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“Diga di Vetto,  ciò che servirebbe e cosa, forse, si farà: a che punto siamo”

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“Diga di Vetto,  ciò che servirebbe e cosa si farà: a che punto siamo”.

Riportiamo in toto l’intervento che l’ingegner Alessandro Spallanzani ha voluto affidare oltre che a Facebook, anche a Redacon, sugli ultimi sviluppi relativi alla Diga di Vetto, a ciò che sarebbe necessario per il territorio e quella verso cui si sta effettivamente andando.

Il tutto, avendo come punto di partenza, il convegno indetto nel 2022 dal Lions Club di Reggio presso Unimore.

Quello che servirebbe

La locandina del convegno organizzato dal Lions nel maggio del 2022

Richiamandomi al primo Convegno sul tema, a livello prettamente scientifico, indetto dal Lions Club Reggio Emilia Host il 28 maggio 2022 presso L'Università degli Studi di Unimore che metteva in inequivocabile evidenza l'attualità e la validità dell'idea di realizzare un invaso sul fiume Enza ad uso plurimo, credo, dopo un anno e mezzo di dibattiti svolti a diversi livelli in un momento in cui la criticità del nostro territorio si è manifestata in tutta la sua gravità, valga la pena di fare alcune riflessioni basando le stesse sulle risultanze scientifiche di quel convegno che, ahimè, i fatti poi intervenuti hanno convalidato in modo ineluttabile.

La parte scientifica del convegno all'epoca aveva infatti preconizzato la necessità e l'utilità di tale opera nonché la sua economicità ottimale, se indirizzata ad immagazzinare ogni anno almeno 100 milioni di mc/di acqua da destinare in ragione di 55 milioni ad uso irriguo, 43 milioni ad usi civili, 2 milioni ad usi industriali.

A margine, da parte di alcuni relatori fra cui il sottoscritto, si rilevava, alla luce delle lontane esperienze dell'inondazione dei comuni rivieraschi della nostra provincia, avvenuta nel corso dei primi anni cinquanta del secolo scorso e, recentemente, a Lentigione, l'ulteriore necessità di utilizzare l'invaso per laminare le piene di grande rilevanza che già incominciavano a delinearsi sull'orizzonte meteorologico, mettendo a disposizione una ulteriore capacità di laminazione pari a 30 milioni di mc/ di acqua.

Cosicché il bacino avrebbe dovuto avere una capacità complessiva di immagazzinamento annuo di 130 milioni di mc., di cui 30 per sole emergenze meteorologiche, a fronte dei 300/350 milioni di acqua defluente normalmente dal corrispondente bacino imbrifero.

Ovvio che, con tale capacità d'invaso, sarebbe stato estremamente conveniente utilizzare le masse d'acqua, defluenti a vario titolo, per produrre anche energia elettrica che, ai costi correnti, potrebbe consentire di ammortizzare l'opera in un arco temporale eccezionalmente breve, per non parlare poi dei benefici indiretti come disporre per l'irrigazione di acqua pulitissima e non altamente inquinata, quale quella ora attinta dal Po, come disporre, per alimentare gli acquedotti, di acqua pulitissima in grande quantità così da evitare l'attingimento a falde sempre più profonde e sempre più ricche di sostanze inquinanti, come ci insegna l'attuale situazione idrica della vicina Parma, senza poi neppure dimenticare i benefici turistico-ambientali che tale opera determinerebbe.

A fronte di tanti benefici, gli immancabili detrattori dell'invaso che, all'epoca, proponevano, ai fini irrigui, sia il mantenimento dello status quo, ricorrendo solamente ad una più accurata impermeabilizzazione dei canali irrigui col fine di limitarne le perdite, sia la costruzione di laghetti poderali di modesta capacità, tali da garantire comunque il solo abbeveraggio del bestiame, e, ai fini della laminazione, il ricorso unicamente alle casse di espansione.

Solamente dopo gli eventi drammatici di quest'anno, legati ad un inequivocabile cambiamento climatico, che certamente si aggraverà nel futuro, qualcuno di questi detrattori si è accorto che non era più il caso di insistere su tali proposte alternative, assolutamente scorrette sul piano scientifico, come il Convegno aveva dimostrato”

Le scelte della politica

Il plastico del progetto del grande invaso

Del resto, con l'esperienza vissuta pure nel corso di quest'anno, ciascuno di noi può valutare con la massima obiettività se le alluvioni avvenute in Romagna o in Toscana sarebbero state possibili se in tali zone vi fossero stati adeguati bacini di laminazione: la risposta, una per tutte, nel perché Firenze non è stata allagata se non grazie all'azione protettiva della Diga del Bilancino!

Ovvio che di fronte a tale evidenza i detrattori delle dighe hanno dovuto cedere anche se, per non perdere la faccia, hanno cercato di arroccarsi solamente sul piano della laminazione delle piene, aderendo, così almeno parrebbe, alla costruzione di una diga di soli 40 milioni di mc. pur di non ammettere, come sarebbe stato onesto fare, che quanto da loro sostenuto era privo di qualsivoglia validità scientifica e di rispondenza oggettiva di fronte ad una situazione climatica in preoccupante palese evoluzione.

A questo punto il ragionamento scientifico, convalidato in modo chiaro ed inoppugnabile nei suoi vari aspetti, non può che chiedersi, ponendosi sul piano politico, il perché dell'adesione della Giunta Regionale a tale scelta, palesemente insufficiente a coprire tutte le necessità del territorio ed economicamente del tutto impropria in termini di costi/benefici.

E' molto probabile che siano intervenuti ancora volta quegli aspetti di normale condizionamento all'interno delle forze di maggioranza dove, molto spesso, piccole componenti riescono ad incidere con le proprie ideologie su grandi temi che un sano pragmatismo potrebbe invece indurre a risolvere diversamente.

Si auspica che questo pericolo, peraltro inevitabile nel sistema democratico, in questo caso possa venire evitato stante una posta in gioco che riguarda un orizzonte molto ampio che va dalla difesa della vita, nei suoi vari aspetti, alla difesa di una economia che, nel mantenimento dell'attuale regime irriguo, vede la sua sopravvivenza, sperando che finalmente si decida di fare ciò che è assolutamente necessario, poiché piuttosto che una realizzazione inadeguata dell'invaso sarebbe meglio non fare nulla rinviando la scelta corretta al momento in cui, volenti o nolenti, tutti si dovranno convincere ragionando su basi di scientificità, anche se ciò, purtroppo, potrebbe comportare dei rischi enormi.

Ing. Alessandro Spallanzani

 

6 COMMENTS

  1. Caro Ingegnere.
    Il suo dettaglio è di una chiarezza disarmante !
    Concordo con lei che una diga che raccolga pochi milioni di M3 di acqua non serva e che sia meglio, con tutti i rischi del caso, aspettare che si convincano i decisori politici e la smettano una volta per tutte di farsi condizionare da l’ uno o dall’ altro, ma decidano per il bene comune e per la scelta giusta che è di sicuro quella di una diga da almeno 100milioni di m3 di acqua più i 30 milioni delle casse si espansione in caso di piene gigantesche, che oggi sono purtroppo sempre più frequenti
    Grazie infinite.
    Saluti Vittorio

    • Parole chiare, sintesi mirabile dei motivi per cui occorre un grande invaso . Purtroppo gli scellerati che imposero la fine dei lavori pare che abbiano ancora voce in capitolo Sembra che il partito egemone abbia in sprezzo chi fa notare l’evidenza ed il beneficio immenso della diga,sotto tutti i punti di vista da Lei elencati. Cesare

      • Firma - Cesare
    • Finalmente una persona che espone in modo chiaro ed esaustivo cosa occorre per risolvere il problema acqua sul versante Enza, quando si parla di usi plurimi quelli sono i numeri purtroppo vi sono condizionamenti e quando sento dire che saranno i tecnici a dire quale invaso è di che portata mi scappa da ridere per non piangere perché come viene detto da antica data “IL SOMARO VIENE LEGATO DOVE VUOLE IL PADRONE” e quindi i tecnici sanno bene cosa vuole il padrone del vapore e quindi …. Il potere politico deve fare delle scelte ben precise e pensando al futuro dei nipoti quindi fra 30 50 anni, si parla tanto di cambiamenti climatici e poi non se ne tiene conto basti pensare che alcune persone lungimiranti stanno spingendo per studiare e fare in Romagna una diga analoga a Ridracoli (che è stata fatta quando era partita negli anni 80/90 la costruendo diga di Vetto) in quanto ormai non basta più per dissetare la Romagna e i turisti, pensiamo anche ai benefici che porterebbe la diga di Vetto per le località limitrofe con campeggi scuole di canoa di vela e pesca poi non mi dilungo perché troppo si è parlato e discusso ma purtroppo menti ottusangole che sono nei gangli politici non recepiscono ed alcuni ancora si dicono contenti di aver fatto saltare la diga con la panzana delle lontre e questi gli danno ancora ascolto.

      • Firma - Gianni
    • Grazie Ing. Spallazani, grazie ai Lions del Gruppo Reggio Emilia Host, grazie di cuore; ero presente al Vs. convegno nel maggio del 2022; dopo averVi ascoltati mi dissi che l’Agricoltura, i Paesi Montani, l’Ambiente e i Cittadini Reggiani e Parmensi avevano ancora una speranza; purtroppo così non è stato, in questi giorni abbiamo appreso che si riparte da un DOC.FAP, dall’ABC dell’alfabeto, 160 anni di studi di prefattibilità sull’Enza e di progetti avviati, carta straccia, non se ne parla, non se ne tiene conto; un modo, a mio avviso, di prendere anni di tempo e regolarizzare ciò che qualcuno vuole e spendere una follia di soldi nostri inutilmente.
      A mio avviso è chiaro che il potere decisionale non è più in mano ai “Buoni Padri di Famiglia” ma alle multinazionali, ai NO a tutto e ai “finti ambientalisti”, in quanto ritengo che i veri Ambientalisti dovrebbero volere la Diga di Vetto, anche se fosse per la sola area faunistica che potrebbe creare, come al Bilancino, Monte Cotugno e tante altre dighe e alla produzione di energia pulita.
      A costoro penso non importano le esondazioni, i fabbisogni idrici delle terre del Parmigiano Reggiano e altri prodotti, la produzione di energia pulita, del futuro dei paesi montani, di ridurre il pompaggio delle acque da Po e da falda e i relativi milioni di euro di energia spesi per il pompaggio, della eliminazione dei dissesti sui versanti di Enza, Lonza e Atticola, di dare ottima acqua ai rubinetti di Parma e Reggio Emilia, di ridurre di varie decine di migliaia di Ton la CO2 emessa in atmosfera; penso che a qualcuno importa solo dire di NO alla Diga di Vetto, per assicurare agli importatori di combustibili che l’energia sarà prodotta da fossili, che il costo delle acque sarà elevato in quanto pompate da falda o da Po, che continui lo spopolamento dei paesi montani, che continuino le esondazioni, si dichiarerà lo Stato di calamità, che le multinazionali abbiano una importazione garantita; questa a mio avviso è la realtà, spero che l’ing. Spallanzani e i Lions di Reggio Emilia abbiano più forze di me per denunciare tutto questo.
      Si sappia che nell’autunno del 2023 sono transitati circa 300 milioni di metri cubi sotto il ponte di Vetto, di queste acque neppure un litro è stato trattenuto per essere usato nei mesi estivi per gli usi irrigui; quanti milioni di kW di energia pulita avrebbero prodotto queste acque?, quanta CO2 avrebbero evitato che venisse messa in atmosfera?, quanti danni avrebbero evitato se fosse stato possibile invasarle?
      Delle esondazioni nella vicina Romagna e Toscana non si fa memoria, sembra non interessi a nessuno, dei danni sembra non importi nulla, questa è l’Italia di oggi, c’è ancora una speranza di cambiarla? Io non credo; ma forse con l’aiuto dei Lions di Reggio Emilia e altri una speranza c’è ancora.

      • Firma - Franzini Lino
    • La questione Diga è argomento ricorrente, e nel contempo alquanto controverso e divisivo, il cui destino – ossia il realizzarla o meno, e se sì in che punto del fiume e di quale portata – è nelle mani dei decisori politici, come prassi, e al momento sembra problema rimasto sospeso in una sorta di limbo, salvo dovesse essere l’incombere di fattori esterni, vedi gli andamenti climatici, in una coi fabbisogni idrici ed energetici, ad accelerare le scelte (e a determinarle).

      Viste dunque le contrapposizioni in materia, non solo sul piano politico, che paiono fin qui incomponibili, non mi sembrerebbe sbagliata l’idea secondo cui “piuttosto che una realizzazione inadeguata dell’invaso sarebbe meglio non fare nulla rinviando la scelta corretta al momento in cui, volenti o nolenti, tutti si dovranno convincere ragionando su basi di scientificità”, perché nel frattempo potrebbero casomai attenuarsi le divergenze e distanze, sino a trovare soluzioni condivise.

      Fino ad allora non desisterei comunque dal ricorrere alle cosiddette opere minori, vedi l’utilizzo di cave in disuso, il realizzo di casse d’espansione, o l’alimentare la falda sotterranea, che possono rappresentare già una forma di risposta, e domani configurarsi come sistema complementare rispetto all’invaso, e resto infine dell’avviso che se si arriverà ad optare per la Diga andrebbe prevista una “compensazione” per l’area montana che mette a disposizione il proprio territorio.

      P.B. 08.01.2024

      • Firma - P.B.