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“Dobbiamo costruire, come comunità, delle occasioni”

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Ansia, depressione, abuso di alcol; tante ore passate davanti ad uno schermo e, nei casi più gravi, si chiudono in casa.

Ma gli adolescenti sono così fragili? Facciamo il punto con il dottor Massimiliano Anzivino, psicologo, supervisore politiche giovanili unionali di Asc Appennino Reggiano.

D: Dottore, come sono oggi le relazioni tra i giovani? Cosa è cambiato dopo la pandemia?

Non è facile rispondere a questa domanda perché ciò che è successo con la pandemia è ancora oggetto di studio tra gli addetti ai lavori. Molte tendenze erano già in atto e sono state accelerate come l’uso della rete in tutte le sue piattaforme oppure la fatica dei giovani a vivere in un mondo dove occorre fornire continuamente performance, quindi essere bravi, belli e di successo quando la realtà è fatta anche di fallimenti, imperfezioni e normalità. Da alcuni anni stiamo riflettendo con tutti i soggetti che lavorano coi giovani nei sette Comuni della montagna su cosa sta cambiando sul territorio e non riusciamo a vedere delle trasformazioni da imputare nettamente alla pandemia. Certamente abbiamo assistito ad un aumento dell’accesso di giovani ai servizi e ad un abbassamento dell’età di esordio di alcuni fenomeni ma occorre fare attenzione a non drammatizzare o imputare alla pandemia questa situazione. Ripeto: sono tendenze che erano già evidenti da anni e che ci parlano del nostro modello e stile di vita più che delle pur pesanti restrizioni avute durante il periodo covid.

D: Ma la pandemia ha davvero portato a un maggiore isolamento sociale?  

Abbiamo a che fare con il fenomeno del ritiro sociale (hikikomori) ovvero ragazzi e ragazze che si ritirano dalla scuola e dalla vita comunitaria per restare chiusi nella propria camera. È un fenomeno complesso ma anche in questo caso tutt’altro che nuovo. Se osservo più in generale la situazione mi sembra che i ragazzi abbiamo ancora più voglia di prima di relazionarsi facendolo in forme ibride, in presenza e on line (alcuni direbbero onlife) che gli adulti faticano a capire.

Molte ricerche ci dicono anche che la soddisfazione per le relazioni amicali è buona. Ci sono esempi di grande desiderio di partecipazione e di aggregazione, pensiamo ai movimenti per il clima o ad alcuni eventi che incontrano le passioni e gli interessi dei giovani come tutto il mondo del gaming e dei fumetti oppure ancora i temi della legalità e dei diritti. Certamente dobbiamo interrogarci molto su come sono progettate e costruite le nostre città, scarsamente a misura di giovani, alle loro caratteristiche e bisogni. A ciò si aggiunge anche una sensazione di insicurezza da parte delle famiglie rispetto ai contesti in cui si vive: questo è un elemento che incide non poco sulle possibilità aggregative.

D: Da uno studio nazionale (HBSC ‘Health Behaviour in School-aged Childre) è emerso che il 60,8% degli adolescenti trascorre più di tre ore al giorno davanti a uno schermo, questo cosa comporta?

Rispetto a questo tema è importante aprirsi come adulti per capirlo meglio. Il tempo trascorso davanti agli schermi ci dice poco. È più significativo capire cosa accade in quegli schermi, quale attività i ragazzi compiono, con quali obiettivi, se da soli o in compagnia. Nel tempo trascorso on line ci sono non solo rischi ma anche delle possibilità interessanti di apprendimento, sperimentazione e anche di relazione. Poi certamente una alfabetizzazione all’uso della rete è importante, ma per tutti, non solo per i più giovani. È un fenomeno ancora relativamente nuovo in cui tutti siamo immersi e che fa parte e farà parte sempre di più delle nostre vite. Io invito sempre i genitori ad essere curiosi di questo tema, a informarsi e a parlarne con i propri figli, a non averne paura.

D: Tra i giovani sono sempre più diffuse ansia e depressione?

Le ricerche purtroppo ci dicono che queste tendenze ci sono, affiancate anche da una espressione sempre più evidente di rabbia, ma anche questo dato ci parla di un contesto sociale che alimenta queste emozioni: l’incertezza per il futuro, le tante crisi che stiamo attraversando non sono poca cosa specialmente per chi sta crescendo e guarda e si proietta fisiologicamente verso il futuro. Io credo che la cosa che manca di più e che spesso si trasforma in accesso ai servizi è avere la possibilità di disporre di adulti fuori dalla famiglia interessati ai giovani, pazienti, capaci di ascoltarli, di aspettarli e di fargli vivere esperienza positive e non chiedergli di fornire nuove performance.

D: C’è anche una crescita preoccupante del consumo di alcol…

C’è sicuramente un consumo di alcool o lo evidenzia anche l’autorevole ricerca HBSC di cui si è parlato sui quotidiani locali. Il consumo è molto legato ad alcuni momenti della settimana e spesso si collega anche alla cultura del divertimento che in molte zone di Italia si lega a questo tipo di sostanza. Nel territorio dell’Unione da anni si lavora tanto a questo livello nelle scuole e fuori dalle scuole.

In più oggi siamo in un contesto mass-mediatico che enfatizza certi stili di vita e di consumo quindi da un lato forniamo tanti strumenti ai giovani per orientare le proprie scelte in modo responsabile ma i messaggi veicolati dai media e da un certo modo di fare marketing vanno spesso in una direzione diversa e con molta più forza e pervasività.

Quindi anche qui dovremmo cercare di capire questi comportamenti e vederne i legami con la complessità del mondo attuale ed essere consapevoli che per intervenire occorre stare in questa complessità ed evitare di pensare a facili ed immediate soluzioni.

D: Gli adulti comprendono davvero le esigenze degli adolescenti?

Molti osservatori ci dicono che la distanza tra le generazioni si sta ampliando e che le possibilità di dialogo e confronto tra giovani e adulti sono scarse perché richiedono pazienza, informalità e anche prendersi qualche rischio e il mondo adulto fatica a costruire queste condizioni.

Nelle famiglie c’è anche difficoltà a mantenere aperto un dialogo, stretti tra le grandi esigenze del mondo del lavoro e la complessità richiesta dalle relazioni familiari. Gli adolescenti richiedono una grande capacità di ascolto al mondo adulto e tempi lunghi per costruire fiducia e relazioni significative e sono tutti aspetti che scarseggiano nell’epoca della fretta e della produttività.

 D: Sono tanti i pericoli, anche della rete. Ad esempio, sui social sono sempre più diffuse le challenge, sfide nelle quali una o più persone si mettono alla prova in una particolare attività e chi le compie invita spesso altri utenti a fare lo stesso. Alcune di queste sfide possono anche essere pericolose. Cosa spinge un giovane a farle e come proteggere i più piccoli?

La cronaca è piena di eventi di questo tipo e ciò contribuisce ad allarmare non poco le comunità e chi ha figli. Dietro questi comportamenti c’è spesso il desiderio di essere visti, di essere popolari, di avere un momento di riconoscimento. Sono aspetti che i giovani trovano poco nella loro quotidianità e in alcuni casi finiscono per ricercarle altrove. C’è anche scarsa consapevolezza delle dinamiche, delle implicazioni e delle conseguenze che si collegano a queste sfide, per questo occorre parlare di questi temi e fornire ai ragazzi strumenti per gestirli.

Ma il punto fondamentale è che dobbiamo costruire come comunità delle occasioni e dei contesti dove i giovani possano mettersi alla prova e sentirsi valorizzati e parte della collettività. Non è semplice, le politiche giovanili sul territorio lavorano tanto a questo livello ma serve il contributo di tutti, serve una comunità educante che si prenda cura della crescita dei giovani, il che significa prendersi cura del proprio futuro come collettività. Cercate e seguite on line Progetto Montagna Giovani per farvi un’idea.

1 COMMENT

  1. Parole ineccepibili ma la cui traduzione pratica non mi sembra cosa facile, al di là di ogni sforzo e buon proposito, e proprio al riguardo, nel leggere che “serve una comunità educante”, obiettivo altrettanto apprezzabile, mi viene da pensare che uno dei suoi aspetti più naturali sia il controllo dei comportamenti giovanili esercitabile dagli adulti che abitano nello stesso quartiere o paese (e fanno in ogni caso parte della medesima comunità).

    Controllo che un tempo incontrava i ringraziamenti dei genitori cui veniva casomai segnalata l’eventuale “marachella” del figliolo, così da poterlo ammonire, educandolo nel contempo ad un agire più corretto, mentre oggi so di non pochi casi in cui segnalazioni di questo tipo si sono rivelate malaccette, tanto da dissuadere dal ripeterle, e facendo così venir meno un contributo della collettività (elementare ma a mio vedere non irrilevante).

    Ho portato un esempio abbastanza banale, e fors’anche poco significativo, ma se lo metto insieme alle controversie condominiali, di cui abbiamo spesso notizia, e ai tanti che anelano alla pensione causa il non reggere più il rapporto col pubblico, per quei lavori che lo comportano, traggo l’idea o la sensazione che nella nostra società, in generale, il relazionarsi sia sempre più arduo e complicato, al punto da volersi defilare ed “isolare”.

    Se questa mia impressione ha semmai fondamento, mi chiedo quale riuscita possa avere qualsivoglia progetto teso a far interagire i giovani con una realtà che invece tribola a farlo, salvo pensare che siano i giovani a indirizzare gli adulti, invertendo le “regole del gioco”, il che può essere possibile, ma preferirei che fossero i secondi a ripensare i propri modelli e parametri di riferimento (divenendo così, e di fatto, una comunità educante)

    P.B. 29.10.2023

    • Firma - P.B.