Home Cultura Elda racconta: La dottrina

Elda racconta: La dottrina

661
2

Questa volta voglio ricordare Don Dino Carretti, che fu arciprete di Castelnovo tanti anni fa.

Lui arrivava da una metropoli “Sassuolo” e si trovò qui in questo pase di montagna, a lui completamente sconosciuto e confinato alla Pieve, con una chiesa che cominciava a cedere qua e là, le fondamenta centenarie vacillavano, in questa canonica che non si capiva dove fosse l’entrata principale, perché nascosta dentro alla corte e per lo più fredda e ammuffita.

Lui era un grande innovatore, i parrocchiani erano laggiù in quelle case che facevano corona alla pineta del monumento, scomodi per andare in chiesa e lontani da lui.

Così decise che doveva essere lui ad avvicinarsi a loro e scese giù. Per un certo periodo, affittò un appartamento per lui e per i suoi genitori. Eravamo ancora in quel periodo che i preti erano seguiti dai loro famigliari, aveva anche un fratello “peutt” cioè non sposato anche se aveva una certa età, anche lui faceva parte della famiglia.

Poi decise di far demolire il teatrino parrocchiale, con grande dispiacere dei giovani, era il loro punto di ritrovo per recite o feste. Lui lì fece erigere la sua abitazione, proprio nel centro del paese, tranquillizzando questi giovani, il teatro sarebbe risorto più in là. Difatti si stava già costruendo la chiesa nuova (Della Resurrezione) e lui pensava di rifare tutto là vicino, cioè nel centro del paese.

Purtroppo non fece in tempo a ultimare i suoi progetti, Quello lassù lo chiamò prima del tempo, aveva bisogno di lui, era il 28 dicembre de 1969, aveva compiuto da pochi giorni solo cinquant’anni.

Vi chiederete, cosa c’entra tutto questo col titolo del racconto? Pazienza ora ci arrivo.

Credo che fosse nel ’54 o ’55, sapete con le date non sono molto brava, mio padre per ragioni di salute, aveva dovuto cedere la bottega che aveva vicino all’Oratorio di Santa M. Maddalena, al figlio maggiore Valdo, che subito aveva trasferito il tutto alla Sarzassa.

Io però abituata a frequentare quella stradina per tanti anni, quando scendevo in paese, mi fermavo un po’ in quella chiesetta, mi sentivo come a casa.

Un giorno Don Dino che molto spesso era inginocchiato sul primo banco assorto in preghiera e qui voglio anche ricordare che ogni volta che avevo bisogno di parlare a questo prete, io l’ho sempre trovato inginocchiato a pregare sia in chiesa che in casa. Torniamo a quel giorno, mi si avvicinò dicendomi che aveva bisogno di una ragazza che insegnasse dottrina ai bambini di prima elementare e se ero disposta a farlo. Allora ero ancora molto timida, arrossii fino alla radice dei capelli, un po’ per la soggezione, un po’ per il piacere che mi faceva questa proposta.

Tentennai un po’, ma mi rassicurò, erano bambini piccoli e io ero abituata a fare la bambinaia, sapeva anche che il mese di giugno ero stata per un po’ di giorni a Firenze coi Servi di Maria della Ghiara per un ritiro spirituale “che io poi avevo vissuto come una vacanza”. Sapeva tutto di me e della mia famiglia, la scelta non era stata fatta a caso, forse qualcuno mi aveva proposto e lui prima si era informato.

Così con una breve infarinata su ciò che dovevo fare, cominciò la mia avventura.

Partivo da casa col piccolo Riziero Reverberi, lui era già in seconda elementare, ma la madre per sua tranquillità, me lo aveva affidato, si accompagnava a me per tutto il tragitto di andata e ritorno. Caro Riziero che bel ricordo mi hai lasciato, ci raccontavamo tante cose, so che da lassù sorriderai.

Arrivati appena sotto al cimitero mi aspettava Carlo Cosmi e appena più giù Serri Pietro (anche lui se n’è andato troppo presto) erano bambini giudiziosi, sempre preparati attenti e con una bella memoria, ricordatevi che allora la dottrina si imparava a memoria.

Arrivati a Bagnolo si univano a noi Lorenzo Agostini e Maurizio Zurli (anche lui se ne è andato non molto tempo fa) ricordo l’impegno che ci metteva per imparare tutto, sapete c’è sempre chi fa prima e chi ci mette un po’più di tempo.

Più avanti trovavo Adrasto Simonazzi, Lauro Campari e un certo Ives Casoli, questo era un bambino che per un certo periodo aveva abitato in quelle case là sotto monte Bagnolo, poi forse i suoi si sono trasferiti e non l’ho più visto.

Arrivati poi in piazza d’Armi mi aspettavano quelli del centro e di Rovina.

Ricordo Borghi Loris sempre preparato, pronto a rispondere, (anche lui ci ha lasciati) e lo saluto quando vado al cimitero da don Battista riposa lì vicino. Anche Giovanni Rossi si trova fra quelle mura e pochi giorni fa li ha raggiunti Dantino Falchetti, ma perché poi se ne sono andati così presto e io sono ancora qua coi miei ricordi.

Poi alla mia mente si affaccia il ciuffo biondo sulla fronte di Enzo Spaggiari e i suoi occhi vivaci e attenti e qualcuno che arrivava da Mozzola o giù di lì e mi scuseranno se non ricordo i nomi, come del resto vorrei tanto ricordane uno di nomi in particolare, era un bimbo minuto, fragile, arrivava accompagnato da un nonno molto affettuoso, prima di lasciarlo gli aggiustava il colletto della camicia e me lo raccomandava dovevo aver pazienza se ancora non aveva imparato bene, i nonni se non ci fossero dovremmo inventarli.

Adesso basta con le malinconie, laggiù nell’ex casa delle suore ci avevano assegnato una stanzetta con due panchette per i bimbi e una sedia per me. Cominciavo sempre con le preghiere, per me era importante che le imparassero, le cose che si apprendono a quell’età ti restano impresse per tutta la vita.

Un giorno don Dino mi richiamò, col suo solito sorriso bonario e gli occhi vivissimi dietro le lenti:

“Sei troppo severa, le mamme si lamentano, perché insisti tanto col Padre Nostro, sono ancora piccoli”.

Accusai il colpo, ma non frenai la lingua:

“Non è certamente colpa mia se i loro figli a sei anni non conoscono nemmeno l’Angelo di Dio, dovevano essere loro le prime ad insegnarglielo come ha fatto mia madre con noi, crede che mi faccia piacere essere ferma col programma?”

Comunque severa o no, questi “ragazzi” ancora adesso dopo 70 anni mi riconoscono, mi salutano e mi ricordano. Una decina di anni fa, forse più, portai mio marito a Reggio aveva necessità di una visita polmonare. Vi dirò presa dalla mia preoccupazione io questo professore non l’avevo riconosciuto, ma lui sì e mi ricordò che conservava ancora un libro che aveva vinto in prima elementare in una di quelle gare che io facevo far loro per stimolarli a studiare la dottrina.

Come vedete tutti ragazzi che poi hanno studiato chi laureato, chi diplomato e spero che nella loro mente ogni tanto faccia capolino il Padre Nostro.

Elda Zannini

 

 

2 COMMENTS