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“La Montagna del Latte”, l’intervento di Bussone e Lupatelli a Pavia

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A seguire riportiamo integralmente l'intervento di Marco Bussone, presidente UNCEM, e Giampiero Lupatelli, Vicepresidente Caire Consorzio, svolto quest'oggi all'interno del convegno "Territori in Transizione dopo le tre crisi: una comparazione internazionale", presso il Collegio universitario Giasone del Maino di Pavia.

L'intervento di Brussone e Lupatelli aveva come titolo: La Montagna del Latte - Considerazioni sulle politiche territoriali per le Montagne Italiane

"Raccontare la Montagna del Latte è diventata una consuetudine e tuttavia l'autorevolezza di questo consesso e la responsabilità che mi deriva dallo svolgere questo intervento anche a nome di Marco Bussone, Presidente dell'Unione Nazionale Comuni Comunità ed Enti Montani, mi impongono un’attenzione particolare per provare a trasmettevi il significato e il valore di una vicenda nella quale, in molti, abbiamo voluto vedere  qualcosa di più che un singolo episodio.

La "Montagna del Latte" è l'Appennino emiliano del comprensorio di produzione del Parmigiano Reggiano, la più antica produzione DOP italiana; più esattamente la porzione di questa montagna collocata nel contesto amministrativo - e nella tradizione politica - della Provincia di Reggio Emilia. 

Un territorio di circa 900 kmq che ospita poco più di 30.000 abitanti in dieci comuni (diventati 7 in corso d'opera per effetto di una fusione) organizzati in una Unione.

Dieci anni fa questo territorio si è trovato, fortunosamente, ad un crocevia significativo.

Nel suo comune maggiore arrivava come nuovo sindaco un montanaro di esperienza non solo locale con l'ambizione di produrre una svolta in una traiettoria di lento ma inesorabile declino, demografico e non solo. Nella scena nazionale muoveva i suoi primi passi quella Strategia Nazionale per le Aree Interne alla quale Fabrizio Barca affidava, da Ministro, le aspirazioni che, come consulente del Commissario Europeo Danuta Hubner, avevano trovato limitato successo nella riforma dei Fondi Strutturali europei.

A fare da tramite tra questi due fatti tra loro apparentemente così  lontani,  la lunga pratica di politiche territoriali alla scala locale, regionale e nazionale che è stata la cifra della tradizione professionale che ho ereditato e condiviso con maestri e amici come Osvaldo Piacentini e Ugo Baldini, all'insegna della Cooperativa degli Architetti e degli Ingegneri di Reggio Emilia.

Una tradizione che già da tempo aveva incontrato la esperienza istituzionale di UNCEM e la sua presenza nel panorama delle politiche per la Montagna che, come è stato detto, della nuova categoria delle  "Aree Interne" rappresenta senza dubbio l'azionista di riferimento.   Una lunga frequentazione con UNCEM come "sindacato" dei comuni montani ma anche come luogo di elaborazione di qualche pensiero originale sulla montagna,  nei 70 anni - appena festeggiati - della sua esistenza.

Giampiero Lupatelli

Su questo crocevia di competenze e ambizioni incombeva un convitato di pietra: la crisi di prezzo del Parmigiano Reggiano che in quel  2013 superava di poco, alla produzione, il valore di 6 euro al kg; un prezzo del tutto insufficiente a coprire i costi di produzione, notoriamente più elevati in montagna che in pianura. Una situazione che già registrava chiusura di allevamenti familiari e minacciava anche l'uscita di scena di caseifici cooperativi.

Due istituzioni economiche, l'azienda zootecnica familiare e la cooperativa di trasformazione, che hanno costituito la struttura portante della economia della montagna emiliana, consentendole di assorbire senza irreparabili rotture le stagioni della crescita urbano industriale che nei "trenta gloriosi" hanno sottratto ingenti risorse umane anche a questa montagna; frenando il declino  e consentendo di ospitare la successiva stagione di decentramento e diffusione manifatturiera che ha risalito anche queste valli e si è incrociata con politiche pubbliche che ne hanno potenziato significativamente l'armatura di servizi territoriali, per l'istruzione e la sanità in primo luogo.

Per questo cogliere l’occasione di una SNAI   che metteva assieme per la prima volta nella storia delle politiche territoriali il tema del sostegno (e della innovazione flessibile e appropriata) alla offerta dei fondamentali servizi di cittadinanza (istruzione e salute, oltre alla mobilità, letta però nella chiave un po’ ottocentesca delle ferrovie con qualche non innocua distorsione) con quello della promozione dello sviluppo territoriale (locale) è sembrato un fatto naturale, quasi scontato, per questo territorio.

Marco Bussone

Un territorio  che, agendo in un contesto molto più contraddittorio, è riuscito a esercitare un gigantesco effetto di leva (7:1) sul grant ricevuto e a spendere quasi  integralmente le risorse ricevute quando la media nazionale era ancora sotto un quinto!

È riuscito anche ad accorgersi che a questa intelligente strategia integrata e intersettoriale mancava un terzo fondamentale pilastro, quello della sostenibilità, e a porsi obiettivo di integrarlo in tempi non sospetti nella primavera del 2020 in piena pandemia, quando Next Generation EU non aveva ancora visto la luce e le Green Community era ancora al palo del “vecchio” collegato ambientale alla legge di bilancio per il 2016.

Essere riconosciuti “per chiara fama” come una delle tre aree pilota nazionali del nuovo programma Green Community ha segnato un nuovo e importante successo. Tanto più importante perché ottenuto superando le obiezioni di chi -  in una logica meramente distributiva - voleva escludere dalla mensa le aree già interessate dalla SNAI. Riuscendo ad affermare invece un principio di continuità, integrazione e perfezionamento “in progress” delle politiche.  Una condizione necessaria e rara per rendere credibile ed efficace una politica territoriale che deve aspirare ad essere riconoscibile e vitale in un orizzonte di lungo periodo.

Così la montagna del latte ha cominciato a dispiegare il racconto di sé, della propria storia, della lezione che da questa si potrebbe trarre per altre e diverse situazioni. Ottenendo un “successo di critica” che qualche volta ci è parso addirittura superiore ai suoi meriti. 

Ci siamo interrogati molto, per l’appunto, sulla consistenza di questi meriti, dovendo riconoscere innanzitutto che, per il successo nella battaglia, un generale fortunato è più importante di un generale valoroso, come Napoleone sempre ricordava, avendone avuto prova diretta.

La seconda lezione, meno aleatoria, che abbiamo ritratto dalla vicenda della Montagna del Latte riguarda il fatto che quando una condizione ti è davvero necessaria, avresti dovuto pensarci prima. Quando è stato necessario mettere in primo piano le istanze di una coalizione allargata rispetto a quelle dei municipalismi abbiamo potuto trarre qualche convincimento in più da una pratica consolidata di programmazione dello sviluppo che dalla tradizione della Comunità Montana, pur frettolosamente abrogata in ossequio alla pretestuosa campagna contro la casta, era comunque attingibile. Come attingibile era l’esperienza di cooperazione tra istituzioni scolastiche ed enti locali consolidata nella pratica decennale del Centro per il Coordinamento e la Qualificazione Scolastica (CCQS), quando la strategia ha focalizzato la sua attenzione sul tema del capitale umano. Ancora, abbiamo potuto toccare con mano come l’esperienza secolare della cooperazione reggiana, dalle più antiche latterie alle più giovani cooperative di comunità, fosse un terreno fertile sul quale far germinare la coesione di istituzioni e imprese, anche oltre i limiti tematici dei singoli codici di attività.

Di tutto è testimonianza il livello assai elevato - è assai poco formalizzato e ritualizzato - della partecipazione di molti - alcune centinaia di persone - alla scrittura della strategia di sviluppo locale. 

Il Patrimonio è una voce autorevole della attualità se alla eredità si sa attingere con qualche saggezza. Saggezza che chiama in causa il potenziale e prima ancora il cursus onorum della classe dirigente locale. Il suo radicamento nel tessuto delle comunità, delle istituzioni e delle imprese e però anche la sua consuetudine “cosmopolita” a negoziare con i “poteri forti” estranei al proprio controllo.

La vicenda ormai decennale della Montagna del Latte sembra portare più di una conferma alla tesi che interpreta il sentiero dello sviluppo territoriale come un vero e proprio processo educativo.

Un processo educativo chiamato a misurarsi con l’impegno prolungato di un esercizio quotidiano del confronto con il lungo periodo;   ad avere in considerazione maggiore la tenuta del fondista rispetto alla brillantezza del velocista; a capitalizzare il dividendo di ogni successo in una nuova azione di investimento; a  ad imparare nel fare più di quanto si sappia già dalla esperienza.

A selezionare nel vivo del percorso i talenti su cui investire e scommettere, anche con qualche azzardo. Determinati a proseguire caparbiamente nel cammino intrapreso ma pronti a rimettere in discussione quel che sembrava già assicurato per cogliere lo scorcio di una novità inattesa.

L’arte di vivere, insomma o forse meglio l’arte di far vivere gli uomini come titolavano negli anni ‘50 con ingenuità e presunzione le ambizioni giovanili dei nostri precursori nei primi esercizi di una aspirazione professionale vissuta nella dimensione dell’impegno civile. Intravedendola allora nel campo di una urbanistica che a noi pare un piccolo giardino ma che agli occhi del tempo prospettava praterie sterminate.

La cultura più estesa e meticcia di quel che chiamiamo sviluppo territoriale può proporsi oggi di avere maggiore successo accomunando sotto la sua insegna maggiore rigore analitico e non minore determinazione realizzativa?

Potremo conseguire risultati apprezzabili nel benessere sociale e accompagnare empaticamente le comunità territoriali dei luoghi meno favoriti verso lidi meno fragili ed incerti?

La lezione che ci è sembrato di leggere nella Montagna del Latte – certo con gli occhi partigiani di chi o ne è stato da subito partecipe oppure, avendola incontrata nel suo percorso, si è velocemente trasformato da osservatore a protagonista – ci consente di nutrire qualche speranza e di provare a convincere anche voi delle sue buone ragioni"