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Primavera di poesia

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Primavera di Poesia

La poetessa americana Edna St. Vincent Millay(1892-1950), premio Pulitzer e famosa per i versi non convenzionali, non aveva timore di dare vita diversa a immagini tradizionali, come dimostra nell’uso sicuro sia del verso libero che del sonetto. Allo stesso modo, ribalta la visione consueta dell’Aprile celebrato come portatore di nuova vita:

Spring, 1921

Primavera

To what purpose, April, do you return again?

Ma perché mai, Aprile, torni di nuovo?

Beauty is not enough.

La bellezza non è abbastanza.

You can no longer quiet me with the redness

Non puoi più zittirmi col rosso

Of little leaves opening stickily.

Delle piccole foglie che si aprono appiccicose.

I know what I know.

So quello che so.

The sun is hot on my neck as I observe

Il sole è caldo sul mio collo mentre osservo

The spikes of the crocus.

Le punte dei crochi.

The smell of the earth is good.

Il profumo della terra è buono.

It is apparent that there is no death.

E’ chiaro che non c’è morte.

But what does that signify?

Ma cosa significa?

Not only under ground are the brains of men

Non solo le menti degli uomini sono

Eaten by maggots.

Mangiate dai vermi sottoterra.

Life in itself

La vita in se stessa

Is nothing,

E’ nulla,

An empty cup, a flight of uncarpeted stairs.

Una coppa vuota, una rampa di scale senza moquette.

It is not enough that yearly, down this hill,

Non è abbastanza che ogni anno, per questa collina,

April

Aprile

Comes like an idiot, babbling and strewing flowers.

Arrivi come un idiota, farfugliando e spargendo fiori.

Edna St.Vincent Millay

A che scopo ritorna Aprile, la Primavera? A illuderci nuovamente? La bellezza non basta, o, meglio, non basta più col passare degli anni, una volta acquisita la conoscenza del vivere. La vita ritorna, come volesse dire di aver sconfitto la morte. Ma non è così. La morte è qui, anche nella bellezza dei crochi, i cui petali diventano spikes, punte che possono ferire. La bellezza delle nuove foglioline rossastre, appiccicose con la linfa della vita, il calore del sole sulla pelle, il profumo della terra non possono annullare la consapevolezza che il nostro corpo finirà sotto quella terra benefica, e non solo il corpo, ma anche la mente che ci contraddistingue farà la stessa fine. Forse il ritorno della Primavera può significare che la vita sconfigge la morte, ma questa vita è in fondo nulla, un contenitore vuoto, una scala ruvida e spigolosa e l’Aprile di ogni anno un vecchio idiota che farfuglia spargendo fiori, come non sapesse quello che sta facendo.  Naturalmente, parlando di Aprile, non si può non pensare al Premio Nobel T.S.Eliot (1888-1965) e all’inizio della più che famosa The Waste Land, La Terra Desolata:

The Burial of the Dead, (1922)

La Sepoltura dei Defunti

 

April is the cruellest month, breeding

Aprile è il mese più crudele, generando

Lilacs out of the dead land, mixing

Lillà dalla morta terra, mescolando

Memory and desire, stirring

Ricordo e desiderio, risvegliando

Dull roots with spring rain.

Spente radici con pioggia primaverile.

Winter kept us warm, covering

L’inverno ci tenne caldi, coprendo

Earth in forgetful snow, feeding

La terra in neve noncurante, nutrendo

A little life with dried tubers.

Una vita da niente con tuberi secchi.

T.S.Eliot

Nei versi iniziali de La Sepoltura dei Defunti, prima sezione de La Terra Desolata, Aprile diventa addirittura crudele, il mese più crudele di tutti, a sconfessare quello che dello stesso mese dice Geoffrey Chaucer, il Dante della letteratura inglese, nei primi versi allegri e pieni di gioia di vivere dell’opera per cui è maggiormente conosciuto, i Racconti di Canterbury, ma i versi sono anche a ricordare che quando sia Eliot che St.Vincent Millay scrivevano, l’Europa aveva ancora tante ferite aperte dalla Grande Guerra. E di ferite simili pure noi sappiamo molto.

I lillà, tra i primi a fiorire, riescono a trovare nutrimento in una terra apparentemente morta, rigenerando allo stesso tempo il desiderio per un futuro di rinnovamento e i ricordi del passato, facendo scorrere la linfa viva della pioggia di primavera nelle radici sonnacchiose. Chiunque sia protagonista nei versi di Eliot odia questa rinascita e rimpiange l’inverno caldo, l’inverno capace di trattenere quel barlume di vita in pochi bulbi rinsecchiti, coprendo la terra di neve, la neve della dimenticanza a preservarci dalla memoria, che non accende in noi nessun ricordo,  e, quindi, neanche alcun desiderio fiorito dalle memorie di ciò che è stato. Queste esistenze di pura sussistenza riflettono la vigliaccheria di chi non vuole affrontare il mondo, le relazioni con gli altri, accontentandosi di una realtà parziale, negando empatia e compassione,

I versi sono un’accusa contro chi tradisce il vivere negando il ciclo continuo di vita, morte e rinascita, contro chi si accontenta di sprazzi di vita, sopravvivendo nelle braci senza abbracciare le fiamme. La “heap of broken images”, il cumulo di immagini rotte che Eliot ci consegna nell’opera, sono la ricerca di un poeta maturo per una nuova coscienza collettiva, che riesca a costruire in una terra desolata, nonostante la spinta di molti a volersi nascondere sotto un suolo infertile per non sapere, perché è più facile, perché non ci coinvolge. 

Aprile ci delizia e ci affligge, riporta la vita e con essa la struggente realizzazione della sua finitezza, sorprende con la forza della rinascita e traccia l’ombra della inevitabile fine futura, scuote i nostri organismi riaccendendo i fantasmi della depressione, ci mette di fronte al mistero dell’esistenza e dimostra che la volontà di non arrendersi è come pioggia in un deserto, come bulbi apparentemente morti che nascondono i fiori vivaci e carnosi della vita che verrà.

Ed è ancora una volta la poesia a portare malinconia ma anche conforto, ed Eliot lo dichiara alla fine dell’opera con le parole “These fragments I have shored against my ruins”, (Questi frammenti sono la mia fortezza contro la rovina): i frammenti poetici degli autori del passato costruiscono un muro di difesa ai limiti dolenti dell’essere umano, al pensiero soffocante della piccolezza del vivere, sostenendo con la forza delle parole e la ricchezza delle immagini, fin quando si potranno pronunciare le ultime parole di Hamlet “The rest is Silence”, il resto è silenzio, ad accogliere il momento in cui delle parole non ci sarà più bisogno.