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Neanche la neve ha fermato la manifestazione per la Palestina

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Mattia Rotevroli apre la manifestazione

Dopo Reggio, sabato 25 novembre, anche l’Appennino si è mobilitato contro la catastrofe umanitaria in corso in Palestina. Nonostante il tempo inclemente una cinquantina di persone, tra cui anche cittadini di origine straniera, diversi giovani e alcuni bambini, lunedì sera, 4 dicembre, si sono trovati in piazza della Resistenza a Felina per dire no al genocidio dei palestinesi e all’estensione della guerra in Medio Oriente. 

Neanche il freddo e la neve che scendeva copiosa sono riusciti a fermare i manifestanti, che in un primo momento, in piazza, hanno tenuto dei discorsi sulla guerra in atto tra Israele e Palestina, sottolinenando la necessità di un cessate il fuoco duraturo e della libertà per la Palestina, per poi procedere in corteo, issando la bandiera della Palestina, fino al Monumento ai Caduti in via Kennedy, per terminare con un simbolico lancio in cielo di lanterne cinesi. 

Abdelghani Essadiki, consigliere comunale di Castelnovo Monti, ha riportato i numeri di quello che sta succedendo adesso a Gaza: “In 50 giorni di conflitto oltre 21 mila morti innocenti, di cui 8 mila bambini e 4 mila donne; 76 giornalisti uccisi; quasi 40 mila feriti gravi, tra cui molti bambini che hanno subito amputazioni; quasi 2 milioni di sfollati, con 60 mila case completamente distrutte; quasi 200 mila abitazioni danneggiate; 260 scuole, 95 moschee e 3 chiese rase al suolo; 212 operatori sanitari presi di mira e uccisi volontariamente; 55 cliniche attaccate; 48 ambulanze distrutte”. 

"Questo non è un conflitto - ha sottolineato il consigliere - , in un conflitto di solito ci sono due eserciti, qui ci sono da una parte un esercito e dall’altra una popolazione. È un genocidio sotto gli occhi di tutti. È difficile rimanere in silenzio di fronte a un numero così spaventoso di vite perse. Il nostro silenzio diventa complice. Ciascuno di noi ha la responsabilità e il dovere morale di far sì che queste atrocità non rimangano nell’ombra ma vengano portate alla luce per riportare giustizia. È indegno che nessun leader europeo abbia chiesto il cessate il fuoco, minacciando sanzioni contro un Paese che sta commettendo crimini contro l’umanità. Non si tratta di stare da una parte o dall’altra, si tratta semplicemente di restare umani”.

L’avvocato Wainer Burani, venuto appositamente da Reggio, ha ricordato che “c’è stato lo scambio di prigionieri” e “questo significa, in termini di diritto internazionale, che è stato riconosciuto ai combattenti palestinesi il ruolo di legittimi combattenti”. "Quando si parla di popolo palestinese - ha precisato -, da una parte c’è la gente, trattata come carne da macello dall’esercito israeliano, uno dei più potenti al mondo, come sta succedendo adesso, poi ci sono Hamas e il Fronte Democratico popolare della Liberazione della Palestina. C’è un popolo che viene massacrato e ci sono i combattenti, che stanno difendendo la loro terra, perché quella è la loro terra. Anche sul 7 ottobre è ancora da chiarire cosa sia successo. La soluzione non può essere affidare questa terra all’Autorità nazionale palestinese. Sento il dovere morale di sostenere il popolo palestinese”.

Elena ha letto un contributo da parte dei “Giovani palestinesi d’Italia”, impossibilitati a partecipare in presenza. “La resistenza palestinese ha smascherato l’ipocrisia occidentale dei suoi governi - hanno scritto -. Mostrare sostegno ai popoli oppressi senza davvero volere la loro liberazione è espressione dell’ipocrisia e privilegio occidentale, che si riempie la bocca di parole di libertà ma campa e costruisce il proprio impero sulla distruzione e sfruttamento dell’oppresso. Non è una guerra tra due popoli, la questione palestinese è una lotta tra oppressore e oppresso. Chiedere al popolo palestinese di condannare la propria resistenza significa chiedere loro di rinunciare alla sopravvivenza. Se la Palestina smettesse di lottare sarebbe condannata all’eliminazione totale. È assurdo ripetere queste parole a un Paese e a un popolo che ha avuto l’invasore in casa, che ha assaporato l’amara oppressione e che ha conosciuto bene la lotta per la liberazione. Come si spiega un popolo che festeggia ogni anno la propria liberazione mentre condanna quella di un altro popolo? Nonostante il silenzio degli altri Stati arabi alleati e la crudeltà di un mondo che mette al voto la scelta di consentire un genocidio, la Palestina non è sola - hanno proseguito -. Il conflitto ha risvegliato e riunito popoli dal mondo intero che da due mesi continuano a inondare le strade e le piazze di tutto il mondo, anche qui in Italia”. 

Davanti al Monumento ai Caduti, Daniele Dall’Aglio ha ricordato il diritto alla resistenza “che valeva per i partigiani che combattevano qui in montagna” e che “vale oggi per la resistenza palestinese”, ricordando il partigiano Gino Donè, che visse e combatté sia in Italia sia a Cuba “per liberare gli oppressi dagli oppressori”.

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