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False fatturazioni ed evasione fiscale, in ‘Minefield’ anche realtà dell’Appennino

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False fatturazioni ed evasione fiscale, in ‘Minefield’ anche realtà dell’Appennino .

Sono quelle imprese così dette ‘utilizzatrici’ del servizio offerto dalla consorteria criminale al fine di evadere il fisco, e, contestualmente, alterare il principio di libera concorrenza. Realtà imprenditoriali che hanno sfiorato anche il capoluogo di distretto, Castelnovo ne’ Monti, stando, per altro, in buona compagnia: ad essere ‘contaminate’ infatti, sono state in larga parte l’intera provincia reggiana, poi quella di Parma e Modena, anche se l’operazione ha visto coinvolte le forze dell’ordine di quasi tutta Italia.

Le autorità presenti ieri alla conferenza stampa per spiegare l'operazione 'Minefield' di Carabinieri e Guardia di Finanza reggiana

L’operazione nel suo complesso

L’operazione ‘minefield’ (campo minato in Italiano), culminata nella prima mattina di ieri quando a seguito dell’ordinanza firmata dal Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia, dottor Luca Ramponi, sono state eseguite 15 misure cautelari, di cui 5 in carcere e 7 ai domiciliari, 1 obbligo di dimora e 3 misure interdittive (l’impedimento della pratica per un anno) di cui due nei confronti di professionisti – uno di Reggio Emilia e uno di Parma -. Il tutto all’interno di un’operazione che vede 108 persone indagate, di cui 26 che risultano essere parte di un’associazione a delinquere “con soggetti contigui alle realtà della criminalità organizzata ampiamente note e conosciute in territorio reggiano” – come ha sottolineato il capo della Procura della Repubblica reggiana che ha coordinato le indagini, dottor Calogero Gaetano Paci -, oltre a 81 società.

Le ipotesi di reato contestate vanno da quelle legate alle false fatturazioni, alla tentata estorsione, evasione fiscale, bancarotta, riciclaggio e auto riciclaggio.

“Un’inchiesta che ha preso il via da una comunissima denunzia fatta da un cittadino del comprensorio di Scandiano, alla locale tenenza per sostituzione di persona – ha spiegato il dottor Paci, in una conferenza stampa organizzata apposta per spiegare l’operazione -. Ma grazie alla capacità ed alla conoscenza del territorio dei militari dell’Arma scandianesi, sono riusciti subito ad individuare cosa vi era dietro a quello che in realtà, si è rivelato un vero e proprio ‘reato spia’ di un qualcosa di ben più profondo ed ampio”.

Da quel momento, in piena pandemia, per due lunghi anni, il personale dei carabinieri reggiani, e quelli della Guardia di Finanza, integrando le loro capacità e conoscenze, con numerosissime intercettazioni ambientali, telefoniche e telematiche sono riusciti a ricostruire una vasta ed articolata rete di “Soggetti che hanno operato in aziende vive e sane, ma prive di qualsiasi operatività – ha aggiunto il Procuratore Paci – con il sistema ormai consolidato delle società così dette ‘cartiere’ (di fatto esistenti col solo fine di emettere fatture per operazioni inesistenti e consentire a quelle richiedenti di poter evadere il fisco, ndr) dando vita ad un giro vorticoso di false fatturazioni con il risultato di alterare in modo profondo l’economia di questa terra, condizionandola enormemente”.

Alla fine, sono stati 350 i militari, tra Fiamme Gialle (250), Carabinieri (80) dei Comandi provinciali reggiani, più una ventina di membri del Servizio Centrale Investigativo sulla Criminalità Organizzata (SCICO) a ‘scendere in campo’ per dare esecuzione alle varie misure cautelari.

Non solo, oltre a quanto già esposto sopra, si è anche reso necessario un arresto in flagranza di reato per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti – nello specifico 18kg di hashish e 4 kg di marijuana, tutti sequestrati – oltre alla confisca di gioielli ed alcuni orologi Rolex del valore di circa 40mila euro l’uno.

Il ruolo dei professionisti

“Il sequestro di 10 milioni di euro è sicuramente un bottino importante. Il profitto è la ragion d’essere della criminalità organizzata ed il nostro obiettivo è quello di portarglielo via e restituirlo allo Stato – ha sottolineato il Generale Ivano Maccani, Comandante Regionale della Guardia di Finanza -. Si trattava di un’associazione strutturata, ben organizzata, formata da soggetti contigui alle realtà mafiose del territorio, che è stata smantellata. Ma quello che mi preme sottolineare è che nessuna figura apicale dell’organizzazione criminale avrebbe potuto mettere in piedi un sistema così efficace e capillare senza l’aiuto di professionisti. Solo grazie alla compiacenza di questi, si è potuto innescare il sistema che vedremo nel dettaglio. Grazie anche ad imprenditori che anziché denunciare, hanno preferito fare affari con l’organizzazione criminale. Sui primi gli investigatori hanno acceso i loro fari ed hanno assunto i provvedimenti più consoni, sui secondi, mi permetto di dire che non hanno giustificazioni di sorta. Anche se, ovviamente, siamo perfettamente consci che la maggioranza è formata da professionisti onesti che collaborano con le istituzioni per far affiorare questi fenomeni”.

Il core business dell’organizzazione

Ancora una volta il ‘core business’ dell’organizzazione era quella di allestire una sorta di ‘servizio di false fatturazioni’ nei confronti di imprenditori ‘richiedenti’: “Per abbattere la base imponibile e pagare meno tasse frodando il fisco – spiega il colonnello Ivan Bixio, Comandante Provinciale delle Fiamme Gialle -. Il tutto attraverso l’acquisizione di società vere ma in stato di dissesto o creandone di fittizie. Una dinamica che si sta consolidando sempre di più. Le tante intercettazioni telefoniche e ambientali che abbiamo portato avanti ci restituiscono la realtà di tantissimi imprenditori che richiedono di poter abbattere l’imponibile. In provincia di Reggio? Abbiamo rilevato imprenditori ‘bisognosi’ in varie zone della provincia, anche nell’Appennino, in particolare qualcuno a Castelnovo Monti. Ma in generale il sistema ha saputo espandersi in modo capillare anche nelle province attigue e in varie zone d’Italia”.

“In pratica, l’imprenditore si rivolgeva alla società cartiera che emetteva la fattura per un’operazione inesistente – entra nelle pieghe del sistema il Comandante provinciale della Finanza -. Seguiva una transazione finanziaria e successivamente, dopo due giorni, il prelevamento di quella somma che veniva restituita in contanti all’imprenditore, ‘depurata’ della percentuale per l’organizzazione che si aggirava intorno al 4-5%. Così che in pratica, l’imprenditore rientrava dei soldi spesi, ma sostanzialmente senza lasciare allo stato alcunché”.

Alla fine, il provento calcolato dalle Fiamme Gialle derivante dal reato di ‘emissione di fatture false’ si è aggirato su un valore di circa 4 milioni di euro; mentre l’importo totale dell’imposta evasa da 69 imprese risultate quelle maggiormente utilizzatrici delle fatture false si è aggirato sui 6 milioni di euro.

“Alcuni dei sodali dell’organizzazione, risultavano disoccupati e percettori della Nasspi – prosegue il colonnello Bixio – ma, nonostante questo, ostentavano una ricchezza totalmente sproporzionata rispetto al loro status, anche attraverso ai social, partecipando a feste in discoteca a base di champagne e lusso. Suscitando, anche, le lamentele di altri membri dell’organizzazione, il tutto attraverso le nostre intercettazioni”.

“Infine, il contante – conclude il Comandante Provinciale della Finanza -. In un’abitazione di un indagato abbiamo trovato qualcosa come 400 mila euro in contanti, mentre in altri due casi abbiamo trovato denaro contante per 130 mila e 100 mila euro. Più gioielli di grande valore, auto di lusso, ed alcuni Rolex del valore di 40 mila euro l’uno. I settori merceologici più ‘toccati’? L’edilizia, sicuramente, poi società di consulenza, servizi di pulizia di impianti, imprese di pulizie”.

Riciclaggio e auto riciclaggio internazionale

L’operazione di ripulitura dei soldi avveniva attraverso un sistema di riciclaggio internazionale che aveva come epicentro la Bulgaria: “I proventi illecitamente ottenuti venivano poi fatti confluire in un sistema di scatole vuote istituite in Bulgaria – è ancora il Colonnello Bixio a parlare -. Con transazioni per operazioni inesistenti. Per poi essere ‘ritornati’ in Italia o attraverso dei veri e propri spalloni che facevano rientrare i soldi in contanti, oppure dei prelievi ATM direttamente in Italia”.

“In alcuni paesi dell’Unione Europea è evidentemente più facile operare – aggiunge il dottor Paci -. Perché certi paesi sono dotati di legislazioni di polizia meno stringenti. C’è un passaggio verificato nella miriade di intercettazioni prodotte in cui uno degli indagati esplicitamente afferma: ‘Ma noi andiamo in Bulgaria perché è tutto più semplice, non ci sono controlli’. Parole che valgono più di qualsiasi saggio scientifico, che evidenzia come all’interno dell’UE perdurino disarmonie legislative tra i vari Paesi, che non fa altro che favorire l’attività delle organizzazioni criminali”.

“Dobbiamo insistere nell’instillare una cultura della legalità”

“Il lavoro svolto dai nostri uomini sul territorio spiega ancora oggi il valore della capillarità della nostra presenza sul territorio – sottolinea il generale Massimo Zuccher, Comandante regionale dell’Arma dei Carabinieri -. Mentre tanti enti economici riducono la loro presenza, noi, al contrario rimaniamo vicini ai cittadini e alle loro necessità. Credo che questa vicenda evidenzi come sia assolutamente necessario ed importante la tutela dei dati personali, sia fisici che digitali. Nel caso specifico una sostituzione di persona ha dato vita a tutta una serie di utilizzi impropri che hanno portato all’emersione di un’organizzazione così vasta e radicata sul territorio”.

“Non solo. Quello che dobbiamo continuare a fare è insistere nell’instillare una cultura della legalità in interi settori della nostra società – conclude il generale Zuccher -. A differenza di altri territori, in questa regione, il tema non riguarda il singolo individuo, ma interi settori della società. Dobbiamo sensibilizzare imprenditori, professionisti, intere fasce della società a volte troppo esposte alla criminalità organizzata”.

“Siamo del ‘team Reggio’”

“Alcuni indagati, hanno rivelato le intercettazioni, si definivano del ‘Team Reggio’, sostanzialmente facendo rilevare come vi fosse un qualcosa di estremamente strutturato e organizzato per accogliere sia i potenziali clienti, cioè gli imprenditori ‘utilizzatori’, sia ‘vendere’ il proprio prodotto, il servizio di false fatturazioni – argomenta il Colonnello Andrea Milani, Comandante Provinciale dei Carabinieri -. Quello che va sottolineato è che questa indagine, attraverso gli strumenti investigativi delle intercettazioni, è stata compiuta in piena pandemia, dal 2020. Quello che ci restituisce questa esperienza, fatta in quel particolare periodo, è il massimo sforzo prodotto dai carabinieri sul territorio, per stare vicini ai cittadini, andando oltre anche i loro specifici doveri. Questo rapporto, virtuoso, poi si traduce nella piena conoscenza del territorio e la capacità di comprendere, anche da una semplice denuncia per sostituzione di persona, le possibili ramificazioni che questa avrebbe potuto sottendere”.

Paci: “Un modello organizzativo criminale consolidato”

La conclusione della conferenza stampa fiume è del Procuratore Capo, che sottolinea alcuni aspetti, emersi nelle cronache locali già da qualche settimana: “Quello che è importante evidenziare è il notevole sforzo organizzativo e le energie profuse da tutti gli organi di polizia giudiziaria per smascherare un modello organizzativo criminale che sembra ormai consolidato nella provincia di Reggio Emilia – chiosa Calogero Gaetano Paci -. Alla fine, stavo controllando, le miriadi di intercettazioni compiute sono costate allo Stato 168mila 231 euro, ma la dimensione della frode accertata è pari a 30 milioni di euro, che lo stato conseguirà attraverso i vari sequestri disposti dal GIP”.

“Questo per dire che a Reggio gli organici sono sottodimensionati, rispetto alla portata del fenomeno criminoso che sempre più si sta evidenziando. Quindi ritengo giusto porre all’attenzione dei soggetti istituzionali competenti, l’attenzione che il territorio di Reggio Emilia meriti in tema di lotta alla criminalità organizzata in tutte le sue forme. Supportando lo sforzo che Procura e organi di pubblica sicurezza stanno compiendo con risorse adeguate, a livello di personale, di strutture e di strumenti informatici che questo tipo di indagini ci impone. Tanto più il nostro lavoro è efficace, tanto più il patto di fiducia tra noi e il cittadino si rinsalda”.

 

 

 

 

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