto di qualche anno fino al 1916. È l’anno degli accordi Sykes-Picot, rispettivamente diplomatico inglese il primo e francese il secondo. Questi accordi delineano una spartizione dei territori arabi dell’impero ottomano, con la creazione di sfere d’influenza e l’internazionalizzazione della città di Gerusalemme. In Siria e in Libano le autorità francesi favoriscono la nascita di due repubbliche, mentre in Transgiordania e in Iraq il governo britannico favorisce la nascita di due monarchie legate alla vecchia casa regnante della Mecca, Hussein dell’Hijaz, che era stato la controparte della firma degli accordi MacMahon-Hussein. La Palestina invece conosce un destino diverso, ovvero viene affidata come mandato diretto al governo britannico.

Tra il 1918 e il 1922 si realizza una vera e propria alterazione della composizione etnica della Palestina. Questa immigrazione ebraica avviene in un momento di vuoto di potere in cui lo status giuridico della Palestina ex ottomana è indefinito. Ci sono le truppe britanniche che tentano di riempire questo vuoto. Il governo britannico non riesce a trovare un interlocutore affidabile nel mondo arabo, perché il mondo arabo non si fida della Gran Bretagna. Inoltre, era difficile all’epoca trovare una classe dirigente araba che avesse un vero radicamento sul territorio. La classe dirigente era il notabilato arabo, (estremamente divisivo e litigioso), ovvero i vecchi latifondisti, che però non controllavano più il territorio perché non vi erano mai stati. Molti di loro infatti vivevano a Damasco.

Al nord invece, in Siria e Libano, le autorità francesi riescono trovare e costruire una élite a cui trasferire il potere, come anche in Iraq e Transgiordania. In Palestina ciò non avviene perché la possibile classe dirigente araba guarda con diffidenza alla Gran Bretagna a causa della dichiarazione Balfour del 1917, in cui il governo britannico si dichiarava favorevole alla nascita di un focolare nazionale ebraico nei territori palestinesi. Questo vuoto di potere costringe il governo di Londra a mantenere il controllo con la forza militare.

L’impero britannico era un grande impero musulmano, mi spiego meglio: la grande parte dei territori critici dell’impero erano abitate da musulmani. Appoggiare una minoranza ebraica, e quindi non musulmana in un territorio a prevalenza musulmano, significa gettare le basi di una turbolenza che poteva attraversare tutto l’impero. Per questo, dal punto di vista degli interessi inglesi, nemmeno gli ebrei in Palestina potevano essere un interlocutore per la Gran Bretagna. Inoltre, Londra riteneva questi ebrei come una banda di pericolosi socialisti, siccome molti venivano dalla Russia. La Palestina stava diventando sempre meno governabile, l’afflusso di immigrati, l’acquisto delle terre da parte di questi immigrati, l’esistenza di un sistema organizzativo che favorisce l’immigrazione e favorisce l’acquisto della terra, progressivamente continua a spostare il punto di equilibrio, e ad aumentare sempre più il malcontento degli arabi. Questo malcontento si traduce in proteste, e poi in violenza.

Arriviamo quindi alla nascita di Israele nel 1948…

All’interno dei confini stabiliti dalla risoluzione 181 delle Nazioni Unite, che fino a quel momento era stata rifiutata. Di fronte a questa dichiarazione, gli stati arabi circostanti, aspettano che termini il mandato britannico sulla Palestina, ed una volta ritirate le truppe britanniche, gli arabi attaccano il nuovo stato di Israele.

L’identità nazionale palestinese è ancora qualcosa meno che embrionale. Sul fronte arabo, quelli che prendono in mano le redini del gioco sono: l’Egitto, la Siria e il Libano, la Transgiordania e per solidarietà dinastica, l’Iraq. L’obiettivo è allargamento territoriale sottraendo parti di territori del mandato britannico. Non vi era ancora il progetto di costruire una statualità palestinese. In realtà la soluzione militare non paga. Israele vince la guerra e dopo gli accordi di pace di Rodi del 1949, Israele si trova con più territori rispetto all’anteguerra. Nelle nuove aree occupate da Israele, la popolazione araba comincia a spostarsi e si trasferisce negli stati confinanti: Libano, Giordania e verso l’Egitto. Questi profughi, benché arabi, generano problemi nei Paesi che li accolgono. Infatti, si pensava che questa fosse una soluzione provvisoria, ma diventerà definitiva. Questa è la grossa radice del problema attuale.

Prima degli anni 60 l’identità politica palestinese è ancora qualcosa di formalmente debole. Sempre negli anni 60 nascerà l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). La questione palestinese è una leva di propaganda, viene utilizzata per costruire consenso tra gli Stati arabi ostili a Israele, ma non è interesse e volontà di questi ultimi di risolvere la questione. Allora incomincia ad affiorare l’idea di identità politica palestinese. Questa identità politica matura essenzialmente all’interno dei campi profughi. Sono i palestinesi di seconda generazione che sviluppano l’identità, quelli di prima generazione la vedono in termini giuridici, (Israele si è preso la mia casa, la mia terra. Veniva inteso come sottrazione di qualcosa di proprietà personale, non appartenente al proprio popolo).

Gino, veniamo ora al problema degli insediamenti israeliani in Cisgiordania.

Dal 1967, Israele incomincia l’occupazione della Cisgiordania e dopo l’inizio degli anni ‘90, realizza un numero progressivamente più grande di insediamenti abitati da ebrei. Perché proprio a partire dagli anni ’90? Perché dopo il crollo dell’URSS, una crescente emigrazione di ebrei russi, viene dirottata verso quella che Israele considera i suoi territori di espansione. Arrivano a ondate di 10000 persone all’anno. Più ne arrivano più il problema della sicurezza di questi coloni diventa rilevante. La conseguenza velenosa di questa dinamica è che molti palestinesi incominciano a non credere più ad di Arafat, leader dell’OLP. A metà anni 90, una quantità crescente di palestinesi guarda a soggetti politici diversi rispetto all’OLP. Emergono quindi soggetti politici alternativi come Hamas, che si propongono come un’alternativa all’OLP. Questi nuovi soggetti adottano una linea dura nei confronti di Israele, facendo anche il ricorso al terrorismo e alla violenza, al fine della creazione di uno Stato palestinese.

In Israele, l’emergere di questi soggetti ha delle conseguenze. Nei rapporti tra Israele e OLP, dopo gli attentati di Hamas, la credibilità di Arafat nei confronti di Israele viene meno. Il governo israeliano adotta una politica che è sempre più securitaria, la sicurezza deve essere garantita non attraverso il dialogo o al negoziato, ma attraverso la presenza militare, di cui il punto di arrivo è la costruzione del muro. A Gaza, Hamas riesce ad ottenere molti più consensi che in Cisgiordania. Gaza è meno sviluppata rispetto alla West Bank. La Cisgiordania. ha l’acqua, Gaza no, la Cisgiordania ha relazioni con la Giordania. Inoltre, sempre in Cisgiordania, il partito al potere è Fatah, che si contrappone a Hamas e ognuno dei due si considera l’unico rappresentante della statualità palestinese.

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  1. Mi sembra piuttosto difficile, dal di fuori e da lontano, comprendere il reale stato d’animo di quanti abitano in quella tribolata terra, ma al di là dell’opinione di ciascuno riguardo ai fatti in corso io credo che tutti noi, o quasi, speriamo nel tacere delle armi e che abbia inoltre a concretizzarsi quanto prima un futuro di due Stati conviventi in pace ed armonia.

    E proprio a quest’ultimo riguardo, nel corso degli anni mi è capitato più volte di pensare che una maggiore disponibilità di territorio, rispetto alla dimensione attuale di quello conteso, avrebbe forse potuto agevolare la costituzione dei due Stati, e in tale logica mi sono ripetutamente posto una domanda, cui non ho saputo ovviamente dar risposta.

    Mi sono cioè chiesto se dopo la “guerra del sei giorni”, nel 1967, allorché il Sinai venne restituito all’Egitto – sotto la cui orbita od amministrazione ricadeva fino ad allora anche la Striscia di Gaza – non fosse possibile che una frazione del Sinai, ancorché di limitata estensione, potesse andare a costituire un unico corpo con la limitrofa Striscia di Gaza.

    Poiché la superficie del Sinai è stimata intorno ai 60.000 km2, anche un sesto di tale area geografica avrebbe potuto ampliare significativamente quella della Striscia di Gaza, data per 360 o 365 km2, nella previsione di dar vita allo Stato Palestinese, anche se non conosco orografia e caratteristiche della regione, quanto ad esempio alla coltivabilità.

    Se tutto ciò non è successo, ve ne saranno certamente le ragioni, e fors’anche svariate ragioni, e del resto questa interessantissima fotografia degli antefatti storici, che hanno preceduto la situazione attuale, ci dà l’idea di quanto complessa sia la questione, tale cioè da non essere alla portata di chi non conosce la materia come l’esperto qui interpellato.

    P.B. 21.10.2023

    • Firma - P.B.